Le massime

1. Con riguardo al pregiudizio che possa derivare all’immobile vicino alla strada pubblica dall’omessa manutenzione di quest’ultima, ovvero, in generale, dall’inosservanza delle regole imposte dalla prudenza e dalle cautele tecniche a salvaguardia dei diritti dei terzi, deve riconoscersi la proponibilità contro l’amministrazione di adire il giudice ordinario non soltanto con azione risarcitoria, ma anche con richiesta di condanna al compimento di tutte le opere necessarie a rimuovere la situazione pregiudizievole, vertendosi in tema di comportamenti materiali, non riconducibili all’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali, in relazione ai quali rientra nelle attribuzioni del giudice ordinario la condanna dell’amministrazione medesima ad un “facere”.

2. Il divieto di condannare la pubblica amministrazione a compiere una specifica attività non trova applicazione quando la pubblica amministrazione abbia arrecato pregiudizio ai diritti dei privati con attività materiale o con atti arbitrari ed in mancanza assoluta di un provvedimento giustificativo.

3. Il divieto di cui all’art. 4 della legge 2248 del 1865 All. E è invocabile esclusivamente nell’ipotesi di attività provvedimentale, perciò non ricorrente nell’ipotesi di situazioni materiali riconducibili all’attività della P.A. che si presentino in contrasto con i precetti posti dalla prudenza e dalla tecnica a salvaguardia di diritti soggettivi altrui.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 5 ottobre 2012, n.17068

Ritenuto in fatto

La Corte di appello di Roma in parziale riforma della decisione del 31 maggio 2002 del Tribunale di Viterbo,ha condannato la Provincia di Viterbo al risarcimento del danno, riducendolo all’importo di Euro 2.200 per l’occupazione senza titolo di un terreno di proprietà di V..V. , nonché per i danni arrecati ai prodotti della semina a causa di allagamenti provocati dall’irregolare deflusso delle acque meteoriche ivi convogliate in seguito ad alcune opere di sistemazione di una strada provinciale eseguite dall’ente pubblico. Ha dichiarato,invece la cessazione della materia del contendere in merito alla richiesta del proprietario di esecuzione di altre opere dirette a por fine a tale irregolare deflusso sul suo fondo posto che il c.t. aveva accertato che la Provincia aveva eseguito una serie di lavori al riguardo;e che d’altra parte il disposto dell’art.4 legge abol. Cont. 2248/1865 vieta al giudice ordinario la condanna della P.A. ad un facere specifico.
Per la cassazione della sentenza, il V. ha proposto ricorso per 4 motivi; cui resiste la Provincia di Viterbo con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il V. , deducendo violazione dell’art.100 cod. proc. civ. censura la sentenza impugnata per avere dichiarato la cessazione della materia del contendere in ordine alla propria richiesta di condanna della Provincia al compimento di tutte le opere rivolte ad evitare il riversarsi delle acque pluviali sul proprio fondo, malgrado non ne ricorressero i presupposti: avendo egli, in tutte le sue difese, non soltanto escluso che i lavori compiuti dalla Provincia ed indicati dalla c.t. avessero risolto tale situazione pregiudizievole,ma insistito nella esecuzione di tutte le ulteriori opere necessarie a porre fine all’inconveniente: sul quale peraltro nessuna motivazione era rinvenibile nella decisione.

Con il secondo,deducendo violazione dell’art. 4 legge 2248 del 1865 All. E, si duole che il giudice di appello abbia dichiarato inammissibile la richiesta suddetta, disattendendendo la giurisprudenza di legittimità per la quale il divieto non riguarda i comportamenti materiali della p.a. posti in essere senza alcun titolo che si traducono nella violazione del precetto contenuto nell’art. 2043 cod. civ.

Entrambi i motivi sono fondati.

Il V. ha riportato nel ricorso le proprie difese in appello, laddove aveva contestato l’idoneità e la sufficienza delle opere realizzate dalla Provincia di Viterbo a ripristinare l’ordinato deflusso delle acque pluvie sui propri terreni preesistente alla costruzione di un rilevato stradale da parte della Provincia, ed ha insistito nella esecuzione di tutte quelle,anche di modifica della viabilità necessarie ad evitare soprattutto in prossimità di un ponte sul fiume Tevere gli allagamenti e le inondazioni dei suoi terreni che avevano sistematicamente distrutto e/o danneggiato le sue coltivazioni. E tanto era sufficiente ad escludere la declaratoria di cessazione della materia del contendere, la quale presuppone invece, il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e quindi la ragion d’essere della lite; la quale nel caso si incentrava proprio sulla sufficienza delle opere indicate dalla sentenza impugnata ad impedire nuove inondazioni con conseguente danneggiamento del fondo V. in occasione di nuove precipitazioni al cui compimento quest’ultimo non aveva affatto rinunciato (Cass.20179/2011; 26005/2010 ; 6909/2009). D’altra parte, questa Corte a partire dagli anni 70′ ha ripetutamente affermato anche a sezioni unite che il divieto di condannare la pubblica amministrazione a compiere una specifica attività non trova applicazione quando la pubblica amministrazione abbia arrecato pregiudizio ai diritti dei privati con attività materiale o con atti arbitrari ed in mancanza assoluta di un provvedimento giustificativo; che il divieto di cui all’art. 4 è invocabile esclusivamente nell’ipotesi di attività provvedi mentale,perciò non ricorrente nell’ipotesi di situazioni materiali riconducibili all’attività della P.A. che si presentino in contrasto con i precetti posti dalla prudenza e dalla tecnica a salvaguardia di diritti soggettivi altrui. E che con riguardo al pregiudizio che possa derivare all’immobile vicino dall’omessa manutenzione di strada pubblica, ovvero, in generale, dall’inosservanza delle regole imposte dalla prudenza e dalle cautele tecniche a salvaguardia dei diritti dei terzi, deve riconoscersi la proponibilità contro l’amministrazione di adire il giudice ordinario non soltanto con azione risarcitoria, ma anche con richiesta di condanna al compimento di tutte le opere necessarie a rimuovere la situazione pregiudizievole, vertendosi in tema di comportamenti materiali, non riconducibili all’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali, in relazione ai quali rientra nelle attribuzioni del giudice ordinario la condanna dell’amministrazione medesima ad un ‘facere (Cass. sez. un. 2692/1989; 2092/1992; 23735/2006). Per cui ben poteva la Corte di appello, ove avesse accertato che la situazione pregiudizievole e lesiva per il diritto dominicale del V. era attribuibile ad opere dell’amministrazioni provinciale che l’avevano determinato modificando il deflusso delle acque pluviali e non realizzando tutti gli accorgimenti necessari ad impedire il loro disordinato deflusso nei terreni del ricorrente, dare tutte le disposizioni necessarie onde rimuovere tale situazione contraria al precetto del neminem laedere (art. 2043 cod. civ.).

Con il terzo motivo, il ricorrente,deducendo motivazione illogica e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia censura la sentenza impugnata per aver escluso il danneggiamento alle colture ritenuto non provato in base alle risultanze della c.t.u. dopo avere invece liquidato il danno alle superfici impiantate a seminativo,senza considerare che si trattava delle medesime inondazioni,che era sufficiente un semplice sopralluogo per individuarne estensione e causa;e che uno stesso fatto non poteva danneggiare una parte delle coltivazioni e nel contempo non interessare la porzione rimanente.

Con il quarto motivo,deducendo violazione degli art. 2697 cod. civ. e 112 cod. proc.civ. lamenta che la decisione di appello gli abbia disconosciuto il danno derivante dall’asportazione della recinzione,ritenendolo non provato in conseguenza degli allagamenti, senza considerare che esso attore fin dalla citazione introduttiva del giudizio lo aveva invece ricollegato esclusivamente alla occupazione illegittima del proprio terreno da parte della Provincia: ritenuta pacifica dal c.t. e da entrambi i giudici di merito,che infatti avevano condannato l’ente pubblico per l’illegittima apprensione e detenzione dell’immobile privato.

Il Collegio ritiene fondata soltanto quest’ultima censura. La Corte di appello ha escluso il risarcimento del danno relativo al dedotto danneggiamento delle colture arboree perché il c.t.u. dopo aver compiuto proprio gli opportuni sopralluoghi invocati dal V. , non aveva potuto stabilire se la piantagione di actinidia avesse o meno subito danni per causa degli allagamenti: comunque non risultanti in sede di accesso dell’ausiliario. Per cui, non avendo il ricorrente contestato tali risultanze, né indicato in base a quali elementi detti accertamenti dovevano considerarsi erronei,doveva nel caso trovare applicazione la regola generale posta dall’art.2697 cod. civ. che faceva carico comunque al V. di fornire la prova del danno invocato nonché del nesso eziologico con gli allagamenti e/o inondazioni provocate dalle opere mal realizzate dall’amministrazione provinciale. Vero è che nel caso si trattava di fatti accertabili soprattutto mediante le cognizioni di ordine tecnico peculiari di una consulenza, ma avendo la stessa dato esito sfavorevole al ricorrente poiché non era stato possibile dimostrare il nesso di causalità suddetto, e non avendo il proprietario indicato errori od omissioni nei sopralluoghi e nelle indagini dell’ausiliario, l’asserito pregiudizio poteva e doveva essere documentato con tutti gli altri mezzi di prova a disposizione di quest’ultimo;che invece non se ne è avvalso: perciò correttamente inducendo la Corte di appello ad escludere l’arbitraria presunzione che l’accertato danneggiamento delle superfici seminative avesse perciò stesso comportato quello delle colture arboree.

Dall’esame degli atti processuali peraltro specificamente indicati dal danneggiato (che questa Corte può compiere essendo stato denunciato anche un error in procedendo), risulta invece,che quest’ultimo ha lamentato l’occupazione senza titolo di una porzione del proprio terreno;e che nell’apprenderlo, l’amministrazione provinciale aveva asportato mq. 300 circa della relativa recinzione. Per cui, è del tutto illogico il rigetto della domanda di rimborso del valore della recinzione, cui la sentenza impugnata è pervenuta erroneamente collegandone l’asportazione ai menzionati allagamenti, ed escludendo siffatto nesso di causalità che il V. non aveva mai dedotto. Pertanto il giudice di rinvio dovrà procedere all’accertamento del fondamento di detta richiesta nei termini in cui è stata formulata dall’originario attore. Cassata,conclusivamente la sentenza impugnata,in relazione ai motivi accolti, il Collegio deve rinviare alla Corte di appello di Roma,che in diversa composizione si atterrà ai principi esposti e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte,accoglie il primo,secondo e quarto motivo del ricorso,rigetta il terzo,cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità,alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

 

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