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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 30 gennaio 2013, n. 2212

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 10-5-1991 il Centro Residenziale per Anziani (omissis) ed il Comune di Laveno Mombello convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano B.O. ed A.C. chiedendo dichiararsi la nullità per vizio del consenso della testatrice del testamento pubblico del 30-7-1988 con il quale M.F. aveva nominato suoi eredi universali i suddetti convenuti, e conseguentemente dichiarare valido ed efficace il precedente testamento olografo redatto dalla stessa testatrice il 10-8-1983 e pubblicato il 3-5-1990, e dichiarare pertanto erede il Centro Residenziale per Anziani (omissis) e legatario il Comune di Laveno Mombello.

La B. ed il C. costituendosi in giudizio contestavano il fondamento delle domande attrici di cui chiedevano il rigetto, ed in via riconvenzionale chiedevano accertarsi la validità e l’efficacia del testamento pubblico del 30-7-1988.

Il Tribunale adito con sentenza del 13-10-2003 accoglieva le domande attrici e rigettava la domanda riconvenzionale.

Proposto gravame da parte da parte della B. e del C. cui resistevano il Centro Residenziale per Anziani (omissis) ed il Comune di Laveno Mombello la Corte di Appello di Milano con sentenza del 5-7-2006 ha rigettato l’impugnazione.

Avverso tale sentenza la B. ed il C. hanno proposto un ricorso articolato in tre motivi cui il Comune di Laveno Mombello ed il Centro Residenziale per Anziani (omissis) hanno resistito con controricorso; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione dei controricorrenti di inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale, in quanto priva sia di alcun riferimento alla sentenza impugnata sia di data.

L’eccezione è infondata.

La procura al difensore apposta a margine del ricorso, come nella fattispecie, deve considerarsi conferita per il giudizio di cassazione, e soddisfa quindi il requisito della specialità previsto dall’art. 365 c.p.c.; la mancanza di data poi non produce la nullità della procura, atteso che la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla sentenza gravata si ricava dall’intima connessione con il ricorso al quale accede, nel quale la sentenza è menzionata, nonché dalla nomina di un domiciliatario e/o di un difensore del foro di Roma con l’elezione di domicilio presso il medesimo (Cass. 25-7-2006 n. 16907), come appunto nella fattispecie.

Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 591 e 2697 c.c., censurano la sentenza impugnata avendo individuato in uno stato di eventuale mera alterazione delle facoltà intellettive della testatrice la causa della sua incapacità a redigere il testamento; in realtà anche dalle deposizioni dei testi indotti dalle controparti (dottor T., dottor Ca.Ga. e V..P. ) era emerso solo che la F. era in condizioni di non completa lucidità e non riconosceva le persone, senza alcuna indicazione chiara e certa sulla sua incapacità assoluta di intendere e di volere; inoltre i testi indotti dagli esponenti avevano affermato che la testatrice era ancora sostanzialmente lucida, sebbene con facoltà in parte diminuite o attenuate a cagione dell’età.

I ricorrenti aggiungono che anche la cartella clinica relativa al ricovero dal (omissis) al (omissis) presso l’Istituto Ortopedico (omissis) faceva generico riferimento allo stato della paziente “disorientata nello spazio e nel tempo” senza che tale annotazione fosse stata conseguente ad una indagine su di una patologia mentale.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando vizio di motivazione, rilevano sotto un primo profilo che il giudice di appello, senza esprimere alcuna giustificazione al riguardo, ha ritenuto di valorizzare le deposizioni dei testi favorevoli alla controparte rispetto a quelle dei testi dottor L. e dottor c. (commercialista il primo e geriatria e medico di famiglia il secondo).

Essi poi assumono che la Corte territoriale ha proceduto ad una acritica ricezione delle conclusioni del CTU, che del resto aveva ritenuto che la testatrice non fosse stata capace di intendere e di volere al momento della redazione del testamento pubblico del 30-7-1988 sulla base di un giudizio meramente probabilistico.

I ricorrenti inoltre sostengono che senza alcuna motivazione la sentenza impugnata ha aderito alle argomentazioni del CTU, il quale non aveva specificato il presunto nesso tra l’intervento al femore e la asserita riduzione delle facoltà mentali, senza comparare quanto indicato nella richiamata cartella clinica con gli accertamenti svolti in due precedenti ricoveri del marzo e del novembre 1987, dove era stato attestato che la paziente era lucida e che non si erano rilevate alterazioni nelle sue facoltà neurologiche.

Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 591 c.c. ed omessa motivazione, assumono che la sentenza impugnata ha del tutto ignorato la portata dell’atto di ultima volontà espresso dalla F. nella forma del testamento pubblico con dichiarazione ricevuta dal notaio Fa. di … che, pur non potendo attestare lo stato personale della disponente, aveva recepito una volontà di cui aveva dato atto in un testamento destinato ad avere pubblica fede.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

La Corte territoriale, procedendo all’esame degli elementi probatori acquisiti, ha richiamato anzitutto le deposizioni dei testi C.G., medico di fiducia della F., e di P.V., che avevano assiduamente frequentato la testatrice negli ultimi anni della sua vita, e soprattutto del notaio T., specificando che i primi due testimoni avevano riferito del progressivo decadimento già nel … delle condizioni non solo fisiche, ma anche mentali, della F., che non riconosceva più le persone note e non aveva una esatta cognizione del tempo e dei luoghi; il T., poi, incaricato di redigere un testamento pubblico della F., si era recato presso la sua abitazione sia nel gennaio che nel (omissis) , ma in entrambe le occasioni si era rifiutato di redigere l’atto in quanto quest’ultima non appariva in grado di essere pienamente consapevole di ciò che avrebbe dovuto compiere.

Il giudice di appello ha poi evidenziato che, in occasione di un ricovero presso l’Istituto Ortopedico (omissis) nell'(omissis) in seguito alla frattura di un femore, all’ingresso in ospedale ed anche successivamente era stato accertato un completo disorientamento nel tempo e nello spazio della F.

La sentenza impugnata ha quindi richiamato le conclusioni cui era giunto il CTU F.M., che aveva ritenuto, “in termini di prevalente probabilità”, che la F., in conseguenza dei fenomeni involutivi connessi all’età e della situazione di sostanziale incapacità di intendere e di volere riscontrata nel menzionato ricovero dell'(omissis) (accertamento peraltro coerente con l’esame neurologico del (omissis) effettuato presso l’Ospedale (OMISSIS), che aveva segnalato “soggetto dal tono dell’umore espanso per difetto di critica del reale”), verosimilmente insuscettibile di un apprezzabile miglioramento soprattutto a distanza di poco tempo, tenuto conto anche della recente malattia traumatica e del trattamento anestesiologico subito, non fosse capace di intendere e di volere all’atto della redazione del testamento pubblico del (omissis).

Pertanto la Corte territoriale, dopo aver affermato altresì che non costituisce prova del pieno possesso delle proprie facoltà mentali da parte del testatore la scelta del testamento pubblico, ha aderito alle indicazioni del CTU, ed ha poi aggiunto che il rilevato stato di incapacità di intendere e di volere di carattere totale e permanente della F. aveva comportato l’inversione dell’onere probatorio a carico di coloro che intendevano avvalersi del testamento impugnato in ordine al pieno possesso delle facoltà mentali da parte della testatrice al momento della redazione dell’atto, evidenziando che detto onere probatorio non era stato assolto.

Il giudice di appello, quindi, avendo indicato puntualmente le fonti probatorie del suo convincimento, ha posto in essere un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale immune dalle censure sollevate dai ricorrenti, che invero tendono inammissibilmente a prospettare una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti – trascurando così di considerare la competenza esclusiva al riguardo del giudice di merito anche in ordine all’apprezzamento delle prove ritenute più convincenti e delle deposizioni testimoniali considerate più attendibili – senza evidenziare specificatamente eventuale vizi nell’”iter” argomentativo seguito dalla sentenza impugnata.

Correttamente poi la Corte territoriale ha considerato di per sé irrilevante il fatto che il testamento pubblico viene redatto da un pubblico ufficiale al fine di ritenere che il disponente per tale ragione sia nel possesso delle sue facoltà mentali (vedi al riguardo Cass. 18-8-1981 n. 4939), tanto più che nella fattispecie, ha evidenziato, la relativa sottoscrizione, oltre che incerta nella sua stesura, presentava aspetti singolari, posto che il testamento risultava sottoscritto dalla F. come “Ma.Fu. ved. F. ” invece che come “M.F. ved. Fu.”.

Deve poi rilevarsi la correttezza delle conseguenze sul piano giuridico – sotto il profilo dell’onere probatorio spettante alla B. ed al C. (e da costoro non assolto) – tratte dalla sentenza impugnata all’esito della valutazione effettuata delle risultanze istruttorie, atteso che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte in tema di annullamento del testamento per incapacità del testatare, mentre costituisce onere a carico di chi quello stato di incapacità assume provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere del testatore, quando invece risulti lo stato di incapacità permanente di quest’ultimo (come nella fattispecie), incombe a colui che faccia valere il testamento dimostrare che la redazione è avvenuta in un intervallo di lucidità (Cass. 6-5-2005 n. 9508).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 5.000,00 per compensi.

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