SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 22 marzo 2012, n. 4621

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato il 28 gennaio 2004, C. C. e R.A.R., non in proprio ma quali rappresentanti legali della figlia minore C.N., nata il (OMISSIS), convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Grossetto T. A. e B.G. per fare accertare e dichiarare che C.N. era erede universale di C.L., deceduto il (OMISSIS), ed in tale qualità rivendicarono il diritto della figlia a vedersi riconosciuta la proprietà della tenuta agricola con sovrastanti fabbricati nel Comune di (OMISSIS), che le controparti avevano invalidamente acquistato a trattativa privata dal curatore dell’eredità giacente del suddetto progenitore, dopo che i chiamati per testamento avevano rinunciato (in data 11 ottobre 1976, 11 gennaio 1977 e 20 novembre 1978) all’eredità.

I convenuti si costituirono, resistendo e chiedendo la condanna degli attori ex art. 96 cod. proc. civ.

Il Tribunale di Grosseto rigettò la domanda, perchè C.N. non era neppure concepita all’epoca della morte del nonno, essendo nata dopo circa dieci anni dall’apertura della successione testamentaria; ma non ravvisò nella richiesta dell’attrice i contorni della lite temeraria.

2. – Ha interposto appello la soccombente.

L’impugnazione è stata resistita dalla T. e dal B.

Nel giudizio di gravame è intervenuta volontariamente P. I., nata nel (OMISSIS), moglie del deceduto C.L., rivendicando a sua volta, previa dichiarazione di nullità della vendita effettuata dal curatore dell’eredità giacente, la quota di 1/3 dei beni ereditari.

La Corte d’appello ha respinto il gravame della C. e le domande autonomamente proposte da P.I.

2.1. – La Corte di appello ha rilevato:

– che la capacità di succedere dei figli non ancora concepiti vale soltanto per chi sia stato designato dal tastatore, ma nella specie la figlia di C.C. non è stata designata erede testamentaria dal de cuius C.L.;

– che la P. a suo tempo rinunciò alla chiamata ereditaria, sicchè oggi non è più in grado di avanzare alcuna pretesa di carattere successorio nei confronti degli aventi causa dal curatore dell’eredità giacente;

– che l’accettazione tardiva dell’eredità da parte della P., per revoca della rinuncia ex art. 525 cod. civ., lascia comunque impregiudicati i diritti acquistati in buona fede sui beni ereditari dei terzi;

– che, quand’anche intesa in senso non successorio, la domanda della P. non può essere accolta, difettando la dimostrazione del presupposto essenziale, costituito dalla riconducibilità degli immobili controversi alla comunione legale tra i coniugi.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la C. e la P. hanno proposto ricorso, sulla base di quattro motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza le ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 462 c.c., comma 3, e pongono il quesito se il nascituro figlio dell’istituito erede per testamento rinunciante all’eredità, sebbene non ancora concepito all’apertura della successione, sia fin dalla nascita capace di succedere al defunto nonno, non essendo ancora decorso il termine decennale di prescrizione a causa della minore età.

1.1. – Il motivo è infondato.

A differenza del concepito, il quale ha una capacità di succedere generale ed, essendo abilitato a ricevere non solo per testamento, è un potenziale destinatario anche della vocazione ex lege (art. 462 c.p.c., comma 1), il nascituro non ancora concepito ha una capacità di succedere limitata al campo della successione testamentaria, giacchè il codice (art. 462, comma 3) ammette che “i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benchè non ancora concepiti” possano rendersi destinatari di un’attribuzione mortis causa soltanto a fronte di una espressa volontà testamentaria che li contempli. E poichè il diritto a succedere di chi viene all’eredità secondo l’istituto della rappresentazione – con cui si realizza il subingresso legale del rappresentante nel luogo e nel grado dell’ascendente rappresentato in tutti i casi in cui questi non possa o non voglia accettare l’eredità – ha carattere originario e deriva direttamente dalla legge, deve escludersi che chi non è ancora concepito al momento dell’apertura della successione, il quale è privo della capacità di rendersi potenziale destinatario della successione ex lege del de cuius, possa succedere per rappresentazione, essendo necessario, affinchè operi la vocazione indiretta, che il discendente, in quel momento, sia già nato o almeno concepito.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso che C.N., nata nel (OMISSIS), figlia di C.C. istituito erede testamentario e rinunciante, nel 1977, all’eredità, avesse capacità di succedere, non essendo ancora concepita al tempo della morte del nonno, avvenuta nel 1976, e non essendo stata istituita erede con il testamento dallo stesso redatto.

2. – Il secondo mezzo (sul merito dell’azione di eredità; omessa motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5) pone il quesito se, qualora venga respinta senza alcun esame un’azione di petizione di eredita, si ponga in essere quel vizio della motivazione che ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, consente alla parte di chiedere ed al giudice della legittimità di esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice del fatto, inteso in senso processuale.

Il terzo motivo è rubricato “sulla nullità della vendita dei beni ereditari con l’atto 5 marzo 2001 rog. Dott. Ciampolini; omessa motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio”.

Esso si conclude con il seguente quesito: “Dica la Corte, esaminati gli atti del giudizio di merito quale giudice del fatto in senso processuale, in relazione all’azione di petizione di eredità, se sussistono i presupposti di diritto per dichiarare la nullità dell’atto di vendita 5 marzo 2001 rogato Dott. Ciampolini”.

2.1. – Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione, sono anch’essi infondati, perchè entrambe le censure muovono da una premessa – la qualità di erede universale di C.N. – priva di fondamento, atteso quanto esposto con il rigetto del primo motivo di ricorso.

3. – Il quarto motivo, riferito alla posizione di P. I., è intitolato “contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio”. Il quesito che lo accompagna è del seguente tenore: “La domanda della intervenuta volontaria P.I. deve essere qualificata e quindi giudicata come pretesa di carattere successorio o come rivendicazione pro quota degli immobili in comunione legale fra C.L. e P. I.? I documenti allegati agli atti di causa sia dall’attrice che dall’intervenuta provano il titolo di acquisto da parte del de cuius dei beni caduti in successione e che gli stessi beni erano in comunione legale tra marito e moglie? La comproprietaria ex lege di una quota di eredità come nel caso di P.I., quale comproprietaria pretermessa, ha diritto di far valere la nullità della vendita del compendio ereditario, vendita nel caso effettuata dal curatore dell’eredità giacente con l’atto 5 marzo 2001 rog. Dott. Ciampolini”.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Per un verso, là dove censura la qualificazione in senso successorio della domanda della intervenuta, esso non coglie la ratio decidendi, la quale ha preso in esame il merito della pretesa della intervenuta P. sia sotto il profilo successorio, sia sotto il profilo della “rivendicazione della proprietà pro quota degli immobili in discussione” in virtù della “comunione legale preesistente tra marito e moglie”.

Per l’altro, là dove sostiene la riconducibilità degli immobili controversi nell’ambito della comunione legale, la doglianza è assolutamente generica.

Occorre infatti tenere presente che la Corte d’appello, premesso che anche dopo la riforma del diritto di famiglia “non tutto il patrimonio di ciascun coniuge cade automaticamente in comunione”, è giunta alla conclusione che, “non essendo stata acquisita in atti alcuna risultanza probatoria sui titoli di acquisto del de cuius, non può dirsi accertata… la confluenza dei beni in oggetto nella sfera patrimoniale del coniuge superstite”.

Ora, a fronte di ciò, il ricorso si limita a indicare una serie di documenti (già agli atti del giudizio di primo grado e allegati anche al fascicolo dell’intervenuta), senza tuttavia riportarne il contenuto e senza precisarne la loro decisività ai fini della dimostrazione dell’assunto della caduta degli immobili de quibus in comunione legale.

4. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

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