Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza  del  1 ottobre 2012, n. 16674

 

 

Svolgimento del processo

1. Con citazione notificata in data 8 agosto 1994, il Dott. T.A. espose che: – affetto da una sintomatologia psichiatricamente apprezzabile di ansia, insonnia depressione e megalomania, era stato vittima del reato di circonvenzione d’incapace da parte del responsabile della SIM della Banca (…); – la sua condizione era peggiorata nel periodo delle rischiose operazioni finanziarie gestite dal predetto responsabile; – i contratti d’intermediazione finanziaria (aventi a oggetto l’acguisto di “futures” su Bund e Notionel) erano viziati a norma dell’art. 428 c.c.; – la Banca (…) aveva agito in violazione dell’art. 1 lett. a), b), c), e), f ), g), h), e 8 della legge n.1 del 1991 – a seguito di ciò aveva perduto l’intero patrimonio mobiliare. L’attore chiese la condanna della Banca e del responsabile della SIM, in solido al risarcimento dei danni morali e materiali conseguenti alla commissione del reato di cui all’art. 643 c.p., in via subordinata all’annullamento di tutti i contratti conclusi con la banca e al risarcimento dei danni, in via ulteriormente subordinata la condanna della banca al risarcimento dei danni per la violazione delle citate norme sull’intermediazione bancaria, danni poi specificati in corso di causa.
2. Con sentenza 16 settembre 2003, il tribunale di Milano condannò la Banca (…) s.p.a. al risarcimento dei danni, quantificati in complessive L. 15.311.478.760, cagionati al Dott. A.T. nell’esecuzione di contratti d’intermediazione mobiliare, avendo agito in violazione degli artt. 6 e 8 della legge n. 1 del 1991.
3. Contro la sentenza proposero appello la banca, in via principale, e il T. in via incidentale. Entrambi i gravami sono stati rigettati dalla Corte d’appello di Milano con sentenza in data 2 aprile 2005.
4. Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorre il Dott. T. con atto notificato alla banca il 17 maggio 2006, per due motivi.
Al ricorso resiste la Banca (…) con controricorso e ricorso incidentale per tre motivi -notificato il 26 giugno 2006. I medesimi motivi erano stati tuttavia già svolti in sede di ricorso autonomo – ma qualificabile come incidentale per la sua posteriorità al ricorso del T. – notificato dalla stessa banca il 19 maggio 2006.
A questo ricorso resiste il T. con controricorso notificato il 30 giugno 2006.
Il T. ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

5. I ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..
Il ricorso incidentale notificato dalla Banca (…), unitamente al controricorso, il 26 giugno 2006 è inammissibile, avendo la parte già consumato il suo diritto d’impugnazione avverso la sentenza, con il ricorso – peraltro di contenuto identico – notificato il 15 maggio 2006.
Per ragioni di ordine logico l’esame del ricorso proposto dalla banca, e vertente sull’accertamento della sua responsabilità, deve essere esaminato con precedenza, nonostante il suo carattere incidentale.
6. Il primo motivo del ricorso proposto dalla banca, censura per insufficienza della motivazione l’accertamento della sua responsabilità. Insufficienti sarebbero singolarmente considerati ciascuno dei tre elementi utilizzati dal giudice d’appello, e costituiti dai dati della consulenza tecnica, dagli accertamenti svolti dalla Consob, e dalle dichiarazioni rese all’autorità di Pubblica sicurezza da funzionari della banca.
6.1. Il motivo è inammissibile. La discussione sulla valutazione della rilevanza dei singoli elementi posti dal giudice di merito a fondamento del suo giudizio e, a maggior ragione, sull’idoneità della somma di tali elementi a giustificare la decisione adottata sfugge al sindacato di legittimità della corte di cassazione, perché la scelta degli elementi rilevanti per il giudizio e la valutazione analitica e integrata di essi costituiscono una tipica questione di merito.
7. Con il secondo motivo di denuncia la violazione dell’art. 6 della legge n. 1 del 1991. La corte territoriale non avrebbe considerato che la valutazione dell’adeguatezza dell’operazione al profilo del cliente deve tener conto del profilo finanziario dell’investitore, che nel caso in esame, pur non essendo qualificato, era certamente esperto, e avrebbe applicato il principio che le operazioni in futures del tipo di quelle sistematicamente effettuate dal T. sono di per sé inadeguate, ignorando gli altri tre concorrenti criteri di valutazione dell’adeguatezza, costituita dall’oggetto, dalle dimensioni e dalla frequenza: in particolare, non avrebbe indicato quale sarebbe stata la soglia quantitativa a partire dalla quale l’intermediario diligente avrebbe dovuto modificare la propria valutazione d’inadeguatezza. La corte avrebbe poi valorizzato indebitamente la violazione dei margini di garanzia, che sono indicati dalla Consob a tutela patrimoniale della società e non del cliente. Si propone la formulazione del seguente principio di diritto:
Nell’effettuare il giudizio di adeguatezza dell’operazione disposta dal cliente ai sensi dell’art. 6 della legge n. 1/1991 e dell’art. 11 del regolamento Consob n. 538/1991 (oggi art. 21 TUF n. 58/1998 e 28 Regolamento Consob n. 11522/1998) l’intermediario deve tener conto delle caratteristiche del cliente (situazione finanziaria, esperienza pregressa, obiettivi d’investimento, propensione al rischio) da un lato e delle caratteristiche dell’operazione (tipologia, oggetto, dimensione e frequenza) dall’altro. Il giudizio va effettuato in concreto anche con riferimento alle operazioni in strumenti finanziari derivati, le quali non possono essere considerate come di per sé inadeguate. L’eventuale violazione di regole interne dell’intermediario (quali quelle dei margini di garanzia) è irrilevante ai fini della valutazione relativa all’adeguatezza dell’operazione.
7.1. Il motivo involge questioni diverse, concernenti rispettivamente a) la particolare rilevanza dell’esperienza professionale del cliente (anche se non investitore qualificato), nella valutazione di adeguatezza delle operazioni al profilo del cliente; b) la rilevanza (non) esclusiva, allo stesso fine, della tipologia delle operazioni; e c) l’irrilevanza del rispetto dei margini di garanzia patrimoniale, dettati a tutela dello stesso intermediario, nella responsabilità dell’intermediario nei confronti del cliente che dispone l’operazione.

Nessuna di tali questioni, tuttavia, individua una regola di giudizio idonea a ribaltare la decisione della corte territoriale. Questa, infatti, non si è basata esclusivamente sulla tipologia delle operazioni, desumendo da queste la responsabilità dell’intermediario, ma ha tenuto conto di una molteplicità di elementi emersi dalla consulenza tecnica d’ufficio assunta in primo grado, e in particolare della violazione delle regole dirette a rendere il cliente consapevole dei rischi delle operazioni e a limitare il rischio di perdite, a tenere comportamenti deterrenti e richiami rispetto a scelte improprie o non adeguate al patrimonio del cliente, onde portarlo a riflettere sulle operazioni particolarmente rischiose e inadeguate, e a fargli sottoscrivere moduli di conferimento d’incarico e specifiche autorizzazioni per ogni operazione. Il giudice di merito osserva che già nel febbraio del 1994 le perdite avevano superato i 4 miliardi, per giungere il 2 giugno dello stesso anno a L. 14 miliardi, e richiama le deposizioni testimoniali dalle quali emerge la piena consapevolezza da parte della banca della situazione a rischio del cliente. Quanto poi alla situazione patrimoniale del cliente, il criterio di valutazione utilizzato dalla corte territoriale è conforme alla norma di legge vigente al tempo dei fatti: l’art. 6, lett. f) della legge n. 1 del 1991, infatti, vietava all’intermediario di effettuare operazioni con frequenza non necessaria di dimensioni eccessive in rapporto alla situazione finanziaria del cliente. In tal situazione, il comportamento prescritto all’intermediario imponeva a questi di rifiutare di dar corso a ordini manifestamente pregiudizievoli per il cliente. Si tratta di un punto decisivo, sul quale la ricorrente non ha svolto alcuna osservazione.
8. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 6, 11 e 23 della legge n. 1 del 1991 e 40 del regolamento CONSOB n. 5387/1991.

Sebbene si faccia un riferimento – inammissibilmente contestuale e cumulativo -anche al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., il motivo si conclude con la formulazione di un quesito di diritto. Si deduce che era stata articolata una prova sulla ricezione da parte del cliente di un conto di liquidazione per ogni operazione, con le connesse “note di eseguito”, e si censura la motivazione con la quale la corte territoriale ha giudicato irrilevante la prova. Si propone il principio per cui, nella vigenza della legge n. 1/1991, i principi della sana e prudente gestione e della stabilità degli intermediari finanziari giustificano che la mancata contestazione delle operazioni di borsa entro il termine previsto dagli usi di borsa applicabili pro tempore, decorrente dalla ricezione da parte dell’investitore della prescritta rendicontazione, precluda all’investitore medesimo di mettere in discussione l’operato dell’intermediario.
8.1. La questione di diritto circa l’esistenza di un termine di decadenza, decorrente dalla notizia dell’operazione, entro il quale il cliente possa contestare l’operazione eseguita per suo conto appare funzionale a una discussione sulla validità dell’operazione, mentre è manifestamente estranea al tema della responsabilità dell’intermediario per violazione di norme di comportamento, l’unico tema rilevante in questa sede.
Il ricorso è pertanto inammissibile.
9. Il primo motivo del ricorso del Dott. A.T. è posto sotto la rubrica della violazione degli artt. 183 184 c.p.c., nel testo anteriore alla novella del 1990. Esso si fonda sull’assunto che la specificazione dei danni, dei quali era stato richiesto il risarcimento in citazione, in corso di causa non costituisce domanda nuova, e che su tali domande la banca non aveva rifiutato il contraddittorio. Pertanto il rifiuto della corte d’appello, di esaminare le altre richieste di danno che erano state specificate nel corso del giudizio di primo grado, e poi ripetute in appello, era illegittimo.
Il secondo motivo è posto sotto la rubrica della violazione dell’art. 345 c.p.c. Il ricorrente, censurando l’affermazione della corte d’appello, circa la novità delle domande di danno proposte con il suo atto di appello, deduce che le domande in questione costituivano soltanto una riformulazione delle domande di cui al motivo precedente.
I due motivi, intrinsecamente collegati, devono essere esaminati insieme. Essi sono fondati.
10. La corte distrettuale, nel rigettare l’appello incidentale del T. , nella parte in cui lamentava l’omessa pronuncia sulla domanda, introdotta nel giudizio di primo grado con una memoria, di risarcimento di ulteriori voci di danno (mancati ricavi di borsa conseguibili con la sua attività ordinaria d’investimento delle somme perdute per il comportamento della banca, danni alle sue normali attività imprenditoriali, danni morali, danni biologici), ha dapprima osservato che l’unica fattispecie dannosa in relazione alla quale erano stati chiesti danni diversi da quelli patrimoniali era quella collegata alla commissione del reato di cui all’art. 643 c.p., di cui più non si discute. I problemi di salute descritti nella citazione di primo grado erano eziologicamente collegati a comportamenti, fatti ed eventi relativi a un periodo precedente il 1994, e non alla situazione creatasi in conseguenza delle operazioni oggetto del presente giudizio; e il danno morale era collegato alla sola fattispecie prospettata come circonvenzione d’incapace. Per questa parte la motivazione della corte territoriale è perfettamente coerente alla formula di rigetto, adottata in dispositivo, e non appare affetta da vizi di legittimità. Per le altre fattispecie, prosegue la corte, il risarcimento del danno era stato richiesto in via generale.
In relazione ai danni originati dalla violazione di norme di legge e regolamenti, e dei principi di correttezza da parte della banca realizzatasi nel periodo gennaio-giugno 1994 oggetto del preteso accertamento, la prospettazione della domanda attrice si riferiva chiaramente alle sole perdite patrimoniali subite dal Dott. T. in conseguenza delle rischiose operazioni eseguite. Nessun accenno era stato fatto ai mancati ricavi in borsa e all’incidenza della situazione venutasi a creare nel 1994 sulle normali attività imprenditoriali dell’attore. Secondo la corte d’appello, le richieste formulate nelle conclusioni definitive rassegnate in primo grado e in quelle – che comporterebbero la liquidazione ancora superiore dei danni lamentati – riproposte in appello ineriscono ad atti e situazioni la cui prospettazione era del tutto assente nella domanda originaria, e per il cui accertamento sarebbe stata necessaria un’indagine su temi nuovi: indagine preclusa per i rilevati aspetti di novità e, pertanto inammissibile.
Per questa seconda parte, il ragionamento della corte territoriale non è condivisibile. È innanzi tutto da precisare che nel giudizio di primo grado era inapplicabile – ratione temporis – la nuova disciplina introdotta dalla legge 26 novembre 1990, n. 353

Secondo la disciplina vigente all’epoca, l’emendatio libelli era consentita sino alla precisazione delle conclusioni, mentre la mutatio libelli non era ammessa se l’altra parte avesse rifiutato il contraddittorio, ma l’accettazione del contraddittorio poteva avvenire anche in forma implicita, con l’omessa tempestiva dichiarazione di non voler accettare il contraddittorio.
Nel caso in esame, l’attore aveva formulato inizialmente, per la violazione delle norme sull’intermediazione bancaria, una domanda di risarcimento danni estremamente generica.

L’oggetto di questa domanda risarcitoria fu precisato nel corso del giudizio di primo grado con una memoria, depositata nel rispetto del termine assegnato dal giudice per il deposito di memorie istruttorie, nella quale si esponevano specifiche voci di danno. In particolare, accanto alle perdite subite per le operazioni eseguite dalla banca, si allegavano danni per i ricavi di borsa che la parte avrebbe potuto conseguire nella sua ordinaria attività d’investimento impegnando le somme perdute, e quelli derivati alle sue normali attività imprenditoriali.

La tesi che in tal modo sarebbe stata consumata una mutatio libelli non è conforme ai criteri comunemente seguiti dalla giurisprudenza a questo riguardo, e che assumevano come criterio discriminante la sostituzione di un elemento della domanda, o in generale l’estensione del contraddittorio a fatti estranei alle domande originarie. Le nuove voci di danno non erano in relazione con titoli di responsabilità o con fatti generatori di danno diversi da quelli indicati in citazione, né la generica espressione usata inizialmente per indicare i danni risarcibili poteva essere circoscritta, come il giudice di merito ha in sostanza ritenuto, al danno emergente, con esclusione del lucro cessante. La banca convenuta, pertanto, non avrebbe avuto ragione di rifiutare il contraddittorio su questo punto, e non lo fece.

Ma la questione dell’esatta qualificazione della novità delle domande doveva ritenersi superata con la decisione di primo grado, che aveva esaminato queste domande e le aveva respinte nel merito, giudicando che non ne fosse provata l’esistenza e che non vi fosse nesso di causalità.
In tale situazione, la banca, appellante principale, non aveva censurato il capo di sentenza che respingeva nel merito alcune domande del T. , invece di dichiararle inammissibili. La corte distrettuale, dunque, non poteva esimersi dall’esaminare nel merito, anche per questa parte, l’appello incidentale del T. , il quale, censurando il rigetto nel merito di una domanda proposta in primo grado, formulava una domanda che non poteva comunque essere qualificata come domanda nuova in appello.
11. L’appello incidentale deve pertanto essere accolto, e la sentenza impugnata deve essere cassata nella parte in cui ha giudicato nuova e inammissibile la domanda del Dott. T. , di risarcimento dei danni patrimoniali da lucro cessante – come meglio specificati in atti – derivati dalla violazione di norme di legge e regolamenti, e dei principi di correttezza da parte della banca. La causa deve essere rinviata alla corte di Milano che, in altra composizione, deciderà nel merito su questa domanda, anche ai fini del regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso proposto dalla banca Popolare dell’Adriatico s.p.a.; accoglie il ricorso proposto dal dottor A..T. ; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in altra composizione.

Depositata in Cancelleria il 01.10.2012

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