Suprema Corte di Cassazione

Sezione Prima

Sentenza del 01 giugno 2012, n. 8862

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Macerata, con sentenza in data 16-26 marzo 2009, pronunciava la separazione giudiziale ore tra i coniugi F.L. e B.C., con addebito al marito, assegnando la casa coniugale alla moglie e disponendo l’affidamento congiunto delle figlie minori E. e F., con collocamento presso la madre; poneva a carico del F. assegni a favore delle due figlie, di importo differente; escludeva l’assegno di mantenimento, nonché risarcimento dei danni non patrimoniali per la moglie; condannava peraltro il F. a corrispondere alla moglie stessa somma da essa anticipata a favore del marito per l’acquisto di un appartamento.
Avverso tale sentenza proponeva appello la B., lamentando la mancata condanna del marito alla corresponsione di assegno di mantenimento e risarcimento di danni a favore; censurava altresì la determinazione degli assegni a favore delle figlie, affermando che l’assegno maggiore doveva essere corrisposto a favore della figlia di età superiore; si doleva altresì del0020riconoscimento dei danni patrimoniali, in misura inferiore alle sue richieste.
Costituitosi il contraddittorio, il F. chiedeva rigettarsi l’appello e, in via incidentale, escludersi l’addebito della separazione a suo carico; censurava altresì la quantificazione dell’assegno per le figlie, effettuato dal primo Giudice, nonché la condanna alla restituzione di somma a favore della moglie.
La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza in data 17 marzo-16 aprile 2010, in parziale riforma della sentenza impugnata, modificava gli importi degli assegni per le figlie, confermando per il resto la sentenza impugnata.
Ricorre per cassazione la B.
Resiste con controricorso il F., che pure propone ricorso incidentale.
Resiste con controricorso al ricorso incidentale la B.

Motivi della decisione

Per ragioni sistematiche va esaminato dapprima il ricorso incidentale: si censura l’addebito per violazione dell’obbligo di fedeltà a carico del marito e, se tale censura fosse accolta, rimarrebbe assorbito il motivo del ricorso principale circa il risarcimento del danno per tale violazione.
Con il primo motivo, il ricorrente incidentale lamenta violazione e falsa applicazione e degli artt. 360 c.p.c. n° 3 e 5 e 2687 c.c. per insufficiente motivazione, avendo il Giudice addebitato automaticamente a lui la separazione, in assenza di prove a suo carico e senza esaminare le reciproche condotte dei coniugi.
Il motivo va rigettato, in quanto infondato.
L’obbligo di fedeltà è sicuramente impegno globale di devozione, che presuppone una comunione spirituale tra i coniugi, volto a garantire e consolidare l’armonia interna tra essi (in tale ambito, la fedeltà sessuale è soltanto un aspetto, ma sicuramente, rilevante). Quanto all’addebito, esso sussiste se vi siano violazioni degli obblighi matrimoniali, di regola gravi e ripetute, che diano causa all’intollerabilità della convivenza. (ciò anche per l’obbligo di fedeltà, come per qualsiasi altro obbligo coniugale). (Al riguardo Cass. n. 17193 del 2011).
Quanto al vizio di motivazione, il ricorrente incidentale, nella sostanza, introduce profili di fatto, in suscettibili di controllo di questa sede, in contrasto con le indicazioni della sentenza impugnata, sorretta da motivazione adeguata e non illogica.
Afferma il Giudice a quo la sussistenza di nesso causale tra il deterioramento del rapporto e il comportamento del F. che aveva instaurato una stabile relazione con un’altra donna (significativamente seguita dall’allontanamento del F. stesso dalla casa coniugale e dall’inizio di una convivenza more uxorio, dopo aver ricevuto la notifica del ricorso di separazione), posto che, anteriormente ad essa, la vita matrimoniale – continua il Giudice a quo – era assolutamente normale, con atteggiamenti anche affettivi tra i coniugi e condivisione di vacanze estive e invernali.
Si esamina pure la deposizione del teste F.S., fratello dell’odierno ricorrente incidentale, che parlava, unico tra i testi escussi, di frequenti contese tra i coniugi, in conseguenza del carattere litigioso della B. (ma, correttamente, la sentenza impugnata precisa che la mera litigiosità non potrebbe dar luogo ad alcun addebito, ed essa, del resto, forse derivava dalla consapevolezza o dal sospetto – poi rivelatosi fondato – della relazione del marito).
Con il secondo motivo, il F. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 360 n° 3 e 5 c.p.c. e 2697 c.c., per la insufficiente e contraddittoria motivazione, avendo il Giudice confermato la sua condanna a corrispondere la somma di £. 50.000.000 alla moglie che aveva asserito, senza alcuna prova, di averla anticipata a favore del marito per l’acquisto di un appartamento.
Il motivo va rigettato, in quanto infondato.
Anche il tal caso, il F. introduce motivi di fatto, in contrasto con quanto indicato dalla sentenza impugnata, sorretta da motivazione adeguata. Dal contesto motivazionale, emerge, seppur sinteticamente, che sulla base della documentazione prodotta, risulta il prestito di £. 50.000.000, l’originaria somma impegnata ed anticipata dalla B., non risultando invece l’esborso di somma maggiore (si richiamano evidentemente, ancorché per implicito, le argomentazioni della sentenza di primo grado, ove si precisava che la B. aveva destinato la provvista di vari assegni ad uno degli intestatari dell’immobile acquistato, e spettava semmai al F. dimostrare altro rapporto tra la moglie e il prenditore dei predetti assegni).
Quanto ai principi di solidarietà familiare, invocati dal ricorrente incidentale, è bensì vero che l’obbligo di contribuzione durante la convivenza familiare sussiste in relazione alle sostanze e alle capacità di lavoro professionale e/o casalingo di entrambi i coniugi ed è volto a soddisfare i bisogni della famiglia, ma è altrettanto vero che, soprattutto in relazione ad attività ed operazioni economiche e straordinarie, come l’acquisto di un immobile, ben possono costituirsi rapporti di debito e credito tra i coniugi, come tra qualsiasi altro soggetto.
Con il terzo motivo, il F. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 360 n° 3 e 5 c.p.c. e 2697 c.c., per insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’assegnazione dell’intera casa coniugale, comodamente divisibile tra i coniugi, interamente alla B.
Il motivo va rigettato, in quanto infondato.
Ancora una volta, vengono introdotti profili di fatto, in contrasto con le indicazioni della sentenza impugnata. Con motivazione essenziale e stringata, ma adeguata, il Giudice a quo esclude la divisione della casa coniugale (non si tratta peraltro di inammissibilità della domanda, come sembra affermare il ricorrente incidentale). Questa è stata correttamente assegnata alla B., con collocamento in essa delle due figlie minori.
L’assegnazione della casa coniugale, ai sensi dell’art. 155 quater c.c., va effettuata “tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”, (per tutte, Cass. n. 16802 del 2009). Ritiene la Corte di Merito (riferendosi esplicitamente alla posizione delle figlie minori, che abitano nella casa coniugale, e richiamando, ancorché implicitamente, le argomentazioni della sentenza di primo grado) che il “vissuto” delle minori stesse, le relazioni, gli interessi sviluppati, i bisogni attivati escludano, nel loro preminente interesse, una divisione della casa stessa che comporterebbe una notevole limitazione del loro spazio di vita.
Con il quarto motivo, il ricorrente incidentale lamenta violazione degli artt. 360 n° 3 e 5 c.p.c. e 2697 c.c. per insufficiente e contraddittoria motivazione, avendo il Giudice confermato una differenza di importo degli assegni di mantenimento per le figlie.
Non si comprende bene se il ricorrente censuri soltanto la distribuzione dell’assegno tra le figlie ovvero ne richieda una diminuzione dell’importo. Se così fosse, il ricorso sarebbe non autosufficiente, perché privo di ogni motivazione al riguardo.
Quanto alla predetta “distribuzione”, la Corte di merito, con motivazione adeguata e logica, valuta preminenti le esigenze della figlia maggiore di età rispetto all’altra, secondo quanto più frequentemente accade, ed in mancanza di specifiche indicazioni, circa particolari esigenze e bisogni delle figlie, da parte dei genitori.
Il motivo va dunque rigettato, in quanto infondato.
Conclusivamente, va rigettato il ricorso incidentale.
Quanto al ricorso principale, con il primo motivo, la ricorrente lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, in punto esclusione dell’assegno di mantenimento a suo favore, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c.
Il motivo è fondato.
Secondo orientamento ampiamente consolidato, (per tutte, Cass., n° 6698 del 2009) ai fini della determinazione dell’assegno di separazione (o di divorzio), l’inadeguatezza dei redditi del coniuge va commisurata al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale: accertato il quale, dovrà il giudice verificare se i mezzi economici, a disposizione del richiedente, gli permettano di conservarlo e, in caso negativo, procederà alla valutazione comparativa dei mezzi a disposizione di ciascun coniuge.
La sentenza impugnata, da un lato, ha accertato la sussistenza di un tenore di vita elevato durante la convivenza matrimoniale (ciò giustificherebbe, a suo dire, la determinazione dell’assegno per le figlie minori, di importo piuttosto elevato), dall’altro, con una motivazione insufficiente e, almeno in parte, contraddittoria, ha precisato che la B. non avrebbe dimostrato la propria inadeguatezza dei redditi, svolgendo attività lavorativa retribuita, “non essendo quindi provato che essa non sia in grado di mantenere il tenore di vita precedente”. Null’altro aggiunge il Giudice a quo, senza verifica alcuna sui mezzi economici del coniuge richiedente l’assegno, quasi che un’attività lavorativa qualsivoglia (nella specie, sembra pacifico che la moglie lavori part time presso un ente pubblico; diverge al contrario la valutazione su ulteriori redditi e proprietà in capo all’uno e all’altro coniuge) escluda di per sé sola l’assegno di mantenimento di separazione.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.c., in combinato disposto con l’art. 2043 c.c., nonché il vizio di motivazione, in relazione all’esclusione di responsabilità aquiliana del F., per violazione dell’obbligo di fedeltà matrimoniale.
Il motivo è fondato.
Afferma la sentenza impugnata che la condotta del F. non sarebbe “antigiuridica”. La domanda di risarcimento del danno contrasterebbe con il diritto del coniuge di perseguire le proprie scelte personali, soprattutto in conseguenza “della legge che ha eliminato il carattere illecito dell’adulterio”: il desiderio di “libertà e felicità” del F., pur comportando disgregazione della famiglia, sarebbe sanzionato con l’addebito della separazione, ma non potrebbe configurarsi quale fonte di risarcimento dei danni.
Non tiene conto, il Giudice a quo dell’evoluzione giurisprudenziale di questi anni, di merito e legittimità l’affermarsi e l’estendersi di uno dei fenomeni sicuramente più rilevanti nella vicenda più recente del diritto di famiglia; l’introduzione della logica e dei metodi della responsabilità civile nel rapporto tra coniugi e tra genitori e figli, che del resto, si inserisce nel più generale ampliamento dell’area della responsabilità aquiliana.
Significativamente la sentenza impugnata parla di legge che ha rifiutato il carattere illecito dell’adulterio (si riferisce, evidentemente, alle notissime sentenze della Corte Costituzionale che avevano dichiarato l’illegittimità dei reati di adulterio e concubinato) quasi che, ancor oggi, i danni non patrimoniali siano soltanto derivanti da ipotesi di reato.
Quanta Corte ha avuto modo di precisare ripetutamente che la violazione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti, anche ai sensi dell’art. 2 Cost., incidendo su beni essenziali della vita, dà luogo a risarcimento di danni non patrimoniali (per tutte, Cass. nn. 7281, 7282, 7283 del 2003). E’ vero che una parte della dottrina ha definito il nuovo orientamento giurisprudenziale “illiberale”perché punirebbe ulteriormente il coniuge (magari già sanzionato dalla dichiarazione di addebito), con la “creazione” di diritti assolutamente inesistenti, non essendovi alcuna violazione del principio del neminem laedere.
Va precisato che la responsabilità tra coniuge o del genitore nei confronti del figlio, non si fonda sulla mera violazione dei doveri matrimoniali o di quelli derivanti dal rapporto di genitorialità, ma sulla lesione, a seguito dell’avvenuta violazione di tali doveri, di beni inerenti la persona umana, come la salute, la privacy, i rapporti relazionali, etc. (al riguardo, più in generale, Cass. n. 9801 del 2005 e, specificatamente sull’obbligo di fedeltà, Cass. n. 18853 del 2011, n. 610 del 2012).
Si riteneva altresì, come ancora afferma il Giudice a quo che l’addebito, strumento peraltro più sanzionatorio che risarcitorio, non soffrisse la cumulabilità di ulteriori risarcimenti, salvo che vi fossero specifici danni patrimoniali, per i quali il coniuge avrebbe potuto ovviamente essere ritenuto responsabile (ad es. se egli avesse, con il suo comportamento, arrecato perdite al patrimonio dell’altro coniuge); ovvero – ipotesi del tutto differente – il coniuge arrecasse danno all’altro, prescindendo dalla sua qualità in quanto mero soggetto danneggiante, come qualsiasi estraneo (ad es. con la propria guida spericolata).
Al contrario, come si diceva, secondo il nuovo orientamento, rileva proprio la sua qualità di coniuge e la violazione di obblighi nascenti dal matrimonio che, da un lato è causa di intollerabilità della convivenza, giustificando la pronuncia di addebito, con gravi conseguenze, com’è noto, anche di natura patrimoniale, dall’altro, dà luogo ad un comportamento (doloso o colposo) che, incidendo su beni essenziali della vita, produce un danno ingiusto, con conseguente risarcimento, secondo lo schema generale della responsabilità civile.
Possono dunque sicuramente coesistere pronuncia di addebito e risarcimento del danno, considerati i presupposti, i caratteri, le finalità, radicalmente differenti.
Nella specie, afferma il Giudice a quo, che la relazione del F. “non ha assunto carattere ingiurioso per la B. o manifestazioni rilevanti di disdoro” per essa. Egli non considera peraltro, anche solo eventualmente per confutarle, le incidenze, allegate dalla B., del comportamento del marito sulla salute, sulla privacy, sulla reputazione, etc.
Va conclusivamente accolto il ricorso principale, rigettato quello incidentale, cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra indicato e pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, che pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell’art. 52 D.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.

Depositata in Cancelleria il 01.06.2012

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