Corte di Cassazione bis

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 4 febbraio 2014, n. 5501

Ritenuto in fatto

 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di condanna, in data 10/1/2011, del Tribunale di Pescara, rideterminava la pena inflitta a R.A. in mesi 4 di reclusione ed euro 200 di multa sostituendo la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria della multa pari ad euro 4.760 , in relazione al reato p. e p. dall’art 640 cod.pen. perché inducendo in errore D.F., con artifici e raggiri consistiti nel cedere a quest’ultima la propria azienda di gioielleria, completa di tutti gli arredi ed attrezzature ivi presenti, tacendo che parte dei predetti arredi era sottoposta a pignoramento in forza di procedure da parte di più A.G., si era procurata a danno della persona offesa, ingiusto profitto consistente in un maggior valore del prezzo di vendita. In Pescara il 18.11.2005.

1.1. I fatti, riassunti nel prologo della sentenza impugnata e nello stesso ricorso, per sommi capi sono i seguenti:

Con atto per notaio M. del 18-11-2005, R.A. cedeva la propria attività commerciale di gioielleria a D.F. per il prezzo pattuito di € 25.000,00, dei quali € 22.000,00 per l’avviamento commerciale ed i restanti € 3.000,00 ‘per attrezzature ed arredi calcolati a forfait’. Nell’atto pubblico, al punto 7, era stato pattuito che ‘rimarranno anno di competenza esclusiva della parte cedente i debiti ed i crediti comunque riconducibili ad operazioni anteriori alla data di cessione, anche se dovessero emergere successivamente’. Il corrispettivo era stato versato alla venditrice parte in contanti e parte a mezzo di n. 4 assegni bancari dell’importo nominale di € 5.000,00 ciascuno, da negoziare mensilmente dal febbraio al maggio 2006. Mentre il primo titolo era stato regolarmente incassato il 15-2-2006, i tre successivi assegni erano stati oggetto di sequestro probatorio disposto dalla Procura della Repubblica di Pescara con decreto del 31-3-2006, perché la D., avendo avuto notizia che parte degli arredi del negozio era oggetto di pignoramento mobiliare, aveva sporto denuncia-querela nei confronti della R., chiedendo il sequestro dei titoli. La permanenza del sequestro, lungamente osteggiato, nelle forme procedurali, senza successo, dalla R., che nel frattempo aveva provveduto ad estinguere le sue posizioni debitorie, avevano consentito alla controparte di non versare il prezzo pattuito per la cessione dell’azienda, pur avendone mantenuto la proprietà e la gestione. Quanto all’acquirente, la D., dopo aver conseguito il vantaggio portato dallo sfruttamento dell’azienda in difetto del pagamento della sua cessione, aveva anche ceduto l’attività aziendale, pur non avendo ancora versato il prezzo dell’acquisto. Solo in data 1-10-2007, il Tribunale del riesame aveva disposto il dissequestro dei tre assegni bancari e la restituzione alla R.A.; ma i titoli erano risultati privi di provvista.

1.2. Tanto premesso, avverso la sentenza su citata propone ricorso il difensore di fiducia dell’imputata, chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo:

a) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale in relazione all’art. 606, comma I, lett. b) C.p.p., violazione dell’art. 640 C.P., omesso esame, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 606, comma I, lett. e) C.p.p.. I giudici di merito, nei fatti ricostruiti non hanno individuato l’ingiusto profitto ed il danno che qualificano la fattispecie della truffa, con la conseguenza che il fatto contestato è privo di rilevanza penale. Sul punto la Corte di merito ha frainteso il principio giurisprudenziale fissato dalla Corte di legittimità con la sentenza n. 12027 del 1997 e lo ha applicato al caso in esame, anche se in tali fatti, non sono ravvisabili raggiri o danno. L’imputata, infatti, non ha mai percepito i soldi della vendita, perché i tre assegni da € 5.000,00 ciascuno sono stati sequestrati ed ha provveduto a liberare dalle procedure esecutive tutti i beni relativi all’azienda ceduta. La decisione impugnata, inoltre, si pone in contrasto con i principi stabili dalla Corte di legittimità che ha affermato che la truffa è reato istantaneo e di danno.

b) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale in relazione all’art. 606, comma I, lett. b) C.p.p., Violazione dell’art. 640 C.P.; Omesso esame, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 606, comma I, lett. e) C.p.p. La Corte d’appello, inoltre, non ha esaminato il motivo di ricorso che lamentava la carenza di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato.

 Considerato in diritto

 2. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

2.1. E’ affermazione non controversa nella giurisprudenza di legittimità che due sono gli elementi che integrano la fattispecie della truffa: la realizzazione da parte dell’autore della condotta decettiva e un’effettiva deminutio patrimonii, intesa in senso strettamente economico, del soggetto passivo. Entrambi tali elementi non sono correttamente delineati nell’impugnata sentenza.

2.2. Quanto alla natura, il reato di truffa si atteggia come reato istantaneo e di danno al patrimonio: esso, pertanto, si perfeziona nel momento stesso in cui si concretano tutti gli elementi che lo costituiscono e a differenza di altre ipotesi criminose che pure offendono il patrimonio, per le quali basta una situazione di pericolo, l’evento consumativo risulta esplicitamente tipizzato in forma di conseguimento del profitto con il danno altrui, elementi dell’arricchimento e del depauperamento che sono collegati contestualmente tra loro in modo da costituire concettualmente due aspetti di un’unica realtà.

E’ stato opportunamente affermato da questa Corte che: ‘Essendo la truffa, quanto alla collocazione sistematica della disposizione incriminatrice nel titolo XIII del libro II del codice penale e all’oggettività giuridica tutelata, delitto contro il patrimonio mediante frode, mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sè qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l’elemento del danno, proprio in virtù dell’evento consumativo che caratterizza tipicamente la realizzazione della fattispecie criminosa, deve avere necessario contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l’effetto di produrre – mediante la ‘cooperazione artificiosa della vittima’ che, indotta in errore dall’inganno ordito dall’autore del reato, compie l’atto di disposizione – la perdita definitiva del bene da parte della stessa. … ‘e , per ciò che attiene alla truffa contrattuale, che: ‘ … l’opportunità di agganciare in modo rigoroso al verificarsi di un danno economico patrimoniale la repressione penale di comportamenti che ledono la libertà negoziale consente di limitare l’area dell’intervento penale rispetto a quella del diritto civile. L’opposta opinione, tendendo a trasformare il delitto di truffa, contro la lettera e la chiara voluntas legis, in reato di attentato alla sola libertà di consenso della vittima nei negozi patrimoniali e di mero pericolo per l’integrità del patrimonio di questa, opera in realtà un’inammissibile dilatazione dell’ambito di applicazione della norma incriminatrice, la quale, invece, espressamente richiede uno specifico ed effettivo danno di indole patrimoniale, ovvero un reale depauperamento economico del soggetto passivo del reato, nella forma del danno emergente o del lucro cessante.” (SS.UU. n.l /1998 rv 212080)

2.3. Il chiaro insegnamento di questa Corte, condiviso e fatto proprio da questo collegio, consente di individuare l’erronea affermazione insita nel giudizio della Corte di merito. La Corte di merito ha affermato: ‘E’, dunque, irrilevante, ai fini che qui interessano, il fatto che, in ipotesi, sia stato pagato, magari, il giusto corrispettivo per una controprestazione effettivamente fornita all’acquirente (che, poi, per circa un anno e mezzo, ha esercitato, di fatto, l’attività ceduta), dato che l’illecito si è, comunque, realizzato per il solo fatto che la parte acquirente è, in concreto, addivenuta alla stipula di un contratto che, senza l’artificio o raggiro consistente nell’aver la venditrice taciuto dei pignoramenti gravanti sugli arredi venduti, l’acquirente medesima non avrebbe inteso concludere o avrebbe inteso concludere a condizioni sicuramente più vantaggiose, in termini di controprestazione (prezzo complessivo da corrispondere). Ingiusto profitto e danno sono costituiti dal vantaggio e, rispettivamente, dal pregiudizio derivanti alle parti dalla stipula stessa del contratto fatta su presupposti di conoscenza della realtà dei fatti (da parte dell’acquirente) erronei, perché frutto del silenzio serbato dalla parte venditrice. Del pari, alla luce di quanto appena spiegato, irrilevante ed indifferente è sia il fatto che, in concreto, la venditrice abbia estinto, dopo la stipula del contratto, tutte le posizioni di debito a suo carico sugli arredi venduti, sia il fatto che nel contratto fosse stato previsto espressamente che ‘i debiti e i crediti comunque riconducibili ad operazioni anteriori alla data di cessione, anche se dovessero emergere successivamente, rimarranno di competenza della cedente’. Infatti, si tratta, nel primo caso, di un post factum, e, nel secondo caso, comunque di una clausola che, agli occhi dell’acquirente reso volutamente ignaro dell’esistenza dei pignoramenti, può essere apparsa come una mera clausola di stile, ma non ancorata ad una effettiva realtà negativa, realtà che, viceversa, era stata taciuta; in altri termini, l’esistenza di detta clausola in presenza del silenzio serbato sulla effettiva e già attuale esistenza dei pignoramenti non esclude la sussistenza del reato e la penale responsabilità dell’imputata, posto che quello che rileva (ed ha rilevato, di fatto, stando anche alle dichiarazioni della persona offesa e del marito) è che la persona offesa, in ogni caso, qualora avesse saputo dell’esistenza, già in partenza, dei pignoramenti (e non di debiti prospettati come meramente eventuali), non avrebbe proprio e comunque inteso concludere il contratto (e, quindi, non avrebbe, oltretutto, corrisposto buona parte del prezzo concordato) o avrebbe inteso concluderlo a condizioni di prezzo più favorevoli.

2.4. Rileva il collegio che nell’interpretazione dei fatti, la Corte non abbia adeguatamente tenuto in considerazione che la truffa, anche nell’accezione di truffa contrattuale, è reato istantaneo e che gli elementi di tale reato vanno individuati alla momento della stipula del negozio e della costituzione del regolamento contrattuale.

2.5. Non si ritiene pertanto, logicamente congruo affermare che la clausola che esonera la controparte dai debiti dell’impresa contratti prima della cessione dell’azienda debba e possa essere rivisitata solo dal punto di vista dell’acquirente e non anche da quello del venditore.

E’ di tutta evidenza che se, come afferma la Corte la decettività del comportamento del venditore può essere individuata nell’aver taciuto, in sede di stipula dell’accordo contrattuale, che vi erano già dei debitori, deve necessariamente essere valutata, sempre nella prospettiva del venditore che in quella stessa sede, fu stipulata la clausola di esonero di responsabilità per debiti pregressi posto che in termini logici questo esonero rileva per l’elemento soggettivo e costituisce un indubbio controbilanciamento proprio della ipotetica coloritura truffaldina che avrebbe animato la condotta del venditore.

2.6. Senza tralasciare i vizi che inficiano la ricostruzione dell’aspetto del danno, che pure non è stato configurato in termini reali ed effettivi, ma solo astratti ed ipotetici, in contrasto con l’insegnamento di questa Corte, sicchè nella fattispecie in esame manca uno degli elementi costitutivi del reato, pregiudiziale è tuttavia che venga restituita all’interpretazione del contratto, la centralità che gli conviene, negli elementi di fatto costitutivi della fattispecie di reato di truffa contrattuale e che, invece, gli è stata negata dalla Corte di merito.

Riguardando la vicenda alla luce del regolamento contrattuale, la volontà di tacere l’esistenza di debiti ed le relative caratteristiche e l’inserimento della specifica clausola di esonero per debiti pregressi e l’obbligazione di tener al riparo controparte da evenienze eccessivamente gravose del contratto con esclusione di conseguenti profili di danno, non travalicano i profili di elementi di interpretazione del regolamento contrattuale da dibattere in sede civile, secondo le regole proprie del codice civile, perché escludono il dolo di reato.

2.7. La sentenza per le ragioni che precedono, deve essere annullata senza rinvio.

 P.Q.M.

 Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *