La massima
Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale, con la conseguenza che non sussistono impedimenti a che i singoli condomini, non solo intervengano nel giudizio in cui tale difesa sia stata assunta dall’amministratore, ma anche si avvalgano, in via autonoma, dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore, non spiegando influenza alcuna, in contrario, la circostanza della mancata impugnazione di tale sentenza da parte dell’amministratore.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 6 febbraio 2013, n. 2840
Ritenuto in fatto
Con atto di citazione del 1997 ritualmente notificato, il sig. A..D. conveniva, dinanzi al Tribunale di Roma, il Condominio di via (omissis) e, sulla premessa di essere proprietario dell’appartamento ubicato al piano V int. 23, interessato – unitamente al soprastante lastrico solare (anche di sua esclusiva proprietà) – da fenomeni di dissesto e da numerose fessurazioni dovute all’omessa manutenzione da parte del predetto Condominio, chiedeva che quest’ultimo venisse condannato ad eliminare il dissesto delle strutture del proprio appartamento ovvero a rifondergli le spese sostenute a tal fine, oltre al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata utilizzazione dell’immobile. Nella costituzione del convenuto Condominio (che formulava, a sua volta, anche domanda riconvenzionale per l’ottenimento della condanna dell’attore all’esecuzione degli interventi necessari per risanare la compromessa stabilità dell’edificio dovuta alla sopraelevazione dell’ultimo piano), il Tribunale adito, all’esito dell’espletata istruzione probatoria, con sentenza n. 15213 del 2002, accoglieva la domanda principale e rigettava quella riconvenzionale, condannando, perciò, il predetto Condominio al pagamento, in favore dell’attore e per il titolo dal medesimo dedotto in giudizio, della somma di Euro 74.971,00, oltre interessi e detratta la quota dallo stesso D. dovuta, nonché alla rifusione delle spese giudiziali.
Interposto appello da parte del menzionato Condominio e nella costituzione dell’appellato, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 593 del 2007 (depositata il 7 febbraio 2007), in parziale accoglimento del formulato appello (che rigettava nel resto), determinava in Euro 60.683,88 (con esclusione della richiesta rivalutazione), la somma che il Condominio appellante avrebbe dovuto rimborsare al D. , ferma restando la detrazione della quota dovuta da quest’ultimo, con gli interessi legali dalla domanda; la Corte capitolina, inoltre, compensava integralmente tra le parti le spese del grado. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale respingeva le doglianze relative alle contestazioni degli esiti della C.T.U. esperita in primo grado, sulla cui scorta era emersa anche la sussistenza delle condizioni di urgenza ed indispensabilità previste dall’art. 1134 c.c. in ordine ai lavori di impermeabilizzazione del lastrico solare e di ristrutturazione delle mura perimetrali; il giudice di appello rilevava anche l’infondatezza del motivo attinente al mancato assolvimento dell’onere probatorio, da parte del D. , con riferimento alla complessità della spesa sostenuta per i predetti lavori, per la quale, tuttavia, doveva ritenersi la natura di debito di valuta e non di valore, con la conseguente esclusione della rivalutazione monetaria.
Avverso la suddetta sentenza di appello (non notificata) hanno proposto ricorso per cassazione i sigg. A..S. e M.M. , quali condomini dell’edificio sito in v. (omissis) , riferito a cinque motivi, avverso il quale si è costituito, in questa fase, con controricorso il solo intimato D.A. .
Il difensore dei ricorrenti ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Occorre farsi carico, in primo luogo, dell’eccezione di inammissibilità del proposto ricorso, sollevata dal controricorrente, in base alla prospettazione che, pur non contestandosi la qualità di condomini – dell’edificio sito in (omissis) – dei due ricorrenti, agli stessi non sarebbe riconoscibile la legittimazione ad agire in giudizio (per come esercitata con il formulato ricorso), poiché la controversia in questione non atterrebbe alla tutela di un bene comune, se non nel senso che presupposto del diritto di credito fatto valere dallo stesso D. era il compimento di opere edilizie di risanamento di parti dell’edificio condominiale, circostanza, tuttavia, da ritenersi insufficiente a far configurare la condizione essenziale su cui è fondato il principio della necessaria comunanza inscindibile dell’interesse di ciascun comproprietario verso il bene comune che ne giustifica la legittimazione a partecipare al giudizio.
1.1. Rileva il collegio che l’avanzata eccezione è destituita di fondamento e deve, perciò, essere respinta.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 6856 del 1993; Cass. n. 2392 del 1994; Cass. n. 8842 del 2001; Cass. n. 12588 del 2002; Cass. n. 9206 del 2006; Cass. n. 10717 del 2011 e Cass. n. 14765 del 2012), configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale, con la conseguenza che non sussistono impedimenti a che i singoli condomini, non solo intervengano nel giudizio in cui tale difesa sia stata assunta dall’amministratore, ma anche si avvalgano, in via autonoma, dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore, non spiegando influenza alcuna, in contrario, la circostanza della mancata impugnazione di tale sentenza da parte dell’amministratore. Pertanto, con riferimento al caso di specie, essendo pacifica la qualità di condomini dei due ricorrenti (oltretutto comprovata documentalmente dal titolo di proprietà ritualmente prodotto e non contestato) ed attenendo indiscutibilmente la controversia alla tutela di un bene comune e, quindi, alla difesa di diritti inerenti l’edificio condominiale oltre che, mediatamente, degli interessi patrimoniali ‘pro quota’ dei medesimi ricorrenti, deve affermarsi che sussiste la loro legittimazione alla proposizione del ricorso per cassazione.
2. Ciò posto, con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1126, 1134, 2051 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., formulando, ai riguardo, il seguente quesito di diritto (in virtù dell’ari 366 bis c.p.c. ‘ratione temporis’ applicabile nella specie, trattandosi di un ricorso per cassazione proposto avverso una sentenza pubblicata il 7 febbraio 2007 e, quindi, nella vigenza di detto articolo): ‘dica la Corte adita se la disposizione dell’art. 1126 c.c., il quale regola la ripartizione tra i condomini delle spese di riparazione del lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisca solo alle riparazioni dovute a vetustà e non a quelle riconducibili a difetti originari di progettazione, o di esecuzione dell’opera, indebitamente tollerati dal singolo proprietario e se, in caso di difetti originari o di progettazione dell’opera, competa, in via esclusiva al proprietario del lastrico solare ex art. 2051 c.c. il ripristino delle parti strutturali, rimanendo esclusa la relativa spesa ai sensi dell’art. 1134 c.c. anche in caso di urgenza’.
3. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1134, 1105 e 2697 c.c., nonché il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.. Quanto alla dedotta violazione di legge risulta indicato il seguente quesito di diritto: ‘dica la Corte se per avere diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la cosa comune, il condomino che si sostituisce all’amministratore deve dimostrarne l’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c., ossia la necessità di eseguirla senza ritardo e, quindi, senza potere avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini, e se detto presupposto non debba essere escluso dalla circostanza che è già in corso giudizio per la condanna del Condominio all’esecuzione dell’opera stessa’. Con riferimento al vizio motivazionale i ricorrenti deducono Terrore del giudice del gravame con riferimento alla circostanza che, nonostante fosse stato confermato nelle conclusioni in primo grado da parte del D. come al momento della proposizione della domanda i lavori per i quali era stato concesso il rimborso della relativa spesa non fossero iniziati, aveva ignorato che, allo stato, avrebbero dovuto essere informati degli eventi l’amministratore e i condomini, evidenziando che tale errore era aggravato dal fatto che, malgrado fosse in corso controversia sul punto, era stata attribuita ai condomino sostituitosi all’amministratore la facoltà di decidere in sostituzione e per il condominio.
4. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1134, 1226 e 2697 c.c. in relazione agli artt. 132, 61, 115 e 116 cpc, nonché per ulteriore contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.. Ai sensi dell’art. 366 bis cpc i ricorrenti hanno indicato il seguente quesito di diritto con riferimento alla violazione ricondotta all’art. 360 n. 3 c.p.c.: ‘dica la Corte se, per avere diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la cosa comune, il condomino che si sostituisce all’amministratore deve fornire precisi elementi di prova inerenti l’esborso delle somme dallo stesso speso oltre alla verificatasi impossibilità nella circostanza di non aver potuto avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini, e ciò ex art. 1134 c.c. e, se nella medesima circostanza, possa invocarsi, per la prova, il criterio sussidiario dell’equità, riservato ex lege o a situazione contrattuali ben determinate od all’azione di risarcimento del danno’. Quanto al vizio motivazionale i ricorrenti hanno evidenziato che il giudice di appello era incorso nel medesimo errore del Tribunale di primo grado rimettendosi per la decisione esclusivamente alla valutazione del c.t.u. per fissare il ‘quantum’ del rimborso, nonostante le somme fossero, se pur espressamente contestate, relative alla valutazione dei lavori eseguiti, senza che, tuttavia, fosse stato fornito alcun elemento di prova in ordine al pagamento di somme da parte del D. , che erano facilmente documentabili in corso di caso. Pertanto, non sarebbe stato onere del Condominio convenuto rendere la prova idonea ma competeva all’attore integrare la c.t.u. con elementi atti a determinare esattamente il ‘quantum’ del rimborso eventualmente a lui dovuto, ove fossero sussistiti i presupposti di cui all’art. 1134, ultima parte, c.c..
5. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1134, 1126, 1294, 1299, 1123 e 1282 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., formulando in merito il seguente quesito di diritto: ‘dica la Corte se per aver il rimborso della spesa ex art. 1134 c.c. affrontata dal condomino per conservare la cosa comune, questi debba richiederne “pro quota” ex art. 1123 e 1126 c.c. i relativi importi ai singoli condomini, secondo i principi di cui agli artt. 1294 e 1299 c.c., con gli interessi compensativi dai singoli esborsi al soddisfo’.
6. Con il quinto motivo i ricorrenti hanno inteso far valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 336 cpc, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., esponendo, al riguardo, il seguente quesito di diritto: ‘dica la Corte se il giudice del gravame, una volta riformata anche in un sol punto la sentenza impugnata, debba riformare la stessa anche sul punto inerente le spese di lite, come liquidate in primo grado, con una diversa distribuzione tra le parti delle stesse, in relazione alle reciproche soccombenze’.
7. Cominciando dall’esame del primo motivo, il collegio rileva che esso è fondato e deve essere, quindi, accolto per le ragioni di seguito spiegate.
Con tale doglianza – mediante la quale i ricorrenti deducono, in effetti, anche un vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata – hanno, oltre alla dedotta violazione di legge compendiata nel riportato quesito di diritto, esplicitato la sintesi del suddetto vizio logico nel senso che la Corte di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, si era posta in contrasto con il disposto di cui agli artt. 1126 e 2051 c.c. ed era risultata lesiva del diritto del Condominio nella misura in cui aveva inadeguatamente motivato sul fatto decisivo e controverso del giudizio relativo alla mancata valorizzazione della distinzione tra spese di manutenzione e ricostruzione necessarie per vetustà o cattiva manutenzione e spese resesi necessarie per carenze o vizi costruttivi della copertura. In proposito, in presenza di concause nelle infiltrazioni manifestatesi nell’appartamento del D. , determinate in parte da vetustà e in parte riconducibili a possibili vizi costruttivi, i ricorrenti hanno dedotto che sarebbe stato onere dell’attore in primo grado (e, quindi, dello stesso D.) dimostrare il suo credito in relazione alle presunte ed invocate responsabilità del Condominio convenuto. Diversamente, quest’ultimo sarebbe rimasto penalizzato (come si era, in effetti, verificato), in difetto di univoci elementi anche contabili, il cui onere di produzione incombeva al medesimo attore, circa la differenza delle relative imputazioni di spesa, con l’addebito, a suo carico, della spesa, nella quota di spettanza dei due terzi, relativa sia ai costi inerenti la vetustà del solaio che a quelli indispensabili per l’esecuzione delle opere dirette a rimediare ai vizi costruttivi dell’opera di esclusiva proprietà del D. .
A fronte della prospettazione in questi termini della censura principale posta a fondamento del gravame, la Corte territoriale (v. pagg. 4-5 della motivazione), pur asserendo che la sopraelevazione (con particolare riferimento all’appartamento del D. ) non aveva arrecato e né arrecava, per modalità di costruzione, alcun danno alla stabilità del fabbricato condominiale (oggetto della domanda riconvenzionale proposta in primo grado dal Condominio convenuto), stabilisce, poi, ponendo riferimento ‘per relationem’ alla sentenza di primo grado, che il Condominio stesso era tenuto a sostenere la spesa necessaria per il rifacimento della parte esterna delle mura perimetrali e per il rifacimento del lastrico solare, senza, tuttavia, dare conto della determinazione effettiva dell’origine dei danni ed, anzi, prescindendo dal concreto accertamento sul se le cause degli stessi fossero riconducibili anche a vizi costruttivi. In altri termini, la Corte capitolina, con l’adottato percorso motivazionale, non ha adeguatamente risposto alla predetta censura mossa dall’appellante, non cogliendone appieno te ragioni poste alla sua base, poiché non ha indicato, in modo univoco, quali fossero la natura e l’origine dei vizi effettivamente afferenti alle parti condominiali e, quindi, quale fosse la reale ragione di addebito – e, perciò, di imputazione – dell’onere economico per l’esecuzione delle riparazioni posto a carico del Condominio. Così regolandosi la Corte di secondo grado non ha congruamente considerato la portata effettiva dalla principale doglianza dell’appellante Condominio in ordine alla possibile erroneità dell’applicazione del disposto di cui agli artt. 1126 e 2051 c.c. in relazione alle spese sostenute dal D. per l’integrale rifacimento del lastrico solare, senza, cioè, considerare e dare compiutamente conto che tali spese avrebbero potuto essere impiegate anche per l’eliminazione di vizi costruttivi del suddetto lastrico (di esclusiva proprietà del medesimo D. ), il cui onere non poteva essere fatto ricadere sul Condominio. A tal proposito, in punto di diritto, si osserva che, secondo la univoca giurisprudenza di questa Corte (che non risulta in alcun modo valorizzata dal giudice di appello), in tema di condominio, la disposizione dell’art. 1126 c.c., il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetustà e non a quelle riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell’opera, indebitamente tollerati dal singolo proprietario; pertanto, in tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi, la responsabilità relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al risarcimento, fa carico in via esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex art. 2051 c.c., e non anche – sia pure in via concorrenziale – al condominio (cfr. Cass. n. 5925 del 1993; Cass. n. 6060 del 1998 e, da ultimo, Cass. n. 9084 del 2010). In altri termini, mentre per i vizi riconducibili a vetustà e a deterioramento per difetto di manutenzione del lastrico solare trova applicazione (v. Cass., S.U., n. 3672 del 1997; Cass. n. 5848 del 2007 e Cass. n. 4596 del 2012) l’art. 1126 c.c. (secondo le proporzioni di apporto economico in esso previste per le relative riparazioni, ovvero nella misura dei due terzi a carico dei condomini, ai quali il lastrico serve da copertura, e di un terzo da accollare al titolare della proprietà superficiaria o dell’uso esclusivo), con riferimento alla responsabilità per i danni ricollegabili ai difetti originari di progettazione o di esecuzione, anche in sede di ricostruzione, del lastrico solare si applica il disposto dell’art. 2051 c.c., con il conseguente accollo del relativo onere economico in capo al proprietario esclusivo dello stesso, senza alcuna compartecipazione del Condominio.
Non avendo la Corte capitolina individuato adeguatamente l’origine e la natura delle cause determinatrici dei danni dedotti dal D. e non avendo provveduto, perciò, ad operare la necessaria distinzione tra i suddetti vizi ed i correlati titoli di responsabilità, verificando, in concreto, la sussistenza dei presupposti per far luogo all’applicazione dei principi giuridici appena indicati, con la determinazione della corretta ripartizione delle relative spese (sufficientemente riscontrate sul piano probatorio) in funzione delle rispettive ragioni di imputabilità, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, con relativa cassazione in proposito della sentenza impugnata.
8. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, va accolto il primo motivo del ricorso, con il conseguente assorbimento degli altri motivi (il cui esame è logicamente dipendente dalla risoluzione della questione preliminare involta dalla prima doglianza) e la cassazione sul punto della sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Roma che si conformerà ai principi di diritto enunciati nel precedente paragrafo 7) e rielaborerà, in termini congrui ed adeguatamente logici (in applicazione degli stessi principi giuridici), la relativa motivazione in ordine all’aspetto censurato con il motivo accolto.
Allo stesso giudice di rinvio è demandata anche la regolazione delle spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Leave a Reply