SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 25 maggio 2012, n. 8366

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 25-1-2006 M.T. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino la madre T. A., la sorella M.A. ed il coniuge G.E. chiedendo dichiararsi la nullità per vizio di forma del testamento del padre M.F. onde conseguire, a seguito della divisione dell’asse ereditario, la propria porzione di beni corrispondente alla quota a lei spettante per successione legittima, oltre alla condanna delle convenute al rendiconto per la gestione dei beni ereditari paterni ed alla restituzione delle somme a credito in proporzione alla quota di eredità.

A sostegno della domanda fattrice esponeva che M.F. in data (OMISSIS) era deceduto in (OMISSIS) dopo aver disposto dei propri beni con testamento pubblico a rogito notaio Chianale di Torino del 13-3-2001 mediante il quale aveva devoluto alla moglie ed alla figlia A., oltre a tutto il patrimonio mobiliare, anche gran parte di quello immobiliare, lasciando alla figlia T., oltre ad un magazzino e ad un pezzo di terreno coltivato ad orto in comunione con il marito, un alloggio e cinque box; l’esponente deduceva la nullità del predetto testamento pubblico anzitutto perchè redatto senza l’assistenza di quattro testimoni, necessari per il caso di testatore incapace di leggere e scrivere, ed inoltre perchè carente dell’indicazione dell’ora della sottoscrizione, richiesta a pena di nullità dalla Legge Notarile 16 febbraio 1913, n. 89, art. 51, n. 11 e art. 58.

Nella contumacia del G. si costituivano in giudizio la T. ed M.A. contestando il fondamento della domanda attrice e chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al pagamento del debito assunto da M.M. (sorella del defunto a lui premorta e zia dell’attrice) nei confronti del fratello e trasmesso “jure successionis” alla nipote M.T. con testamento del 30-3-1996.

Con sentenza non definitiva dell’8-2-2008 il Tribunale adito annullava il menzionato testamento pubblico per la mancanza della indicazione dell’ora di sottoscrizione del testamento, dichiarava in capo all’attrice la qualità di erede legittima di M. F., in accoglimento della domanda riconvenzionale delle convenute accertava l’esistenza di un credito dell’eredità di M.F. di Euro 8.521,54 nei confronti di M. T., e con separata ordinanza disponeva per il prosieguo del giudizio.

Proposta impugnazione da parte di M.A. cui resisteva M.T. mentre la T. ed il G. restavano contumaci la Corte di Appello di Torino con sentenza del 21-6-2010 ha rigettato tutte le domande proposte da M.T. dinanzi al Tribunale di Torino ed ha condannato quest’ultima al rimborso delle spese del secondo grado di giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza M.T. ha proposto un ricorso basato su due motivi cui M.A. ha resistito con controricorso; il G. e la T. non hanno svolto attività difensiva in questa sede; la ricorrente ha successivamente depositato una memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 606 c.c. e 112 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che, avendo l’esponente proposto nel giudizio di primo grado una domanda di nullità e non di annullamento del menzionato testamento pubblico, il giudice non poteva trasformare una tale domanda in una diversa se non violando il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, nè poteva estendere alla materia testamentaria principi formulati in tema di contratti.

M.T. rileva sotto un primo profilo che tale ultima statuizione è smentita dal richiamo contenuto nell’art. 606 c.c., comma 2, per ogni altro difetto di forma diverso da quelli enunciati nel primo comma dello stesso articolo, alla disciplina dettata in materia di contratti.

La ricorrente inoltre fa presente che il giudice investito della decisione di una controversia ha piena facoltà di attribuire alla domanda avanzata dalla parte una qualificazione giuridica diversa da quella originariamente proposta dalla parte stessa, sempre che sia stato rispettato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., che vieta la possibilità di attribuire alla parte un bene giuridico diverso da quello richiesto;

ora nella specie M.T. aveva richiesto fin dal giudizio di primo grado la caducazione del testamento redatto dal padre per la mancata indicazione dell’ora della sottoscrizione ai sensi del combinato disposto della Legge Notarile 16 febbraio 1913, n. 89, art. 51, n. 11 e art. 58, cosicchè il bene della vita oggetto della domanda, qualunque fosse la qualificazione giuridica, di nullità o di annullabilità, accolta dal giudicante, non era mutato dal punto di vista sostanziale.

La censura è fondata.

La Corte territoriale ha rilevato che l’attrice nel primo grado di giudizio aveva proposto una specifica domanda di nullità e non di annullamento del testamento pubblico per cui è causa, e che pertanto il giudice non poteva trasformare una tale domanda in una diversa, se non violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art 112 c.p.c.; al riguardo ha richiamato la pronuncia di questa Corte del 30-7-1999 n. 8285 come frutto di un principio generale di massima conservazione delle ultime volontà del defunto, specifico della materia testamentaria, nella quale quindi le azioni di nullità e di annullamento sono nettamente distinte quanto a presupposti, disciplina e conseguenze, cosicchè deve escludersi che l’una azione sia compresa nell’altra o siano in rapporto di fungibilità anche quando sono fondate sui medesimi fatti.

Tale convincimento non può essere condiviso.

Anzitutto è opportuno osservare che la menzionata pronuncia di questa stessa Corte del 30-7-1999 n. 8255, richiamata a sostegno del proprio assunto dal giudice di appello, non ha affatto affermato che la ritenuta radicate distinzione tra azioni di nullità e di annullamento nei termini sopra enunciati sia l’effetto di un principio specifico inerente alla materia testamentaria, avendo al contrario rilevato espressamente in motivazione che tale principio è valido “anche” in tale materia, oltre che evidentemente in tema di domanda di invalidità del contratto.

Sulla base di tale premessa, occorre subito aggiungere che in realtà l’orientamento di gran lunga prevalente maturato a tale ultimo proposito ritiene che la domanda giudiziale con cui la parte intenda far accertare la nullità di un contratto al fine di poterne disconoscere gli effetti si pone, rispetto ad un’ipotetica domanda di annullamento di quel medesimo contratto dipendente da una invalidità meno grave, nei termini di maggiore a minore, sicchè il giudice, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità di un contratto, può pronunciarne l’annullamento, ove quest’ultimo sia fondato sui medesimi fatti, senza che la sentenza sia censurabile per vizio di ultrapetizione (Cass. 12-11-1988 n. 6139; Cass. 13-12-1996 n. 11157; Cass. 26-11-2002 n. 16708; Cass. 18-7-2007 n. 15981).

Orbene tale indirizzo è pienamente convincente e meritevole di adesione, considerato che la nullità e l’annullabilità sono entrambe riconducibili alla invalidità dell’atto negoziale e che esiste tra di loro un rapporto di gradualità, costituendo manifestazione di diversi livelli di non conformità dell’atto al modello normativo; pertanto, dovendosi il “petitum” identificare con riferimento al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere in giudizio dalla parte, ne consegue che la pronuncia di annullamento di un contratto, ove fondata sui medesimi fatti dedotti nella domanda, non eccede i limiti della domanda stessa con cui la parte abbia chiesto la declaratoria di nullità del medesimo contratto; a tal riguardo è opportuno chiarire che, ogni qualvolta i fatti dedotti dall’attore stano coerenti con gli effetti giuridici ai quali, esplicitamente o implicitamente, egli abbia collegato la sua pretesa, correttamente il giudice, ove accerti l’esistenza materiale di quei fatti, ed anche indipendentemente dall’esattezza della qualificazione giuridica loro attribuita, accoglie la pretesa.

A tal punto deve rilevarsi che non sussistono ragioni di alcun genere per escludere l’applicazione di tali principi di natura processuale alla materia testamentaria, in presenza di una previsione normativa che disciplina sia le ipotesi di nullità, sia quelle di annullamento del testamento (art. 606 c.c., commi 1 e 2); in particolare il richiamo della sentenza impugnata al generale principio di conservazione delle ultime volontà del defunto è irrilevante, posto che tale principio esplica i suoi effetti sostanzialmente in tema di interpretazione della scheda testamentaria (Cass. 21-2-2007 n. 4022); ed è evidente che nella specie non ricorre una questione di interpretazione dei testamento, bensì di qualificazione della domanda di nullità del testamento stesso.

Pertanto nella fattispecie, in presenza di una domanda proposta da M.T. di nullità del testamento pubblico del 13-3-2001 per mancata indicazione dell’ora della sottoscrizione (prevista come requisito di detto testamento dall’art. 603 c.c., comma 3), correttamente il primo giudice, avendo ritenuto che tale carenza non comportava la nullità, ma l’annullabilità di esso, aveva qualificato la domanda stessa come tendente all’annullamento del testamento menzionato; invero, premesso che la identificazione degli effetti giuridici derivanti dai fatti dedotti in causa spetta al giudice, la deduzione della parte in ordine alla mancata indicazione dell’ora della sottoscrizione consentiva certamente al giudicante di individuare i corretti effetti giuridici che l’ordinamento ricollega all’assenza di tale requisito.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 606 c.c. e vizio di motivazione, assume che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che in ogni caso, anche qualora si fosse ritenuto ammissibile il mutamento della domanda di nullità del menzionato testamento pubblico in quella di annullamento dello stesso, quest’ultima era comunque infondata, considerato che in tale scheda testamentaria era indicata la data, e che la mancata indicazione dell’ora della sottoscrizione configurava un vizio di forma che non incideva sulla capacità del testatore nè faceva dubitare sulla sussistenza della sua reale volontà e sulle sue ultime disposizioni patrimoniali.

M.T. rileva che l’art. 606 c.c., comma 2, prevede la possibilità per qualsiasi interessato di richiedere l’annullamento di un testamento per ogni altro vizio di forma diverso da quelli contemplati nel comma 1 della citata disposizione; pertanto l’applicazione in via analogica al testamento pubblico della disciplina dettata per il testamento olografo era erronea, è posto che la presenza di un vizio afferente la scheda testamentaria, indipendentemente dalla sua incidenza in concreto, comporta la possibilità da parte di chiunque vi abbia interesse di chiedere ed ottenerne la caducazione.

La censura è fondata.

Il giudice di appello ha rilevato che, anche qualora si fosse ritenuto ammissibile una trasformazione della domanda di nullità del testamento per cui è causa in quella di annullamento di esso, nondimeno la mancata indicazione dell’ora della sottoscrizione non poteva comportare di per sè la sua invalidità, considerato che tale vizio di forma non incideva sulla capacità del testatore, nè faceva in alcun modo dubitare sulla sussistenza della reale volontà espressa da quest’ultimo e sulle sue ultime disposizioni patrimoniali.

Orbene, premesso che l’art. 603 c.c., comma 3, prescrive che il testamento pubblico deve indicare il luogo, la data del ricevimento e, per quel che interessa in questa sede, l’ora della sottoscrizione, e che l’art. 606 c.c., comma 1, non prevede quale conseguenza della mancanza di questo requisito la nullità del testamento in oggetto, ne consegue che tale difetto di forma può dar luogo all’annullamento di esso ai sensi dell’art. 606 c.c., comma 2.

La sentenza impugnata, come sopra esposto, ha ritenuto irrilevante la mancata indicazione dell’ora del suddetto testamento menzionando in proposito la pronuncia di questa stessa Corte del l’11-7-1975 n. 2742, che ha affermato che la questione della non verità della data del testamento olografo non è di per sè stessa causa di invalidità del testamento stesso – essendo influente soltanto se connessa con l’ulteriore questione concernente un fatto o un modo di essere della realtà anche negoziale, costituente esso la causa dell’invalidità – e che tale principio, per identità di “ratio”, deve ritenersi operante anche per il testamento pubblico; orbene tale richiamo è erroneo, in quanto la controversia oggetto della suddetta decisione riguardava appunto la questione della non verità della data (e non quindi la sua mancanza o la sua incompletezza) del testamento olografo, per la quale la relativa prova ai sensi dell’art. 602 c.c., comma 3, è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore, della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento;

invece sempre in tema di testamento olografo non si dubita che l’incompleta o omessa indicazione della data è causa di annullabilità dell’atto, poichè trattasi di requisito richiesto dall’art. 602 c.c., comma 2, ai fini della sua validità, che non può essere desunto “aliunde”, e che l’impugnativa di detto testamento volta ad accertare la mancanza o incompletezza di tale elemento, inoltre, è svincolata dalla necessità dell’indicazione di una determinata ragione che renda rilevante siffatto accertamento, a differenza dell’ipotesi in cui si agisca in giudizio al fine di provarne la non verità (Cass. 8-6-2001 n. 7783; Cass. 14-5-2008 n. 12124); pertanto è erronea l’applicazione in via “analogica” di un principio affermato in tema di testamento olografo riguardante la non veridicità della data e non invece la sua mancanza o incompletezza (ovvero l’assenza di tale requisito) alla fattispecie, dove il testamento pubblico è appunto privo di un requisito formale, cioè l’ora della sottoscrizione, espressamente richiesto dall’artt. 603 c.c., comma 3, per la sua sussistenza.

Pertanto non sussistono apprezzabili ragioni per escludere che tale difetto di forma consenta a chiunque vi abbia interesse di chiedere l’annullamento del testamento pubblico ai sensi dell’art. 606 c.c., comma 2; al riguardo è opportuno sottolineare che l’ordinamento configura il testamento come un negozio solenne, in cui il rigore formale è finalizzato a garantire la genuinità, la serietà e la ponderatezza dell’atto, data la sua importanza sul piano sociale, cosicchè non è consentito valutare come irrilevante, ai fini della validità del testamento, la mancanza di uno o più degli elementi costitutivi dei diversi tipi di testamento previsti dall’ordinamento in quanto ritenuta non incidente sulla effettiva volontà del testatore, sovrapponendo così al dato legislativo un criterio sostanzialistico inevitabilmente arbitrario.

In definitiva il ricorso deve quindi essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata per un nuovo esame della controversia nonchè per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.

P.Q.M.

LA CORTE

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.

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