SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

sentenza 6 giugno 2012, n. 9119

RG 14957/09
Cron. 9119
Rep. 799
U.P. 12/4/2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14957/09) proposto da:

B.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Scornajenghi Luigi e Mario Guido ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via Flaminia, n. 342/B;

– ricorrente –

M. S.A.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 1268/2008, depositata l’8 maggio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12 aprile 2012 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Mario Guido per il ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto dei primi due motivi del ricorso e per l’accoglimento del terzo e quarto motivo.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 20 luglio 1999, il sig. B.G. esponeva che: -con contratto del 4 dicembre 1992 aveva appaltato alla s.a.s. M. i lavori di costruzione di una villa nell’ambito del territorio del Comune di Carimate, con la conseguente esecuzione dell’opera appaltata tra i mesi di aprile 1993 e marzo 1994; – che, nei primi mesi del 1995, era apparsa una crepa a ragnatela nel pavimento del soggiorno al piano terra dell’edificio, seguita poi dalla comparsa di altre crepe nei pavimenti di altre stanze; – che da una verifica tecnica era emerso che l’inconveniente verificatosi era da ascrivere a gravi difetti nel sottofondo, quali la presenza di materiale incoerente e l’assenza (o scarsa efficacia) dei giunti perimetrali, che avevano comportato il ritiro degli strati sottostanti la pavimentazione; – che la società appaltatrice, nonostante la pronta denuncia dei vizi emersi dalla consulenza, non si era attivata per porre rimedio agli indicati inconvenienti; sulla scorta di tanto evocava, perciò, in giudizio dinanzi al Tribunale di Como – sez. dist. di Cantù la predetta società appaltatrice chiedendone, in via alternativa, la condanna all’eliminazione diretta dei vizi, ovvero la condanna al pagamento di una somma corrispondente al costo delle opere necessarie, oltre alla condanna al risarcimento dei danno connesso ai disagi subiti. Nella costituzione della convenuta, il giudice adito, con sentenza n. 126 del 2003, sul rilievo che i difetti riscontrati non fossero inquadrabili nel disposto dell’art. 1669 c.c., perveniva al rigetto della domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione dell’azione di garanzia di cui all’art. 1667 c.c., comma 3, come formulata nell’interesse della s.a.s. M.

Interposto gravame da parte del B.G., la Corte di appello di Milano, nella costituzione dell’appellata, con sentenza n. 1268 del 2008 (depositata l’8 maggio 2008), rigettava l’impugnazione e dichiarava interamente compensate tra le parti le spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale ravvisava la correttezza della sentenza di primo grado in ordine alla rilevata insussistenza delle condizioni per l’applicabilità dell’art. 1669 c.c., in virtù della mancata configurazione del requisito della gravità dei difetti di costruzione, per quanto risultante dagli accertamenti tecnici eseguiti, considerando, pertanto, altrettanto corretta la statuizione del Tribunale relativa alla ritenuta prescrizione del diritto azionato, poichè l’azione era stata proposta oltre il termine biennale dalla data di ultimazione dell’opera previsto dall’art. 1667 c.c., comma 3, malgrado gli inconvenienti si fossero manifestati solo dopo pochi mesi dalla consegna (e, perciò, in tempo utile per l’esperimento dell’ordinaria azione di garanzia contemplata in materia di appalto).

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il B.G., articolato in quattro motivi, in ordine al quale l’intimata società non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il difensore del ricorrente ha, altresì, depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1667 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare, con tale doglianza il B. ha chiesto a questa Corte – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, poichè la sentenza impugnata risulta pubblicata l’8 maggio 2008) di stabilire se, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione previsto dall’art. 1667 c.c., comma 3, sia necessaria un’obiettiva certezza, o comunque un apprezzabile grado di conoscenza, della gravità dei difetti e della loro derivazione causale, verificando, pertanto, se fosse incorsa in violazione del citato art. 1667 c.c., la decisione impugnata con la quale la Corte di appello aveva, nel caso di specie, ritenuto di far decorrere il termine prescrizionale previsto dal menzionato dell’art. 1667 c.c., comma 3 dal verificarsi dei primi sintomi dei vizi, e non, invece, dalla data della consegna dell’elaborato peritale del febbraio 1999, che ne aveva individuato le cause.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, chiedendo a questa Corte di valutare se fosse incorsa in tale violazione la sentenza impugnata con la quale era stata motivata la data di decorrenza della prescrizione ex art. 1667 c.c., comma 3, dal semplice manifestarsi dell’inconveniente, senza dar conto di alcuna motivazione in relazione alla formazione, in capo al committente, di un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale, e ciò, tanto più in ipotesi, quale quella oggetto del giudizio, della presenza di molteplici imprese appaltatrici e della necessità di ricorrere ad accertamenti tecnici, di seguito acquisiti, e dalla cui formazione si era appresa l’effettiva consistenza dei difetti.

2.1. I primi due motivi – esaminabili congiuntamente perchè tra loro connessi – vanno dichiarati inammissibili in quanto afferiscono ad una questione nuova, ovvero quella relativa al regime di applicabilità della disciplina della prescrizione prevista dall’art. 1667 c.c., comma 3, Infatti, per quanto desumibile dalla sentenza in questa sede impugnata, si evince che l’atto di appello concerneva solo la qualificazione dei dedotti vizi ai sensi dell’art. 1669 c.c. (v. pagg. 5 e 6 della suddetta sentenza), con l’accoglimento delle domande ad essa correlate, ed il ricorrente non ha contestato tale circostanza nè ha indicato adeguatamente, avuto riguardo al contenuto del ricorso, il motivo di appello con il quale aveva proposto la complessiva doglianza riportata nei primi due motivi ora valutati.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, chiedendo a questa Corte – in virtù del citato art. 366 bis c.p.c. – di stabilire se, in presenza di vizi e difetti del massetto e del sottofondo della pavimentazione riscontrati nella generalità dei locali dell’immobile per cui era controversia, tali da interessare tutte le pavimentazioni del fabbricato e provocanti le generalizzate fessurazioni riscontrate ed il generale distacco della pavimentazione in legno, difetti dovuti al cedimento de massetto, che si sgretolava alla semplice pressione delle dita (come rilevato ed accertato dal c.t.u.), fosse incorsa nella violazione dell’art. 1669 c.c., la decisione impugnata con la quale era stata ritenuta, invece, applicabile la disciplina di cui all’art. 1667 c.c., sul presupposto, erroneo, della necessità della presenza di una situazione di potenziale pericolo.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha inteso far valere il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) chiedendo a questa Corte di valutare se fosse incorsa in tale vizio la sentenza impugnata, con la quale, in presenza di una c.t.u., che aveva accertato che i difetti lamentati avevano riguardato tutte le pavimentazioni del fabbricato ed erano state causate dal cedimento del massetto (che si sgretolava alla semplice pressione delle dita), aveva affermato che il fenomeno si era diffuso solo nella zona giorno, mentre negli altri locali era rimasto limitato a due o tre episodi. Con lo stesso motivo il B. ha chiesto a questa Corte di verificare se fosse, altresì, viziata da omessa o contraddittoria motivazione la sentenza impugnata che, pur avendo riscontrato la presenza di vizi e difetti del massetto cu cui poggiava la pavimentazione, non aveva valutato l’affermazione del c.t.u. che aveva rilevato “il ridotto grado di coesione poichè la semplice pressione delle dita ne produceva lo sgretolamento” ed aveva, così, affermato non trattarsi di difetto strutturale. Infine, sempre con la stessa doglianza attinente a vizio motivazionale, ha chiesto a questa Corte di valutare se fosse incorsa in omessa motivazione la Corte di appello di Milano con la decisione impugnata mediante la quale, in presenza di vizi e difetti che avevano interessato il massetto ed il sottofondo del pavimento, aveva apoditticamente affermato che i vizi riscontrati non incidevano in modo significativo sul godimento dell’immobile, senza spiegarne le motivazioni, e, quindi, senza considerare l’incidenza di tali difetti nella loro funzione di piano d’appoggio di mobili ed infissi, ovvero nella funzione di essere superficie radiante del riscaldamento, ed ancora, e non da ultimo, nell’indiscutibile funzione decorativa che esso assolveva.

4.1. Questi due motivi – che possono essere trattati insieme per l’evidente connessione che li lega (investendo la medesima questione sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale) – sono fondati e devono, pertanto, essere accolti. Pur essendo rimesso al giudice del merito l’accertamento relativo alla idoneità dei difetti in concreto riscontrati a pregiudicare o meno la conservazione ed il godimento della costruzione appaltata ed a ricadere, quindi, rispettivamente nella previsione dell’art. 1669 o in quella dell’art. 1667 c.c., occorre evidenziare che – secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente (cfr., tra le tante, Cass. n. 81 del 2000; Cass. n. 8140 del 2004; Cass. n. 10857 del 2008 e, da ultimo, Cass. n. 20307 del 2011) di questa Corte (alla quale si aderisce) – sono configurabili come gravi difetti dell’edificio, a norma dell’art. 1669 c.c., anche le carenze costruttive dell’opera – da intendere anche come singola unità abitativa – che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come nel caso in cui la realizzazione sia avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, età), purchè tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorchè ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o anche mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati.

In altri termini, il vizio che assume rilevanza ai sensi di cui al citato art. 1669 c.c. deve essere in grado di pregiudicare in modo grave (e non necessariamente globale) la funzione alla quale l’immobile è destinato, limitandone in modo notevole la possibilità di godimento (anche con riferimento ad una sola parte apprezzabile dello stesso). Siffatto pregiudizio, quindi, non deve incidere indispensabilmente sulla stabilità dell’opera, nè comportare pericolo di rovina in senso stretto, dovendosi annoverare tra i gravi difetti di costruzione, valutabili ai fini dell’applicabilità dell’art. 1669 c.c. in discorso, anche quelli che si risolvono nella realizzazione dell’opera con materiale assolutamente inidoneo pur se riguardano elementi non propriamente strutturali quali i rivestimenti o la pavimentazione. Orbene, sulla scorta di tali presupposti, la Corte milanese, pur manifestando essenzialmente adesione al suddetto orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata) che incasella nell’alveo di applicabilità del menzionato art. 1669 c.c. ogni alterazione che incida in modo sensibile sugli elementi strutturali e funzionali della costruzione comportando un’apprezzabile menomazione dell’ordinario godimento dell’opera e della normale utilità cui essa è destinata, è pervenuta, alla stregua di un percorso motivazionale insufficiente e contraddittorio (con riferimento alla valutazione delle circostanze fattuali rimaste obiettivamente accertate), alla conclusione di escludere che i difetti riscontrati nella fattispecie sottoposta al suo esame – quali conseguenze ricollegabili alla cattiva esecuzione dei sottofondi della pavimentazione – potessero essere ricondotti nell’ambito delle suddette alterazioni perchè non pregiudicanti in misura considerevole la funzionalità in senso proprio e le ordinarie condizioni di utilizzo dell’abitazione. Così argomentando, infatti, la Corte territoriale, oltre alla essenziale genericità dell’impostazione valutativa dei difetti dedotti in giudizio, non ha tenuto conto delle univoche risultanze della c.t.u. in relazione alla gravità e all’ampiezza delle lesioni (generalizzate in tutte le pavimentazioni ed estese a tutto l’edificio), come tali comportanti – per stessa ammissione evincibile dalla motivazione (v. pag. 8 della sentenza) – il rifacimento integrale del massetto e, quindi, la rinnovazione e la successiva sostituzione dell’intera pavimentazione.

Alla stregua di tali emergenze il giudice di appello ha, dunque, errato nell’escludere l’insussistenza di un’imperfezione costruttiva di natura strutturale (il c.t.u. ha addirittura evidenziato che, in virtù del ridotto grado di coesione presente nella pavimentazione, sarebbe stata sufficiente la semplice pressione delle dita per produrne lo sgretolamento), come tale idonea a pregiudicare in modo duraturo una delle finiture essenziali dell’abitazione (strutturata, peraltro, su più livelli), quale il pavimento, in dipendenza della anomalia di posa del sottofondo, con la correlata necessità di demolizione dei pavimenti inesattamente messi in opera e dell’inerente massetto e della loro completa sostituzione (v., per una fattispecie analoga, Cass. n. 10857 del 2008, cit). La Corte di appello lombarda è, pertanto, incorsa nella dedotta violazione di legge (di cui al terzo motivo) e nel prospettato vizio motivazionale (esposto nel quarto motivo) nell’escludere – alla stregua di un percorso argomentativo per molti versi illogico e, in ogni caso, inadeguato – che, in presenza di vizi del massetto e del sottofondo della pavimentazione riscontrati nella generalità dei locali dell’immobile in questione (sviluppato in più piani), tali da interessare quasi tutte le pavimentazioni del fabbricato e provocanti le generalizzate fessurazioni oltre al generale distacco della pavimentazione in legno, in virtù di difetti riconducibili al cedimento del massetto (determinanti la necessità della rimozione totale del pavimento e della sua completa sostituzione), si ricadesse nell’ambito di applicabilità dell’art. 1669 c.c.

5. In definitiva, devono essere accolti il terzo e quarto motivo del ricorso, con la conseguente cassazione in proposito della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che, nel rinnovare in modo logico e sufficiente la motivazione in ordine alle emergenze fattuali obiettive scaturite dal complessivo svolgimento del giudizio (con particolare riguardo, naturalmente, alle risultanze istruttorie), si atterrà – con riferimento all’accolta doglianza relativa alla dedotta violazione di legge – al seguente principio di diritto: “il difetto di costruzione” che, a norma dell’art. 1669 c.c., legittima il committente all’esperimento della relativa azione di responsabilità nei confronti dell’appaltatore, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” o il “perìcolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente e in modo particolarmente considerevole sul godimento dell’immobile medesimo, come nel caso (ricorrente nella fattispecie) in cui l’imperfezione costruttiva di natura strutturale riguardi la finitura essenziale del pavimento (nella sua quasi globalità) determinante la inutilizzabilità dell’abitazione (nel caso in questione strutturata su più livelli) a causa dell’anomalia di posa del sottofondo con correlato cedimento del massetto, in tal modo conseguendo la necessità della rimozione della pavimentazione e della sua successiva completa sostituzione”. I giudice di rinvio provvederà anche a regolamentare le spese della fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità dei primi due motivi del ricorso ed accoglie il terzo e quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 12 aprile 2012.

Il Consigliere estensore Il Presidente

Depositato in cancelleria

Roma, 6 giugno 2012.

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