Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 14 maggio 2014, n. 10606
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente
Dott. NUZZO Laurenza – rel. Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28837/2008 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, P.ZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1138/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2014 dal Consigliere Dott. LAURENZA NUZZO;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’inammissibilita’ in subordine rigetto del ricorso.
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente
Dott. NUZZO Laurenza – rel. Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28837/2008 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, P.ZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1138/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2014 dal Consigliere Dott. LAURENZA NUZZO;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’inammissibilita’ in subordine rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato (OMISSIS) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Bologna, (OMISSIS) esponendo:
di essere proprietaria di una porzione immobiliare di un edificio sito in (OMISSIS);
l comproprietario convenuto aveva aperto una porta sul muro condominiale al fine di mettere in comunicazione i propri locali con altri di sua proprieta’, ubicati nell’immobile adiacente ed aveva eretto abusivamente una canna fumaria. Chiedeva, pertanto,la condanna del convenuto alla rimozione delle opere ed al ripristino della situazione preesistente nonche’ al risarcimento dei danni. Costituitosi in giudizio il (OMISSIS) assumeva che le opere in questione rientravano nel diritto del condomino all’uso della cosa comune, ex articolo 1102 c.c., e chiedeva il rigetto della domanda.
Con sentenza 6.4.2003 il Tribunale adito ordinava la chiusura della porta di comunicazione tra i due stabili, rilevando che l’apertura costituiva un uso abnorme del muro condominiale.
Avverso la decisione proponevano appello (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), succeduti a titolo particolare, a seguito di atto di compravendita 11.3.2003, nella proprieta’ dell’immobile del convenuto.
Resistevano in giudizio (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), deceduta nelle more del giudizio, chiedendo, in via incidentale, la condanna degli appellanti al pagamento delle spese al giudizio di primo grado. Con sentenza depositata il 10.7.2008 la Corte di Appello di Bologna respingeva l’appello principale e quello incidentale condannando gli appellanti principali al pagamento delle spese del grado.
Osservava la Corte di merito che il motivo di gravame principale, fondato sull’asserita appartenenza dei locali posti in comunicazione alla medesima unita’ immobiliare, introduceva una “nuova difesa”, come tale inammissibile ex articolo 345 c.p.c.; aggiungeva che la circostanza relativa alla comunione del muro maestro di divisione delle due unita’ immobiliari comportava solo la costruzione in aderenza dei due immobili e non costituiva titolo di comunione tra i due stabili, come pure desumibile dalla consulenza di parte appellante, per geom. (OMISSIS), prodotta dalla stessa parte in appello.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), formulando due motivi illustrati da memoria. Resistono con controricorso, depositato in cancelleria il 21.10.2010, (OMISSIS) e (OMISSIS).
di essere proprietaria di una porzione immobiliare di un edificio sito in (OMISSIS);
l comproprietario convenuto aveva aperto una porta sul muro condominiale al fine di mettere in comunicazione i propri locali con altri di sua proprieta’, ubicati nell’immobile adiacente ed aveva eretto abusivamente una canna fumaria. Chiedeva, pertanto,la condanna del convenuto alla rimozione delle opere ed al ripristino della situazione preesistente nonche’ al risarcimento dei danni. Costituitosi in giudizio il (OMISSIS) assumeva che le opere in questione rientravano nel diritto del condomino all’uso della cosa comune, ex articolo 1102 c.c., e chiedeva il rigetto della domanda.
Con sentenza 6.4.2003 il Tribunale adito ordinava la chiusura della porta di comunicazione tra i due stabili, rilevando che l’apertura costituiva un uso abnorme del muro condominiale.
Avverso la decisione proponevano appello (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), succeduti a titolo particolare, a seguito di atto di compravendita 11.3.2003, nella proprieta’ dell’immobile del convenuto.
Resistevano in giudizio (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), deceduta nelle more del giudizio, chiedendo, in via incidentale, la condanna degli appellanti al pagamento delle spese al giudizio di primo grado. Con sentenza depositata il 10.7.2008 la Corte di Appello di Bologna respingeva l’appello principale e quello incidentale condannando gli appellanti principali al pagamento delle spese del grado.
Osservava la Corte di merito che il motivo di gravame principale, fondato sull’asserita appartenenza dei locali posti in comunicazione alla medesima unita’ immobiliare, introduceva una “nuova difesa”, come tale inammissibile ex articolo 345 c.p.c.; aggiungeva che la circostanza relativa alla comunione del muro maestro di divisione delle due unita’ immobiliari comportava solo la costruzione in aderenza dei due immobili e non costituiva titolo di comunione tra i due stabili, come pure desumibile dalla consulenza di parte appellante, per geom. (OMISSIS), prodotta dalla stessa parte in appello.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), formulando due motivi illustrati da memoria. Resistono con controricorso, depositato in cancelleria il 21.10.2010, (OMISSIS) e (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorrenti deducono:
1) carenza di motivazione in ordine alla mancata disposizione della C.T.U., richiesta dai ricorrenti per accertare il fatto controverso costituito dalla comunione del muro maestro che divideva le due porzioni immobiliari contigue su cui insisteva l’apertura in questione;
2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1117 c.c., posto che i due edifici confinanti costituivano un condominio ed erano sottoposti alla disciplina di detta norma.
Al riguardo viene formulato il seguente quesito di diritto: “se sia legittima l’apertura di un varco di passaggio nel muro portante comune fra i due edifici contigui che,ricostruiti assieme, tenendo quel muro di sostegno in comune, siano da ritenere attualmente formanti un condominio”.
Il ricorso e’ infondato.
Il ricorrente ripropone questioni gia’ disattese dalla Corte territoriale con motivazione immune da vizi logici e giuridici e fondate su accertamenti in fatto riservati al giudice di merito. In particolare, la sentenza impugnata ha dato atto che, in base alla stessa C.T. di parte appellante, i locali messi in comunicazione appartenevano ad entita’ condominiali distinte e che la comunione del muro derivava dall’applicazione delle norme sulla costruzione in aderenza ex articolo 874 c.c., e, come ritenuto dal giudice di primo grado, le aperture praticate dal condomino nel muro comune, per mettere in collegamento locali di sua proprieta’ poste nell’edifico condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, costituivano un uso indebito della cosa comune, alterando la destinazione del muro ed incidendo sulla sua funzione di recinzione, potendo, inoltre, dar luogo ad una servitu’ di passaggio a carico della proprieta’ condominiale.
Tale motivazione e’ del tutto corretta ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9036/2006; n. 2175/82). Va aggiunto che il mancato espletamento di C.T.U. risulta giustificata dalla ritenuta superfluita’ della stessa a fronte degli elementi di fatto gia’ accertati.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, risolvendosi entrambe le censure in un diverso apprezzamento di questioni riservate al giudice di merito cui spetta valutare le prove, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno all’atro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui alla prova e’ assegnato un valore legale (Cass. n. 7394/2010; n. 6064/2008).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
1) carenza di motivazione in ordine alla mancata disposizione della C.T.U., richiesta dai ricorrenti per accertare il fatto controverso costituito dalla comunione del muro maestro che divideva le due porzioni immobiliari contigue su cui insisteva l’apertura in questione;
2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1117 c.c., posto che i due edifici confinanti costituivano un condominio ed erano sottoposti alla disciplina di detta norma.
Al riguardo viene formulato il seguente quesito di diritto: “se sia legittima l’apertura di un varco di passaggio nel muro portante comune fra i due edifici contigui che,ricostruiti assieme, tenendo quel muro di sostegno in comune, siano da ritenere attualmente formanti un condominio”.
Il ricorso e’ infondato.
Il ricorrente ripropone questioni gia’ disattese dalla Corte territoriale con motivazione immune da vizi logici e giuridici e fondate su accertamenti in fatto riservati al giudice di merito. In particolare, la sentenza impugnata ha dato atto che, in base alla stessa C.T. di parte appellante, i locali messi in comunicazione appartenevano ad entita’ condominiali distinte e che la comunione del muro derivava dall’applicazione delle norme sulla costruzione in aderenza ex articolo 874 c.c., e, come ritenuto dal giudice di primo grado, le aperture praticate dal condomino nel muro comune, per mettere in collegamento locali di sua proprieta’ poste nell’edifico condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, costituivano un uso indebito della cosa comune, alterando la destinazione del muro ed incidendo sulla sua funzione di recinzione, potendo, inoltre, dar luogo ad una servitu’ di passaggio a carico della proprieta’ condominiale.
Tale motivazione e’ del tutto corretta ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9036/2006; n. 2175/82). Va aggiunto che il mancato espletamento di C.T.U. risulta giustificata dalla ritenuta superfluita’ della stessa a fronte degli elementi di fatto gia’ accertati.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, risolvendosi entrambe le censure in un diverso apprezzamento di questioni riservate al giudice di merito cui spetta valutare le prove, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno all’atro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui alla prova e’ assegnato un valore legale (Cass. n. 7394/2010; n. 6064/2008).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 2.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
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