Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 1 febbraio 2016, n. 4074

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRILLO Renato – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato in (OMISSIS);

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Milano in data 22/9/2014;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;

sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MARINELLI Felicetta, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza quanto al trattamento sanzionatorio, e rigetto nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22/9/2014, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia emessa il 10/2/2009 dal locale Tribunale, con la quale (OMISSIS) era stato giudicato colpevole del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, e condannato alla pena di due anni di reclusione e 4.000,00 euro di multa; allo stesso era contestato – unitamente ad (OMISSIS), giudicato separatamente – di aver ceduto sostanza stupefacente di tipo eroina a tale (OMISSIS), e di aver detenuto a fine di spaccio 27 grammi di cocaina.

2. Propone ricorso per cassazione l’ (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo tre motivi:

– violazione dell’articolo 73, comma 5, contestato. La Corte di appello avrebbe confermato la sentenza di primo grado sebbene emessa allorquando la cornice edittale della norma era ben diversa dall’attuale; in particolare, avrebbe avallato un trattamento sanzionatorio determinato muovendo da una pena base di quattro anni di reclusione, ritenuta “medio-bassa” dal primo Giudice, pur rappresentando questa, oggi, il massimo edittale;

– erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7. La Corte di merito avrebbe negato la circostanza attenuante in oggetto pur a fronte di molti elementi atti a giustificarla, atteso il contenuto delle dichiarazioni rese dal ricorrente;

– omessa motivazione quanto alla richiesta di sospensione condizionale della pena. La sentenza nulla avrebbe disposto in ordine al beneficio di cui all’articolo 163 codice penale, pur formando questo oggetto di gravame.

Con memoria depositata il 13/11/2015, la difesa del ricorrente ha ribadito il primo motivo, anche alla luce degli ultimi arresti delle Sezioni unite di questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ parzialmente fondato.

Non puo’ essere accolto, innanzitutto, il motivo relativo al diniego della circostanza attenuante della collaborazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7.

Si osserva, invero, che la Corte di appello, pronunciandosi sulla medesima questione, ha sottolineato che l’ (OMISSIS) si era limitato a chiamare in causa il complice, il cui ruolo nella vicenda risultava peraltro gia’ acclarato per esser stato questi arrestato insieme al ricorrente, e per esser stato coinvolto anche dall’acquirente, (OMISSIS); ancora, la sentenza ha rilevato che l’ (OMISSIS), pur ammettendo una stabile collaborazione con il correo, “nulla riferiva in merito a clienti e fornitori”.

Orbene, cosi’ motivando, il Collegio di merito ha fatto buon governo del principio, piu’ volte affermato in sede di legittimita’, per cui, ai fini della applicazione dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7, non e’ sufficiente il mero dato della offerta delle informazioni possedute, ma occorre che dette informazioni siano in grado di consentire il perseguimento di un risultato utile di indagine che, senza la collaborazione stessa, non si sarebbe potuto ottenere (Sez. 6, n. 9069 del 14/1/2013, Squillace, Rv. 256002); in altri termini, per riconoscere detta attenuante speciale, “che si colloca in uno spazio piu’ avanzato della mera collaborazione informativa, l’operosita’ da prendere in considerazione e’ quella che consente la realizzazione di uno dei risultati concreti previsti dalla citata norma e, specificamente, di interrompere la catena delittuosa in atto o di colpire i mezzi di produzione delle attivita’ criminali”(Sez. 6, n. 37100 del 19/7/2012, Biasi, Rv. 253381).

In sintesi, e’ necessario verificare la concretezza, l’utilita’ e la proficuita’ del contributo offerto dall’imputato (Sez. 3, n. 44478 del 19/7/2012, Kabbab, Rv. 253603).

Quel che non e’ stato possibile accertare nel caso di specie – come da impugnata sentenza – difettando la prova dell’ampiezza e dell’efficacia dei contributi dichiarativi forniti.

4. Di seguito, la doglianza in punto di sospensione condizionale della pena; orbene, la stessa risulta parimenti infondata, atteso che l’appellante non aveva mai domandato l’applicazione del beneficio, ne’ in sede di atto di gravame, ne’ innanzi alla Corte di merito, come questo Collegio ha verificato dalla lettura del verbale a data 22/9/2014.

Deve essere ribadito, quindi, il costante principio di legittimita’ in forza del quale non possono essere dedotte, con il ricorso per cassazione, questioni sulle quali il Giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perche’ non devolute alla sua cognizione (per tutte, Sez. 2, n. 22362 del 19/4/2013, Di Domenica, Rv. 255940).

5. Da ultimo, il motivo in punto di trattamento sanzionatorio; lo stesso risulta invece fondato.

Rileva al riguardo la Corte che – come noto – il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestato all’ (OMISSIS), e’ stato di recente interessato da plurimi interventi manipolatori, quali la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 25/2/2014 (che ha reintrodotto la distinzione tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”), il Decrerto Legge 23 dicembre 2013, n. 146 convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10 (che ha trasformato l’ipotesi attenuata di cui al comma 5 – riconosciuta al ricorrente – in fattispecie autonoma di reato, riducendo il massimo edittale da 6 a 5 anni di reclusione e confermando la pena pecuniaria da 3.000 a 26.000 Euro) e, da ultimo, il Decrerto Legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79 (che, ancora in ordine al comma 5, ha novellato la cornice edittale – riducendola – nei termini della reclusione da 6 mesi a 4 anni e della multa da 1.032 a 10.329 Euro).

Cio’ premesso, la sentenza impugnata – deliberata il 22/9/2014, ovvero in epoca successiva a tutte le novelle appena richiamate – ha confermato il trattamento sanzionatorio imposto dal primo Giudice, pur all’epoca individuato a fronte di una cornice edittale diversa dall’attuale; e, soprattutto, ha confermato una sanzione che muove da una pena base pari a 4 anni di reclusione – oggi massimo edittale per la fattispecie di cui all’articolo 73, comma 5, in esame – espressamente individuata dal G.i.p. di Milano su “valori medio-bassi rispetto al minimo edittale”, non presentando la condotta, pur non lieve, “un enorme disvalore materiale”. Valori invece ribaltati dal Collegio di appello, che ha ribadito lo stesso trattamento sanzionatorio in ragione della particolare gravita’ del reato, alla luce di tutti gli elementi oggettivi riscontrati; si’ da pervenire, di fatto, ad una violazione “silenziosa” del divieto di reformatio in peius, che deve qui essere censurata annullando con rinvio la sentenza.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta, nel resto, il ricorso.

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