La massima
Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire se e quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
SENTENZA 5 giugno 2012, n.9046
Alla consegna dell’immobile la promissaria acquirente A.F. versava 50 milioni di lire.
Nel 1993 la società venditrice Costruzioni Edili Pisoni Luigi & C snc esercitava il recesso dal contratto e chiedeva giudizialmente il rilascio del bene e il risarcimento del danno.
La convenuta eccepiva l’esistenza di infiltrazioni d’acqua e domandava in riconvenzionale il trasferimento dell’immobile ex art. 2932 cc e la riduzione del prezzo.
Il tribunale di Bergamo, riconosciuta la maggior gravità dell’inadempienza del venditore, ordinava la restituzione del doppio della caparra.
La Corte d’appello di Brescia il 22 aprile 2010 riteneva invece macroscopico l’inadempimento della convenuta, che aveva omesso il pagamento di 130 milioni di lire e modesto l’inadempimento di snc Costruzioni Edili Maffesi srl, (già Costruzioni Edili Maffesi snc, già Pisoni Luigi & C snc), posto che gli allagamenti delle parti comuni del vano sotterraneo e il conseguente malfunzionamento temporaneo dell’impianto telefonico erano stati inconvenienti temporanei, mentre la regolarizzazione amministrativa (variante di progetto e certificazione di abitabilità) era giunta positivamente, senza che la A. , già nel godimento del bene, ne risentisse pregiudizio.
Dato atto del legittimo recesso dal contratto, la Corte di appello dichiarava legittima la ritenzione della caparra e condannava la A. al pagamento dell’indennità da occupazione del bene, ragguagliata in lire 97 milioni circa per i 9 anni di occupazione dell’immobile (1992-2001), oltre spese condominiali. La promissaria acquirente ha proposto ricorso per cassazione, notificato invano il 13 luglio 2010 e con successo il 13 settembre 2010.
Parte intimata ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
I primi tre motivi, tra loro connessi, denunciano:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 2290 c.c. per difetto di legitimatio ad processum, in relazione agli artt. 75 e 182 c.p.c..
b) omessa e/o insufficiente motivazione sulla necessaria integrazione del contraddittorio con il socio receduto P. .
c) Violazione di legge in relazione al dedotto difetto di legittimatio ad processum e correlato difetto di motivazione. Nel primo motivo parte ricorrente censura la sentenza di appello per avere questa ritenuto la sussistenza della legittimazione della società Maffesi, affermando che la sostituzione del socio M. al socio P.A. non mutava la compagine sociale, che era soltanto modificata nella composizione, ferma restando la identità soggettiva della società.
A parere della ricorrente, in forza del trasferimento di quote dal socio P.L. a M.A.P. , il P. aveva perso la qualità di socio, ma doveva rimanere responsabile delle obbligazioni sorte fino al giorno del recesso.
Il secondo motivo espone che la Corte d’appello avrebbe insufficientemente motivato il convincimento circa la portata solo formale dell’atto di cessione di quote e mutamento di denominazione sociale, omettendo di considerare la richiesta di integrazione del contraddittorio.
L’esame degli atti, consentito dal carattere processuale della censura consente di verificare che con l’atto notarile Cavallo del 24 aprile 2002, concordi gli originari soci M.C. e P.L. , venne attuata la cessione della quota di partecipazione di quest’ultimo a M.A.P. .
Contestualmente i due soci M. modificarono la ragione sociale e adottarono altre misure (trasferimento sede, proroga durata, ampliamento oggetto sociale).
A fronte quindi di mutamento della compagine sociale e mera denominazione, immutata restava la legittimazione sostanziale e processuale della società, la cui esistenza non ha subito interruzioni di continuità.
Né vi era luogo a litisconsorzio necessario del cedente, posto che la di lui (cor)responsabilità per la quota di sua competenza per i debiti accertati in futuro, ma riguardanti il periodo anteriore alla cessione, responsabilità sancita dall’atto notarile anzidetto, non comportava un mutamento di legittimazione sostanziale relativa ai rapporti instaurati dalla società, ma solo, in ipotesi di insorgenza di posizioni debitorie, la soggezione del patrimonio del cedente.
Salvo quanto sopra, la separatezza tra obbligazioni sociali e personali esclude la configurabilità di un litisconsorzio necessario per le liti in cui sia coinvolta la società.
Infondato è anche il terzo motivo, che lamenta violazione degli artt. 75 e 182 c.p.c..
La Corte di appello ha ritenuto che per la rappresentanza in giudizio della società non fosse necessaria la rappresentanza congiunta, trattandosi di atto di appello avverso un atto rientrante nell’oggetto sociale, quale la compravendita di immobile.
Il ricorso deduce che lo statuto sociale della snc prevedeva la firma congiunta per il conferimento di ‘procure per singoli atti o categorie di atti’, sicché la firma disgiunta da parte di un socio sarebbe stata insufficiente per l’instaurazione del gravame.
La lettura dell’atto invocato smentisce ciò.
Vi si legge infatti che la rappresentanza legale in giudizio era conferita ai soci ‘nell’ambito dei rispettivi poteri’, che, quanto agli atti di ordinaria amministrazione, prevedevano la firma disgiunta.
Gli atti di vendita dei beni immobili, rientrando nell’oggetto sociale quale attività ordinaria della società, costituivano atti di ordinaria amministrazione, rispetto ai quali ognuno dei soci poteva poi esercitare il corrispondente potere in giudizio, coerentemente alla giurisprudenza invocata dalla ricorrente. Il riferimento alle ‘procure per singoli atti o categorie di atti’, di cui si legge nell’art. 6 dei patti sociali, è palesemente riconducitele soltanto a mandati da rilasciare per la rappresentanza sostanziale della società e non in giudizio, come è fatto palese dal richiamo specifico di cui si è detto, contenuto nel capoverso successivo, alla rappresentanza in giudizio. Fondati sono invece quarto e quinto motivo di ricorso, relativi a violazione e falsa applicazione dell’art. 1385 cc – diritto di recesso del promittente venditore – e a vizi di motivazione. Il giudizio di comparazione dei due inadempimenti, di cui è detto in narrativa, è attaccato sia con riferimento alla valutazione complessiva, che deve tener conto anche dei piccoli vizi strutturali (derivanti da infiltrazioni) risolti con modesta spesa (581,70 Euro per condomino riferisce la sentenza impugnata), sia alle carenze di carattere amministrativo.
Il ricorso sottolinea che l’irregolarità amministrativa dell’appartamento dipendeva dal mancato rilascio, alla data prevista per la consegna, della concessione in variante e del certificato di abitabilità, la prima conseguita nel 1994 e il secondo grazie al silenzio assenso ex lege 425/1994, come confermato dal controricorso (che precisa come la domanda fu inoltrata il 24 maggio 1994) e accennato a pag. 11 in sentenza.
Questa Corte osserva che, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, la data prevista per il rogito e il pagamento della maggiore rata era il 18 dicembre 1992 e che il recesso venne esercitato dalla società venditrice nel marzo 1993, in data quindi largamente anteriore a quella di regolarizzazione amministrativa dell’immobile.
Mette conto in proposito rilevare che la Corte di appello non ha adeguatamente valutato, ai fini della comparazione degli inadempimenti, la rilevanza di questa circostanza, del tutto trascurata.
La Corte di appello ha dato rilievo al fatto che la A. avesse preso già possesso dell’appartamento, ma non si è posta il problema della rilevanza della irregolarità urbanistica ai fini della validità dell’acquisto e della commerciabilità del bene anche in ipotesi di insorgere di necessità della rivendita, nonché delle incertezze che per l’acquirente derivano dalla mancata disponibilità del attestazione circa l’agibilità dell’immobile che va ad acquistare.
Il mancato rilascio del certificato di abitabilità costituisce un inadempimento dell’obbligazione derivante dal contratto di vendita (Cass. 19204/11), di cui va quantomeno verificata in concreto l’importanza e la gravità in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene (13231/10), fattori che non possono essere semplicisticamente considerati assorbiti dal godimento effettivo dell’immobile, in relazione all’interesse dell’acquirente di ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene (Cass. 10820/09).
In questa chiave, trascurata dalla Corte di appello, la sentenza merita la cassazione, poiché nel valutare la portata comparativa degli inadempimenti reciproci, ai fini di stabilire se essi si equivalgano o uno sia di portata maggiore ai fini di cui all’art. 1385 c.c.), è indispensabile la considerazione dell’elemento di cui sopra, riportata al tempo in cui era previsto l’adempimento. Il giudice di rinvio, designato in altra sezione della Corte di appello di Brescia, si atterrà al seguente principio di diritto: ‘Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire se e quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale’.
Pertanto, con riguardo alla compravendita immobiliare, valutando ex ante la condotta delle parti, il giudice di merito deve adeguatamente valutare anche se alla data prevista per il rogito fossero disponibili i documenti attestanti la regolarità urbanistica del bene, quali concessione edilizia in variante e certificato di abitabilità’.
Restano assorbiti i restanti motivi di ricorso, relativi al pagamento di indennità da occupazione e alle spese di lite, questioni dipendenti dall’esito della nuova valutazione rimessa al giudice di merito.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto e il quinto, assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia, che provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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