SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 2 febbraio 2016, n. 1987
Ritenuto in fatto
Con atto di citazione notificato il 20 giugno 2003 ed il 4 luglio 2003 Z.D. conveniva B.G. , E. ed O. davanti al Tribunale di Verona perché, dichiarati inefficaci nei suoi confronti il contratto di compravendita tra Z.L. ed i convenuti e quello tra P.V.E. ed i convenuti medesimi ed accertato il suo diritto al riscatto della quota di eredità di C.L. venduta a B.G. , E. ed O. , fosse a lei trasferita la proprietà della quota di 1/4 dell’immobile alienato, previo versamento ai detti convenuti della somma di Euro 348.662,69.
Essa premetteva che: C.L. era deceduta in (omissis) ; con testamento olografo del 24 settembre 1992 la C. aveva lasciato la proprietà della metà dell’immobile denominato Palazzo (omissis) sito in (…) alle figlie V.P.D. ed V.P.E. ed alle nipoti Z.D. e L. ; Z.L. aveva venduto la sua quota del detto bene a B.G. , E. ed A. con atto del Notaio Tinazzo del 4 dicembre 2000; con successivo atto del medesimo notaio del 24 dicembre 2002 V.E. aveva venduto agli stessi B.G. , E. ed A. la sua quota di tale immobile; aveva il diritto di prelazione sulle suddette quote perché essa era stata istituita erede con V.E. e Z.L. , mentre i convenuti erano estranei alla comunione ereditaria, non essendo stati nominati nel testamento della de cuius.
Il Tribunale di Verona, con sentenza n. 3366 del 2006, nel contraddittorio delle parti, rigettava la domanda attrice.
Avverso questa sentenza interponeva appello Z.D. .
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 903 del 2010, nel contraddittorio delle parti, rigettava l’appello. A sostegno di questa decisione la Corte distrettuale osservava: che gli appellati non erano dei soggetti estranei alla comunione, nei confronti dei quali sarebbe stato possibile esercitare il diritto di prelazione, ma erano da considerare eredi diretti della de cuius, in quanto succeduti alla madre V.P.D. per rappresentazione, avendo essa rinunciato alla propria eredità; che gli appellati erano poi compartecipi della comunione ereditaria poiché beneficiari, assieme agli altri nipoti, dei beni liquidi della de cuius; che Z.L. ed V.P.E. avevano ceduto non la loro quota di eredità, ma solo la loro proprietà del summenzionato immobile.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Z.D. con ricorso affidato a quattro motivi. B.O. , E. e G. hanno resistito con controricorso. In prossimità dell’udienza pubblica le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso Z.D. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 732 c.c. ex art. 360, n. 3, c.p.c.. Secondo il ricorrente la Corte di Appello di Venezia avrebbe erroneamente considerato soggetti non estranei alla comunione B.O. , E. e G. sul presupposto che sarebbero succeduti per rappresentazione alla madre V.P.D. , la quale sola, invece, aveva la qualità di coerede. In tal modo, era stato escluso che essa ricorrente potesse esercitare il diritto di prelazione riconosciuto dall’art. 732 c.c., in favore di ogni coerede nel caso uno dei comproprietari volesse cedere in tutto od in parte la sua quota di eredità a soggetti estranei alla comunione.
1.1- Il motivo è infondato.
L’art. 732 c.c. stabilisce che ‘Il coerede, che vuoi alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione. Questo diritto deve essere esercitato nel termine di due mesi dall’ultima delle notificazioni.
In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria. Se i coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto sono più, la quota è assegnata a tutti in parti uguali’. Tale disposizione concede, quindi, a tutti i coeredi un diritto di prelazione nel caso uno di loro ceda in tutto od in parte la sua quota di eredità, a condizione che l’acquirente sia non un coerede, ma un soggetto ‘estraneo’ alla comunione.
Sostiene la ricorrente che estranei alla comunione sarebbero, in caso di successione testamentaria (come nella specie), tutti coloro che non sono stati nominati eredi con il testamento che ha dato origine alla comunione stessa. Ne consegue che, a suo avviso, i convenuti, ancorché succeduti per rappresentazione alla madre V.P.D. , la quale era di certo una degli originari coeredi testamentari, sarebbero da considerare estranei alla comunione, non essendo stati indicati nel testamento quali eredi della res.
L’assunto non merita di essere condiviso.
Infatti, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di successione per rappresentazione il discendente rappresentante che subentri nel luogo e nel grado dell’ascendente rappresentato che non possa o non voglia accettare l’eredità succede direttamente al de cuius, con la conseguenza che la detta eredità è a lui devoluta nella identica misura che sarebbe spettata al rappresentato (Cfr. Cass. n. 12496 del 2007; n. 20018 del 2004). In applicazione di tale principio la Suprema Corte di Cassazione è giunta ad affermare che, in caso di successione per rappresentazione, il discendente rappresentante, essendo successore iure proprio nell’eredità, è legittimato all’esercizio del retratto successorio ex art. 732 c.c. (Cfr. Cass., n. 594 del 2015).
Se ne ricava che il successore per rappresentazione ha la qualità di coerede ai sensi dell’art. 732 c.c. e che, quindi, non può essere considerato un soggetto estraneo alla comunione nei cui confronti sia possibile esercitare il diritto di riscatto previsto da tale ultima disposizione (c.d. ius retractionis).
– Con il secondo ed il terzo motivo la ricorrente contesta la qualità di eredi dei resistenti con riferimento alla disposizione testamentaria che li aveva visti beneficiari della liquidità della de cuius, mentre con il quarto si duole della tardi vita della loro affermazione di essere eredi diretti e non solo per rappresentazione della testatrice. Epperò tutti questi profili sono ormai privi di rilievo, dovendosi comunque ritenere B.O. , E. e G. coeredi ex art. 732 c.c., ancorché succeduti per rappresentazione all’originaria coerede V.P.D. .
2.1.- Questi motivi (il secondo, il terzo ed il quarto) devono considerarsi assorbiti, posto che alla luce del rigetto del primo motivo, non sussiste più alcun interesse al loro esame.
In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cpc. condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori come per legge.
La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione dell’assistente di studio Dott. Dario Cavallari.
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