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Suprema Corte di Cassazione 

sezione I

sentenza del 15 gennaio 2013, n. 1801

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 23 febbraio 2012 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata nell’interesse di S.M. , condannato con sentenza della medesima Autorità giudiziaria del 25 luglio 2011 (depositata l’8 settembre 2011), volta ad ottenere la revoca o la sospensione dell’esecutività della sentenza suddetta e la restituzione nel termine per proporre impugnazione.
Con riguardo alla istanza formulata ai sensi dell’art. 670 c.p.p. osservava che erano regolarmente decorsi i termini per proporre l’impugnazione avverso la sentenza, per il cui deposito il giudice aveva fissato il termine di novanta giorni, rispettato. In merito alla domanda di restituzione nel termine (art. 175 c.p.p.) argomentava che non poteva ricondursi alla categoria del caso fortuito o della forza maggiore l’omesso rispetto del termine per proporre impugnazione da parte del difensore dovuto a non compiuta conoscenza della legge processuale.
2. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, M. , il quale, anche mediante una memoria difensiva, lamenta erronea violazione ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta inapplicabilità della sospensione dei termini nel periodo feriale anche al termine per il deposito delle sentenze, nonché inosservanza dell’art. 175 c.p.p., atteso che l’omessa infruttuosa decorrenza del termine per impugnare era ascrivibile a “imprevedibile ignoranza” del difensore e non poteva ridondare a danno del ricorrente, che, pertanto, avrebbe dovuto essere riammesso nel termine per proporre impugnazione.

Osserva in diritto

Il ricorso non è fondato.
l.In merito alla prima censura il Collegio osserva che il termine per la redazione della sentenza di cui all’art. 544 c.p.p., alla scadenza del quale decorre il termine per proporre impugnazione a norma dell’art. 585 c.p.p., non è soggetto alla sospensione nel periodo feriale prevista dall’art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, che ha la finalità di consentire il godimento delle ferie anche agli esercenti delle professioni forensi; ne consegue che il deposito della stessa in tale periodo, che avvenga nel termine fissato, tiene luogo di notifica per il pubblico ministero e per le parti, ivi compreso l’imputato non contumace, iniziando, dalla scadenza del termine indicato del comma secondo della norma o in quello diverso indicato dal giudice per i casi di cui al comma terzo, a decorrere quello dei trenta o quarantacinque giorni previsto per una rituale impugnazione, soggetto peraltro a sospensione sino al termine del periodo feriale. (Sez. Un. n. 7478 del 19 giugno 1996; Sez. 4, n. 41834 del 27 giugno 2007; Sez. 1, n. 29688 del 13 luglio 2001; Sez. 3, n. 462 dell’1 dicembre 1995; Sez. 2, n. 2533 del 22 novembre 1994).
Alla luce di tali principi correttamente il provvedimento impugnato ha osservato che il termine per impugnare la sentenza decorreva dalla scadenza del termine di novanta giorni fissato per la redazione della motivazione della sentenza e, cioè, dal 23 ottobre 2011 e che, in pendenza del termine per impugnare (quarantacinque giorni) l’appello non è stato proposto, sicché è stata ritualmente indicata l’irrevocabilità della decisione a partire dal 9 dicembre 2011.
2.Non fondato è anche l’altro motivo di ricorso.
1. L’art. 175, comma primo, c.p.p. stabilisce che il pubblico ministero, le parti private e i difensori sono restituiti nel termine per proporre impugnazione stabilito a pena di decadenza, se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o forza maggiore.
Tale previsione ha una sua autonomia rispetto a quella contenuta nel comma successivo e subordina la restituzione nel termine alla prova dell’impedimento dovuto a caso fortuito o forza maggiore (Sez. V, 9 novembre 2005, n. 43870; Sez. I, 11 aprile 2006, n. 15543).
In adesione all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, si osserva che costituisce causa di forza maggiore quel fatto umano o naturale al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, perciò, è irresistibile. Il caso fortuito è un dato della realtà imprevedibile e che soverchia ogni possibilità di resistenza e di contrasto (Sez. Un. 11 aprile 2006, n. 14991; v. anche Corte Cost. n. 101 del 1993).
Ciò che caratterizza, dunque, il caso fortuito è la sua imprevedibilità, mentre nota distintiva della forza maggiore è l’elemento della irresistibilità. Connotazione comune ad entrambi è la inevitabilità del fatto.
L’interpretazione letterale dell’art. 175, comma 1, cod. proc. pen. evidenzia la necessità di tenere distinte la posizione dell’imputato da quella del suo difensore e, quindi, di attribuire rilievo all’assenza di diligenza non solo del legale, ma anche del suo assistito (Sez. II, 11 novembre 2003, Sulli; Sez. I, 24 aprile 2001, Bekhit; Sez. V, 1 febbraio 2000, Bettili). Al contempo non si deve sovrapporre il piano della astratta possibilità di restituzione nel termine con il concreto assolvimento dell’onere probatorio.
Sotto il primo profilo grava sull’imputato non solo l’onere di effettuare, compatibilmente con le contingenze e le scansioni temporali del procedimento, una scelta ragionata del difensore, ma anche di controllare l’esatto adempimento del mandato difensivo e di adottare tutte le cautele imposte dalla normale diligenza per vigilare sull’esatta osservanza, da parte del legale, dell’incarico a lui conferito. La nomina di un difensore di fiducia non può, infatti, giustificare in ogni caso la mancata attivazione dell’imputato in vista della diretta acquisizione di notizie sullo stato del procedimento (cfr. in tal senso, invece, Sez. V, 23 marzo 2007, rv 236919), essendo connaturato al particolare rapporto fiduciario che lo lega al professionista il diritto-dovere dell’assistito di rappresentare carenze nell’effettivo esercizio del diritto di difesa, di chiedere chiarimenti sullo svolgimento della procedura e sulla strategia difensiva.
Né, d’altra parte, può integrare il caso fortuito o la forza maggiore l’errore del difensore di fiducia nell’individuazione dei termini di impugnazione della sentenza, causato da una macroscopica ignoranza della legge processuale e del consolidato e orientamento giurisprudenziale, avallato anche da una decisione delle Sezioni Unite, concernente l’inapplicabilità della disciplina in tema di sospensione dei termini feriali, prevista dall’art. 1 l. n. 742 del 1969 e successive modifiche ai termini per la redazione della sentenza con conseguenti riflessi sulla decorrenza dei termini per proporre appello.
La giurisprudenza Edu, invocata dal ricorrente, deve essere interpretata e calata nella realtà dell’ordinamento processuale italiano. In tale contesto, la giurisprudenza sovranazionale considera ineffettiva la difesa solo dopo avere giudicato il processo nel suo complesso e non con riferimento ad un singolo atto. Inoltre, il principio di ragionevole durata del processo impone un onere di diligenza delle parti processuale, gravante sia sul difensore, che deve essere tecnicamente preparato, che sull’imputato, il quale non può nominare un legale e disinteressarsi del processo, ma è chiamato, pur dopo il conferimento del mandato fiduciario, a vigilare sull’operato del professionista soprattutto nei momenti più significativi come quello dell’impugnazione.
Ne consegue che il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo ad integrare le ipotesi di caso fortuito e di forza maggiore – che si concretano in forze impeditive non altrimenti vincibili, le quali legittimano la restituzione in termini – poiché consiste in una falsa rappresentazione della realtà, vincibile mediante la normale diligenza ed attenzione. Né può essere escluso, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nelle ipotesi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo (Sez. 5, n. 43277 del 06 luglio 2011; Sez. 2, n. 18886 del 24 gennaio 2012).
Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata in Cancelleria il 15.01.2013

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