Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 9 marzo 2017, n. 11492

Non integra il delitto di truffa la condotta di chi espone sul parabrezza della sua autovettura, parcheggiata in una area di sosta a pagamento, un permesso per invalidi rilasciato ad un soggetto terzo, che era stato contraffatto mediante scannerizzazione, perché difetta l’elemento costitutivo del reato, ossia l’atto di disposizione patrimoniale di natura privatistica che incide sul patrimonio della vittima

Suprema Corte di Cassazione

sezione II penale

sentenza 9 marzo 2017, n. 11492

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente

Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere

Dott. AIELLI Lucia – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino nei confronti di:

(OMISSIS), nata il (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1625/2013 del 28.4.2016 della Corte di Appello di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Pazzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CUOMO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso del Procuratore Generale.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 28 aprile 2016 la Corte di Appello di Torino, in totale riforma della decisione del Tribunale di Verbania del 21 novembre 2012, ha assolto (OMISSIS) dal reato ascrittole per insussistenza del fatto.

(OMISSIS) era stata rinviata a giudizio per aver tratto in inganno in piu’ occasioni il personale della Polizia Municipale del Comune di Verbania in merito al suo diritto a parcheggiare l’autovettura da lei utilizzata nelle aree di sosta a pagamento tramite l’esposizione di un permesso per disabili contraffatto mediante scannerizzazione, evitando cosi’ di corrispondere il prezzo della sosta e ricavando un ingiusto profitto con pari danno per l’amministrazione municipale.

2. Ha proposto ricorso per Cassazione avverso la predetta sentenza il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino, lamentando, con motivi di doglianza cosi’ riassunti entro i limiti previsti dall’articolo 173 disp. att. c.p.p.:

2.1. l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, in quanto l’atto di disposizione patrimoniale caratterizzante la truffa puo’ essere integrato anche dal fatto omissivo idoneo a produrre danno; nella fattispecie in esame i vigili urbani, tratti in inganno dalla presenza all’interno della vettura della fotocopia di un permesso originale, si erano limitati a rilevare che lo stesso era scaduto e avevano consapevolmente rinunciato alla pretesa del corrispettivo previsto per il servizio di sosta a pagamento, nella convinzione della sussistenza delle condizioni in capo all’utente per poter fruire delle agevolazioni sulla sosta;

2.2. la mancanza, la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione laddove la stessa aveva ritenuto che il fatto fosse sussumibile nel disposto dell’articolo 188 C.d.S., comma 4, poiche’ questa norma sanziona chi usa le strutture riservate ai portatori di handicap senza avere l’autorizzazione prescritta o il titolare che, pur avendola, ne faccia un uso improprio, dovendosi invece ricondurre al disposto dell’articolo 640 c.p., la condotta di chi per conseguire un ingiusto profitto induca fraudolentemente in errore un soggetto attraverso la dissimulazione di circostanze esistenti provocando a quest’ ultimo un danno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La fattispecie portata all’esame di questa Corte riguarda l’esposizione da parte dell’imputata di un permesso per disabili rilasciato a un soggetto terzo. riprodotto mediante scannerizzazione ed esposto poi sul parabrezza della macchina.

Rispetto a una simile condotta e’ stata contestata a (OMISSIS) la violazione dell’articolo 640 c.p., in quanto un simile artificio le avrebbe consentito di trarre in inganno il personale addetto al controllo circa il suo diritto a parcheggiare la propria vettura nelle aree riservate ai disabili ed evitare il pagamento del corrispettivo dovuto per la sosta.

Queste peculiari caratteristiche della condotta tenuta dall’imputata, pur potendo rilevare nella prospettiva della falsificazione materiale del contrassegno esposto (posto che “integra il reato di falsificazione materiale commessa dal privato in autorizzazioni amministrative (articoli 477 – 482 c.p.) e non quello di uso di atto falso (articolo 489 c.p.), la condotta di colui che espone all’interno della propria autovettura una riproduzione fotostatica a colori di un contrassegno con autorizzazione per invalidi al parcheggio di autoveicoli, in quanto l’uso personale – nell’interesse proprio – del documento falso consente di ritenere che il soggetto in questione, direttamente o ricorrendo all’opera altrui, sia l’autore della contraffazione” Sez. 5, n. 47079 del 24/06/2014 – dep. 13/11/2014, Badalamenti, Rv. 26128101), non giustificano pero’, rispetto al reato in contestazione, alcuna valutazione che si discosti dall’orientamento interpretativo fino ad ora seguito dalla giurisprudenza di questa Corte.

In vero – come e’ gia’ stato illustrato nella sentenza Sez. 2, n. 9859 del 15/02/2012 – dep. 14/03/2012, P.M. in proc. Andreotti, Rv. 252483, con argomentazioni condivise da questo collegio – “anche nel caso in esame manca, come requisito implicito della fattispecie tipica del reato di truffa, l’atto di disposizione patrimoniale che costituisce l’elemento intermedio derivante dall’errore ed e’ causa dell’ingiusto profitto con altrui danno.

Cio’ perche’, pur ammettendosi la configurabilita’ di un atto dispositivo di carattere omissivo, l’atto di disposizione patrimoniale non potrebbe essere ravvisabile nel fatto che gli organi comunali di controllo, indotti in errore, non abbiano contestato le infrazioni amministrative, ne’ nel fatto che l’ente comunale abbia subito l’inadempienza dell’agente.

Il reato non sarebbe infatti comunque ipotizzabile, perche’ manca in casi del genere la necessaria cooperazione della vittima.

Inoltre, non ricorre la necessaria sequenza “artificio – induzione in errore profitto”, perche’, al contrario, il profitto della condotta contestata all’imputato sarebbe realizzato immediatamente, grazie all’elusione dei controlli, e al conseguente, mancato versamento delle somme che sarebbero state dovute in conseguenza delle violazioni amministrative o per la sosta del veicolo all’interno di zone a traffico limitato”.

Oltre a cio’, come ha aggiunto la sentenza sopra citata, tra l’imputata e la pubblica amministrazione non sussisteva, prima delle violazioni amministrative che costituirebbero il sostrato economico della truffa, alcun rapporto di debito, tributario o di altra natura, sicche’ il comportamento fraudolento in nessun modo poteva correlarsi ad un danno dell’ente territoriale interessato, neppure dilatando al massimo la nozione di atto di disposizione di carattere omissivo; se il profitto conseguito dall’imputato, infatti, era quello derivante dalla sosta abusiva dell’autovettura, esso era un fatto del tutto neutro agli effetti di un ipotetico danno del Comune, proprio perche’ quella condotta non era destinata a spostare “risorse” economiche dal soggetto in ipotesi “truffato” all’autore di tale condotta.

Simili principi, d’altra parte, ha applicato la giurisprudenza di questa Corte anche quando ha affermato che non integra il delitto di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l’ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale.

2. La precedente pronuncia sopra richiamata risulta condivisibile nel suo contenuto, a parere di questo collegio, anche laddove spiega che la condotta contestata all’imputato e’ oggetto di una specifica previsione normativa, che riconduce “senza residui” il fatto nel’ambito di un mero illecito amministrativo. Nel quarto e nell’articolo 188 C.d.S., comma 5, sono infatti contemplate tutte le possibili ipotesi di abuso delle strutture stradali riservate agli invalidi, dalla loro utilizzazione in assenza di autorizzazione, o fuori delle condizioni e dei limiti dell’autorizzazione, all’uso improprio dell’autorizzazione.

Soprattutto il confronto tra l'”eccesso d’uso” e l'”uso improprio” dell’autorizzazione – a cui pare riconducibile anche la duplicazione del talloncino altrui mediante scannerizzazione – e’ illuminante della volonta’ del legislatore di “coprire” con la norma speciale anche il caso di chi utilizzi indebitamente un permesso invalidi altrui, consentendo per una simile evenienza l’operativita’ del principio di specialita’ di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 9, applicabile quando il medesimo fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa.

Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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