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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  11 settembre 2013, n. 20843

Svolgimento del processo

1. Su ricorso della Technik spa il Giudice di Pace di Monza in data 30/12/03 emetteva il decreto ingiuntivo n. 07/04 con il quale ingiungeva al signor S..G. di pagare alla Technik la somma di Euro 841,97, oltre interessi e spese, come da fattura e documentazione allegata. La somma era dovuta per il pagamento delle serrande di intercettazione a tenuta e taratura, necessarie per l’utilizzo di un macchinario per l’asciugatura industriale delle verdure fresche, che il signor G. aveva ordinato alla Technik s.p.a.. Il signor G. si era rifiutato di ritirare la mercé, adducendo che le serrande non corrispondevano agli standard di qualità.
2. Il signor G. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, domandando al Giudice di Pace di Monza la revoca del decreto ingiuntivo e la risoluzione del contratto sottoscritto con la Technik s.p.a., per essere il bene privo dei requisiti essenziali per l’uso cui era destinato o comunque affetto da vizi. Il G. rilevava che il decreto ingiuntivo era stato emesso senza il rispetto delle condizioni probatorie stabilite dagli art. 633 e ss. c.p.c. e che, in particolare, la venditrice non aveva provato lo “spossessamento” del bene venduto, né comunque di averlo messo a disposizione nella forme previste dall’art. 1209 c.c., e per questo chiedeva la risoluzione del contratto. Il Giudice di Pace, con sentenza n. 679/05 confermava il decreto ingiuntivo e condannava il signor G. al pagamento in favore della Technick delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 1.303,00, oltre a quelle del decreto ingiuntivo.
3. Il signor G. proponeva appello avverso la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Monza, chiedendo dichiararsi la nullità, l’inefficacia e comunque disporsi la revoca del decreto ingiuntivo. Insisteva nella domanda di risoluzione del contratto, per fatto e per colpa della Technik S.p.A., e ne chiedeva la condanna alla restituzione della somma corrisposta in adempimento del decreto ingiuntivo opposto e della sentenza impugnata.
Il Tribunale di Monza, con sentenza del 28 settembre 2006 rigettava l’appello proposto. Per il giudice di seconda istanza sussistevano i presupposti di cui all’art. 633 c.p.c., essendo stati depositati l’ordine di acquisto, la fattura e il documento di trasporto; la Technik S.p.A. aveva dimostrato il suo credito e non aveva alcun obbligo di consegna della mercé presso il domicilio dell’acquirente, che era stato avvisato invano più volte di provvedere al ritiro. Quanto ai vizi e difetti denunciati, la certificazione rilasciata da parte dell’istituto collaudi e ricerche M. Masini S.r.l., era sufficiente ad attestare la conformità delle serrande fornite ai requisiti indicati nella normativa vigente (DIN 1946/4).
4. Ricorre per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Monza il signor G. , che articola quattro motivi di ricorso, di cui due subordinati. Resiste con controricorso la Technik s.p.a..

Motivi di ricorso

1. Il ricorso è infondato e va rigettato, per quanto di seguito si chiarisce.
2. Col primo motivo di ricorso si deduce la “nullità e/o inefficacia del decreto ingiuntivo per inesistenza di idonea prova scritta: nullità della sentenza o del procedimento (ex art. 360 n. 4 c.p.c.)”.
Il decreto ingiuntivo opposto era stato concesso in mancanza degli elementi richiesti dall’art. 2697 c.c. e dall’art. 633 c.p.c. quanto alla prova scritta del diritto fatto valere, non avendo la venditrice provato la consegna (o lo spossessamento) del bene venduto, né esibito le scritture contabili ex art. 633 c.p.c..
Il Tribunale di Monza aveva erroneamente ritenuto che “nel caso concreto l’appellata ha fornito prova scritta della propria controprestazione esibendo l’ordine di acquisto, la fattura e il relativo documento di trasporto”, non avendo tenendo conto che il documento di trasporto prodotto in fase monitoria non era sottoscritto, in quanto la consegna del bene oggetto della compravendita non era mai avvenuta.
A norma dell’art. 366 bis c.p.c. viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte di Cassazione se, nell’ipotesi di compravendita di beni mobili, in assenna della prova della consegna o dello spossessamento, la copia dell’ordine e della fattura sono documenti idonei e sufficienti ad integrare la prova scritta richiesta al creditore per l’emissione di un decreto ingiuntivo secondo gli artt. 633 c.p.c. e ss.”.
2.1 Il motivo è infondato e il quesito proposto è ai limiti della ammissibilità, perché si fonda su una circostanza (mancato “spossamento” che, come si vedrà, non risulta pertinente). Occorre in concreto stabilire quale prova scritta è sufficiente ai fini della concessione del decreto ingiuntivo. Al riguardo, questo Collegio condivide il seguente principio di diritto: “al fine di ottenere l’emissione del decreto ingiuntivo in tema di contratti con prestazioni corrispettive, l’istante non è tenuto a fornire la duplice completa dimostrazione, quella cioè dell’esistenza dell’obbligazione di cui si invoca il soddisfacimento e quella dello avvenuto adempimento dell’obbligazione propria, cui l’esigibilità della prima sia subordinata, essendo sufficiente la dimostrazione limitata al primo dei suaccennati effetti, cui si accompagni l’offerta di elementi indiziari in ordine al secondo”. (Cass. n. 330 del 1971, Rv. 349840). Correttamente, quindi, il giudice di merito ha ritenuto sufficiente la prova sulla base della presenza di vari e distinti elementi costituiti appunto dall’ordine, dalla fattura e dal documento di trasporto. Erano stati offerti, quindi, dalla venditrice elementi presuntivi sufficienti ai soli fini della concessione del decreto ingiuntivo, restando poi le questioni relative all’adempimento-inadempimento reciproci riservate, come è stato, alla fase di opposizione.
3 Col secondo motivo viene dedotto “l’omesso spossessamelo e la mora del creditore nella compravendita di cose mobili: violazione o falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 n. 3 c.p.c.)”.
La Technik s.p.a. non aveva mai consegnato il bene oggetto di compravendita, né se ne era spossessata con le forme previste dalla legge, così rendendosi inadempiente ex art. 1476 c.c. che, tra le obbligazioni principali a carico del creditore, prevede quella di consegnare la cosa al compratore. Il bene compravenduto doveva essere consegnato presso il magazzino della stessa venditrice Technik, ma il rifiuto al ritiro della mercé non esonerava comunque il venditore dal provvedere alla consegna per poter far valere il suo diritto. La Technik avrebbe dovuto procedere secondo le forme della mora credendi, intimando al Sig. G. di ricevere la mercé mediante atto a lui notificato nelle forme prescritte per gli atti di citazione, non essendo a tale fine sufficiente spedire un fax. L’omessa consegna del bene, costituendo inadempimento dell’obbligazione del venditore, non gli consente di pretenderne il prezzo.
Viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte di Cassazione se nell’ipotesi di rifiuto del creditore / compratore di ricevere la cosa mobile oggetto di compravendita, quando la consegna è prevista presso il domicilio del venditore, il venditore che agisce per il pagamento del prezzo possa ritenere di avere adempiuto alla obbligazione di consegna del bene di cui all’art. 1476 c.c. senza l’osservanza delle forme della mora credendi di cui all’art. 1209, 2 comma c.c.”.
3.1 Ilo motivo è infondato. Non è applicabile al caso in questione la norma invocata (1209 cod. civ.) che disciplina il diverso caso della mora del creditore nel solo caso in cui l’adempimento è previsto presso il domicilio di quest’ultimo. Nel caso in questione invece, non è contestato che la consegna doveva avvenire presso il venditore, che ha provato di aver messo a disposizione il bene per il ritiro e null’altro doveva fare.
4. Col terzo motivo si deduce “l’omessa offerta di adempiere in giudico: violazione o falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 n. 3 c.p.c.)”. Neppure in giudizio la società venditrice ha mai messo a disposizione il bene oggetto di causa, né si era offerta di adempiere. Cosicché l’eventuale successiva offerta di adempiere doveva ritenersi tardiva, poiché il G. , nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, aveva chiesto la risoluzione del contratto, allegando l’inadempimento della venditrice e specificando in maniera molto analitica i vizi riscontrati sulla cosa. La posizione processuale della Technik spa era, quindi, assimilabile a quella di attrice opponente, che chiede l’adempimento di un contratto di compravendita e il pagamento del prezzo pattuito. Gravava, quindi, sulla venditrice provare di aver adempiuto alla sua obbligazione relativa alla consegna (o offerta nelle forme di legge) del bene.
Viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte di Cassazione se, nell’ipotesi di compravendita di bene mobile, il venditore possa pretendere in giudizio il pagamento del prezzo pattuito senza avere adempiuto alla obbligazione di consegna del bene di cui all’art. 1476 c.c. e senza avere comunque offerto il proprio adempimento”.
4.1 Il motivo è inammissibile e comunque infondato. A parte la contraddizione esistente nelle prospettazioni, la questione oggi proposta sembra nuova, posto che di essa il giudice dell’appello nulla riferisce al riguardo. Vi è inoltre carenza di specificità nella censura. In ogni caso, il motivo è infondato o irrilevante, posto che, respinta la domanda di risoluzione del contratto di vendita per presunto inadempimento della venditrice, residuano gli effetti del contratto, quanto al pagamento del prezzo e alla consegna della cosa.
5. Il ricorrente, in subordine rispetto all’accoglimento dei precedenti motivi, formula ulteriori censure inerenti ” l’onere della prova in ordine alla idoneità del bene al normale uso cui è destinato ex art. 1476 e 1490 c.c.”, indicati come 4.a) e 4b).
Quanto alla censura 4.a) che reca “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3”, osserva il ricorrente che la Technik avrebbe dovuto provare di aver adempiuto all’obbligo di garantire l’immunità da vizi del bene compravenduto. Gravava, cioè, sulla venditrice “l’onere della prova in ordine alla idoneità del bene alla funzione cui era destinato e comunque alla insussistenza di vizi”, posto che la venditrice “avrebbe dovuto dimostrare non solo il fatto costitutivo del proprio diritto, ma anche quello estintivo (l’adempimento)” (ossia l’adempimento all’obbligo di garanzia ex art. 1476 e 1490 c.c.).
La sentenza del Tribunale di Monza ha invece omesso qualunque considerazione sul problema dell’onere della prova.
Viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte di Cassazione se, nell’ipotesi di compravendita di bene mobile, l’onere della prova della idoneità del bene alla normale funzione cui è destinato ex art. 1476, n. 3 c.c. e art. 1490 c.c. gravi (ex art. 2697 c.c. e 1453 c.c.) sul venditore che conviene in giudico l’acquirente per il pagamento del pretto il quale ha chiesto la risoluzione del contratto allegando la inidoneità del bene e/o i suoi vizi”.
Quanto alla censura indicata come 4.b) essa reca: “L’assolvimento dell’onere della prova: omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudico (ex art. 360 n. 5 c.p.c.)”.
Il fatto controverso è indicato nell’idoneità delle serrande vendute al G. a impedire il trafilamento dell’aria. Il documento prodotto a prova dell’idoneità non è un certificato di collaudo, ma è un “rapporto di prova” effettuato ben quattro anni prima non sul bene concretamente oggetto di compravendita, ma su un suo “presunto archetipo”.
Sicché quel documento non consente di escludere a priori che lo specifico prodotto venduto al G. sia viziato e inidoneo.
Risulta, quindi, errato il ragionamento del Tribunale di Monza allorché afferma che “per quello che concerne i vizi e i difetti attribuiti alle serrande prodotte, si conferma ancora la decisione del Giudice di Pace, in quanto la certificazione rilasciata da parte dell’istituto collaudi e ricerche M Masini srl attesta che gli apparecchi prodotti dalla Technik spaper la diffusione dell’aria erano dotati di caratteristiche conformi ai requisiti indicati nella normativa DIN 1964/4. Da tutto ciò ne consegue che la Technik spa ha tenuto fede agli impegni assunti fornendo la merce”.
Essendo inidoneo il documento in questione la venditrice non aveva fornito la prova del suo adempimento.
Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se può ritenersi provata la idoneità – all’uso cui è destinato – dello specifico bene venduto – ovvero l’assenza di vizi – inforca di un documento che semplicemente attesta la conformità a un dato standard di un bene campione, distinto da quello oggetto del contratto e avente caratteristiche e dimensioni diverse da quelle del bene venduto, in presenta di espresse doglianze che contestano proprio la conformità a quegli standard del bene concretamente oggetto del contratto”.
5.2 Entrambi i motivi-censure sono infondati. Non è contestato l’acquisto del bene in questione, evidentemente identificato quale modello di una produzione seriale, rispetto al quale il compratore ha dedotto generici vizi, senza neanche aver ritirato e nemmeno provato l’apparecchiatura in questione.
Sotto tale profilo le questioni proposte con riguardo all’onere delle prova circa i difetti di funzionalità e l’idoneità in astratto della cosa venduta risultano ininfluenti per mancanza anche di un minimo di prova al riguardo. Correttamente il giudice ha ritenuto sufficiente la dichiarazione di conformità, restando ad un momento successivo la verifica dell’effettivo funzionamento e degli eventuali vizi.
6. Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 1.000,00 (mille) Euro per compensi e 200,00 (duecento) Euro per spese, oltre accessori di legge.

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