Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 24 aprile 2014, n. 17794
Ritenuto in fatto
1. Con decreto del 3/8/2013 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Rimini disponeva nei confronti di G.P. il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 12 sexies l. 356/1992 della somma di denaro di € 6.000,00 in relazione all’ipotesi di reato di cui agli artt. 81 cpv. 644 cod. pen.
1.1. Avverso tale provvedimento proponeva istanza di riesame G.P. la mancanza del fumus del delitto ipotizzato.
1.2. Il Tribunale di Rimini respingeva l’istanza confermando il provvedimento impugnato.
2. Ricorre per Cassazione l’indagato G.P., sollevando il seguente motivo di gravame: violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 321 cod. proc. pen. non sussistendo presupposti per disporre il sequestro.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta fondato e merita, pertanto, accoglimento con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e rinvio al Tribunale di Rimini per nuovo esame.
Rileva, in via preliminare, il Collegio che in materia di misure cautelari reali, il giudizio di legittimità risulta estremamente circoscritto, in quanto cade in un momento processuale, quale quello delle indagini preliminari, caratterizzato dalla sommarietà e provvisorietà delle imputazioni; ciò comporta che in sede di legittimità non è consentito verificare la sussistenza del fatto reato, ma soltanto accertare se il fatto contestato possa astrattamente configurare il reato ipotizzato; si tratta, in sostanza, di verificare un controllo sulla compatibilità fra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una delibazione prioritaria dell’antigiuridicità penale del fatto (sez. U. n. 6 del 27/3/1992, Rv. 191327; sez. U. n. 7 del 23/2/2000, Rv. 215840; sez. 2 n. 12906 del 14/2/2007, Rv. 236386). E, con particolare riferimento al sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992, è necessario accertare, quanto al fumus commissi delitti, l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato, di uno dei reati indicati nella norma citata, e quanto al periculum in mora, attesa la coincidenza di quest’ultimo requisito con la confiscabilità del bene, la presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni che legittimano la confisca, e cioè da un lato la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, e dall’altro la mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (sez. 1 n. 16207 del 11/2/2010, Rv. 247237).
Sulla base di tale premessa, come correttamente argomenta il ricorrente, risulta del tutto carente la motivazione del provvedimento impugnato in ordine al periculum in mora e segnatamente in ordine alla ritenuta sproporzione fra il denaro sequestrato ed i redditi leciti del ricorrente, con particolare riferimento ai redditi percepiti dallo stesso nelle annualità del 2009, 2010 e 2011, essendo stata omessa qualsiasi analisi della documentazione prodotta dalla difesa in ordine alla lecita provenienza della somme di denaro sottoposte a sequestro che risulterebbe prelevata da un conto corrente intestato all’indagato.
Difatti, nel caso di specie, il Tribunale avrebbe dovuto valutare se la documentazione prodotta dall’indagato era idonea a superare la presunzione relativa di illecita accumulazione prevista nell’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992, norma che prevede la confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui il condannato risulta titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività economica. Sulla base del consolidato indirizzo espresso da questa Corte sono legittimamente confiscabili, a norma dell’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992, i beni e le altre utilità di cui il condannato per determinati reati non possa giustificare la provenienza, senza che rilevi se tali beni siano o meno derivanti dal reato per cui è stata pronunciata condanna, avendo il legislatore posto una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, superabile peraltro attraverso una giustificazione circa la legittimità della loro provenienza da parte dei soggetti che hanno la titolarità o la disponibilità dei beni; ed ai fini dell’assolvimento di tale onere, da un lato non è sufficiente che sia fornita la prova di un rituale acquisto, essendo necessario che i mezzi impiegati per il relativo negozio derivino da legittime disponibilità finanziarie; dall’altro non si richiede che gli elementi allegati siano idonei ad essere valutati secondo le regole civilistiche sui rapporti reali, possessori o obbligazionari, ma solo che essi, valutati secondo il principio della libertà della prova e del libero convincimento dei giudice, dimostrino una situazione diversa da quella presunta, il che certamente non implica sufficienza di prospettazioni meramente plausibili, ma neppure coincide con un concetto di rigorosa prova (sez. 6 n. 1087 del 26/3/1998, Rv. 211955; sez. 5 n. 3682 del 12/1/2011, Rv. 249711).
E nel caso di specie, nel provvedimento impugnato, non vi è nessuna effettiva motivazione in ordine alla sussistenza della sproporzione fra il denaro sottoposto a sequestro e le disponibilità lecite facenti capo all’indagato, essendovi solo un generico ed acritico riferimento ad uno squilibrio fra i redditi dichiarati e la disponibilità dei beni posti sotto sequestro e non essendosi tenuto conto, con valutazione apodittica, del reddito percepito nelle annualità precedenti al 2012.
Quanto al generico riferimento contenuto nel provvedimento impugnato all’art. 240 cod. pen. e quindi alle ipotesi di confisca ivi previste diverse da quella prevista nel citato art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992, risulta del tutto carente l’indicazione del nesso di pertinenzialità fra il denaro in contanti sottoposto a sequestro ed il reato di usura continuata per il quale si procedeva nei confronti del ricorrente. In sostanza risulta del tutto mancante, anche sotto questo diverso profilo, la motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora, che legittimava l’emissione della misura cautelare reale. In tal senso il Tribunale di Rimini dovrà chiarire se la somma di denaro sequestrata possa costituire il profitto del reato di usura continuata per il quale si procede nei confronti del ricorrente e come tale, potendo essere sottoposta a confisca ai sensi dell’art. 240 comma 1 cod. pen., rientri nelle cose delle quali può essere disposto, ai sensi dell’art. 321 comma 2 cod. proc. pen., il sequestro preventivo.
La motivazione in relazione al duplice profilo evidenziato, sia con riguardo all’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992 e specificamente alla sproporzione fra il denaro sequestro ed i redditi del ricorrente, che con riferimento all’art. 240 comma 1 cod. pen. con riferimento al nesso di pertinenzialità che deve legare il denaro sequestrato ai reati per i quali si procede, risulta, pertanto, meramente apparente e tale da integrare il vizio di violazione di legge.
4. Alla luce delle considerazioni sopra svolte, in accoglimento del ricorso, si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Rimini per nuovo esame, il quale, nel rispetto dei principi dianzi esposti, porrà rimedio ai rilevati deficit argomentativi.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Rimini.
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