Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 5 dicembre 2014, n. 25811

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 12/15 novembre 1999 S.L. conveniva A.P. davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che venisse accertata la nullità dell’acquisto effettuato dalla convenuta con atto in data 3 dicembre 1989 di un immobile in Roma, Via Pisandro 19/21, in considerazione delle irregolarità edilizie non sanabili dell’edificio.
Con sentenza in data 10 luglio 2002 il Tribunale di Roma rigettava la domanda.
S.L. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma con sentenza in data 17 aprile 2008 in base alla seguente motivazione:
… l ‘art. 40 secondo comma della L 47/85, così prescindendo dalla regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, vale a dire dalla conformità o meno dell’immobile alla concessione (Cass. 5898/04), fa discendere la nullità degli atti di trasferimento di diritti reali di edifici e loro parti, per quanto interessa, dall ‘omessa menzione degli estremi della licenza edilizia da parte dell’alienante, ovvero dalla mancata allegazione della relativa domanda di sanatoria, con allegata la prova dell ‘avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione. Orbene, posto che tali adempimenti risultano compiutamente assolti nel rogito di compravendita del 4 dicembre 1989 e nel successivo atto di conferma del 17 febbraio 1993, laddove per l’appunto, figurano gli estremi della licenza urbanistica e, parimenti, è allegata copia dell’istanza della concessione in sanatoria, corredata dalla ricevuta di pagamento delle due prime rate della tassa di oblazione, è in effetti da ritenere che non sussistano gli estremi per dichiarare la nullità dell’atto, come del resto già opinato dal Tribunale. Il rilievo testè svolto, in primo luogo, importa così la non pertinenza delle censure dell’appellante circa la non veridicità dei riferimenti ai lamentati abusi, riscontrabili nel rogito e nell’istanza di sanatoria, trattandosi per l’appunto di una fattispecie esulante dalla suddetta comminatoria di nullità e che, ai sensi del primo comma del suddetto art. 40, nel caso in cui la sanatoria non sia accordata, comporterà piuttosto la sola demolizione delle parti abusive del manufatto.
Al di là della sostanziale genericità di tali ulteriori censure, poi, analoghe considerazioni valgono anche a proposito dell’eccessivo formalismo che inficerebbe l’interpretazione adottata dal Tribunale in merito al secondo comma dell’art. 40, posto che, come sopra evidenziato, la fattispecie dedotta dall’odierno appellante sembra viceversa ricadere nella previsione del secondo comma dello stesso articolo.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, S.L..
A.P. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce che la sentenza impugnata sarebbe dovuta entrare nel merito della domanda di sanatoria, rilevando le inesattezze e false attestazioni nella stessa contenute (come accertate dalla C.T.U.) e stabilire che gli abusi realizzati avevano dato vita ad una autonoma costruzione, assolutamente diversa da quella progettata con riferimento alla quale era stata rilasciata la licenza edilizia, per cui detta sanatoria non poteva conseguire accoglimento da parte del Comune e gli abusi edilizi perpetrati sull’immobile sarebbero rimasti tali, e quindi non poteva assolutamente esserle riconosciuta la possibilità prevista dalla legge 47/85 di legittimare e rendere commerciabile l’immobile derivato da quegli abusi.
Il motivo è fondato.
Questa S.C. ha avuto occasione di recente di affermare, discostandosi dal proprio precedente orientamento, che la non perfetta formulazione dell’art. 40, secondo comma, 1. 28 febbraio 1985 n. 47, consente tuttavia di affermare che dalla stesa è desumibile il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità di carattere formale per gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi (sent. 17 ottobre 2013 n. 23591).
La Corte di appello di Roma non si è attenuta a tale principio.
Il secondo motivo, con il quale il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello di Roma non abbia tenuto conto delle conclusioni cui era pervenuto il C.T.U. in ordine alla incommerciabilità dell’immobile, ed il terzo motivo, con il quale il ricorrente deduce che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della confessione di A.P. in ordine alla perpetrazione degli illeciti edilizi, vengono ad essere assorbiti.
In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà anche in ordine alle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, con assorbimento degli altri motivi; cassa la sentenza impugnata a rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma, anche per le spese del giudizio di legittimità.

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