cassazione

suprema CORTE DI CASSAZIONE

sezione I

sentenza 5 maggio 2014, n. 18332

Rilevato in fatto

 Con sentenza in data 2.2.2012 il GUP del Tribunale di Forlì, a seguito di giudizio abbreviato, ha condannato L.L. alla pena complessiva di anni trenta di reclusione per i seguenti delitti:

– capo a) omicidio in danno di G.S. , colpendola ripetutamente con un coltello a scatto al volto, al capo, al collo, al torace e in aree prossime ed in corrispondenza del cuore e di altri organi vitali, determinandone il decesso dopo circa un’ora a seguito di gravissima anemia metaemorragica; con le aggravanti di aver agito con premeditazione, per motivi abietti – segnatamente per spirito di sopraffazione, dominio fisico e morale nonché per volontà punitiva in quanto la predetta veniva ritenuta responsabile di una immotivata interruzione della relazione sentimentale – e con crudeltà ed efferatezza, tenuto conto della reiterazione dei colpi, della loro violenza, del numero e della vastità dei distretti del corpo della vittima attinti e della circostanza che molti dei colpi erano stati inferti pur dopo che la vittima non era più in grado di reagire; in (OMISSIS) , fatto avvenuto davanti alla scuola frequentata da G.S. ;

– capo b) porto di un coltello a scatto della lunghezza totale di cm. 26,5;

– capo c) furto di un ciclomotore con il quale si allontanava dal luogo dove aveva commesso il delitto;

– capo d) sequestro di V.G. per circa mezz’ora, trattenendolo dopo avergli mostrato un revolver (arma caricata a salve) che teneva infilato nella cintura dei pantaloni;

capo e) resistenza nei confronti del pubblico ufficiale che stava procedendo all’arresto, puntandogli il suddetto revolver;

capo f) violenza privata e atti persecutori in danno di G.S. dall’inizio del loro rapporto (anno 2006) fino ai primi giorni del (omissis) .

La Corte di assise d’appello di Bologna, con sentenza in data 20.9.2012, confermava la suddetta sentenza del GUP del Tribunale di Forlì appellata dall’imputato.

I fatti sono stati analiticamente descritti già nei capi di imputazione.

La Corte di merito, nella prima parte della sentenza, ha riportato i contenuti della sentenza di primo grado.

Quanto ai rapporti fra G.S. e l’imputato, sono stati messi in luce i diversi caratteri: la personalità egocentrica del L. , connotata da spirito di supremazia e idee politiche razziali, e l’atteggiamento mite della G. , affettuosa e fragile, capace di sopportare per anni le angherie del suo ragazzo e degli amici di lui.

Il primo giudice, quanto alla premeditazione, aveva messo in evidenza l’apprestamento dei mezzi e della via di fuga, il furto del ciclomotore, il reperimento di un coltello a scatto e il fermo proposito di punire la G. in quanto gli aveva inflitto ingiuste sofferenze.

Quanto ai motivi abietti e al dispiego di una crudeltà inaudita, aveva ritenuto che l’uccisione della ragazza fosse stata decisa per puro spirito vendicativo e con chiaro intento vessatorio, mentre la crudeltà veniva ravvisata nell’efferata reiterazione delle coltellate, alcune delle quali di una crudeltà inaudita, quali quelle che avevano provocato le lesioni ad un occhio, alla gola e al padiglione auricolare, quest’ultima così violenta da portare alla quasi avulsione di tale parte anatomica.

Dopo aver riportato analiticamente i motivi d’appello presentati dalla difesa dell’imputato, la Corte di secondo grado premetteva che la motivazione della sentenza del primo giudice appariva fondata in fatto e in diritto, e pertanto doveva essere confermata in ogni sua parte, con conseguente rigetto dei motivi di gravame.

Per quanto rileva nel presente processo, la Corte di assise d’appello riteneva che la sussistenza dell’aggravante della premeditazione risultava evidente per il fatto che l’imputato aveva programmato il delitto; si era armato di un coltello; aveva predisposto uno zaino fornito del necessario per una sopravvivenza da fuggitivo; aveva rubato un motoscooter, stabilito una via di fuga e si era procurato la somma di 4.000,00 Euro per assicurarsi l’impunità per un breve periodo di tempo; si era portato anche una corda, da usare per suicidarsi, ma l’aver predisposto varie alternative al post factum rafforzava, secondo i giudici di merito, l’idea che aveva deciso di uccidere la ragazza.

Il L. aveva avuto tutto il tempo per desistere dal suo proposito, e il delitto sarebbe stato ugualmente premeditato se l’imputato si fosse proposto di cambiare atteggiamento nel caso in cui la G. avesse accettato di tornare con lui.

Ulteriori elementi dimostrativi della premeditazione si potevano desumere dalle annotazioni sul diario, nel quale l’imputato aveva scritto della soluzione finale vicina e della sua definitiva decisione di punire adeguatamente la sua donna per l’abbandono consumato ai suoi danni. Con riguardo ai motivi abietti e alla crudeltà, la Corte di merito, prima contestava la tesi difensiva secondo la quale l’imputato avrebbe avuto una reazione a corto circuito – esplosa in conseguenza della sindrome abbandonica di cui il L. già soffriva per le sue vicende familiari – nel momento in cui la G. gli aveva risposto di non voler ritornare con lui, poi affermava che la sussistenza delle aggravanti in questione risultava chiara per la reiterazione dei colpi di coltello e per l’efferatezza di alcuni di essi, non necessari al fine di provocare la morte della ragazza, ormai in uno stato preagonico.

Riteneva, infine, l’imputato non meritevole delle attenuanti generiche – sebbene fosse incensurato, in particolari condizioni psichiche, pentito e avesse tenuto un buon comportamento processuale – in quanto la gravità dell’omicidio e degli altri reati commessi rendevano adeguata la pena dell’ergastolo, ridotta nei confronti del L. a trent’anni di reclusione per la scelta del rito abbreviato.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, chiedendone l’annullamento, con il primo motivo, per erronea applicazione della legge penale e per difetto di motivazione in relazione alla ritenuta aggravante dei motivi abietti.

Preliminarmente il ricorrente ha dedotto che la Corte di merito aveva omesso di trattare la sussistenza della suddetta aggravante, non rispondendo allo specifico motivo d’appello della difesa che veniva riportato nel ricorso.

Dopo aver analiticamente illustrato emergenze processuali (testo di S.M.S. e osservazioni del perito e dei consulenti di parte), la difesa ha concluso che l’imputato aveva agito per gelosia, per sofferenza emozionale e difficoltà a tollerare la frustrazione, sostenendo che le suddette ragioni non potevano essere qualificate come motivi abietti e che dalle prove raccolte veniva smentita l’ipotesi dell’accusa secondo la quale l’imputato avrebbe agito per spirito di sopraffazione e per vendetta.

Con il secondo motivo di ricorso è stata contestata la sussistenza dell’aggravante di aver agito con crudeltà e con efferatezza.

Secondo il ricorrente, erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto che la reiterazione dei colpi fosse indicativa della crudeltà dell’imputato, in quanto lo stesso, colpendo reiteratamente la vittima, non mirava ad altro che a provocarne la morte.

Non era poi vero che i colpi diretti al viso, in particolare al bulbo oculare e al padiglione auricolare, fossero stati infetti per sfigurare la vittima; l’imputato era in preda ad una furia omicida e nella reiterazione dei colpi non cercava altro che la morte della vittima.

Con il terzo motivo di ricorso è stata contestata la sussistenza dell’aggravante della premeditazione.

Dalle prove raccolte non era emerso che l’imputato avesse maturato il fermo e irrevocabile intento di uccidere G.S. .

La Corte territoriale non aveva considerato che due giorni prima del fatto l’imputato aveva fatto consegnare in aula a S. un mazzo di fiori per la festa della donna; che il giorno del delitto l’imputato aveva portato con sé un biglietto da consegnare alla G. , nel quale la rimproverava di averlo lasciato come un cane, dimenticando tutte le sue promesse, perché alla fine l’amore non c’era più; che era fuggito con un mezzo diverso da quello rubato, senza portare con sé lo zaino che aveva preparato.

Anche gli SMS scritti i giorni precedenti – come quello dell’8.3.2011 ad un amico nel quale diceva di voler parlarle con la G. di persona una volta che era da sola – apparivano inconciliabili con la definitiva e risoluta volontà di uccidere l’ex fidanzata.

Secondo il ricorrente, l’omicidio non può essere considerato premeditato nel caso in cui lo stesso sia stato sottoposto a condizione propria, perché in tal caso non è presente un fermo proposito di commettere il delitto.

L’imputato era confuso sul da farsi ed aveva deciso di commettere il delitto solo dopo il colloquio con la G. , preso da rabbia incontrollabile.

Con il quarto motivo di ricorso ha contestato la motivazione con la quale la Corte di assise d’appello aveva negato all’imputato le attenuanti generiche.

Non si era tenuto conto delle doglianze della difesa contenute nell’atto di appello, e in particolare della mancata considerazione della giovane età dell’imputato e del suo grado di immaturità ammesso dalla sentenza di primo grado; del difficile rapporto con i genitori; del sincero pentimento manifestato dopo il fatto; del buon comportamento processuale e della sincerità della suo confessione; dell’incensuratezza; del comportamento durante la detenzione, iniziata il 10.3.2011; del tentativo di suicidio in carcere.

 Considerato in diritto

 Sono infondati i motivi con i quali il ricorrente contesta la sussistenza dell’aggravante della premeditazione e dell’aggravante dell’aver agito con crudeltà verso la vittima.

È opportuno premettere che, per valutare la sussistenza delle suddette aggravanti, deve essere preliminarmente stabilito, tenendo conto delle obiezioni contenute nei motivi di ricorso, se il fatto è stato correttamente ricostruito nei suoi passaggi fondamentali dai giudici di merito.

Nei motivi di ricorso non sono contenute specifiche censure alla ricostruzione del fatto ad opera dei giudici di merito, e quindi lo stesso deve essere assunto in questa sede cosi come è stato accertato nella sentenza impugnata, senza che possa darsi rilievo alla diversa interpretazione delle prove prospettata dalla difesa dell’imputato.

In particolare, non può essere dato rilievo a ricostruzioni della vicenda basate su estrapolazioni da atti processuali, in quanto gli atti del processo non vengono neppure esaminati in questa sede.

Il giudizio demandato a questa Corte, infatti, non ha come oggetto il contenuto degli atti processuali, e quindi sarebbe del tutto illogico prendere in considerazione solo le parti degli atti indicate dalla difesa (o dall’accusa), restando precluso in sede di legittimità un esame complessivo degli stessi.

Neppure spetta a questa Corte l’interpretazione delle prove, compito esclusivo del giudice di merito che ha una visione complessiva di tutte le emergenze processuali, né la scelta di quale sia l’interpretazione preferibile delle stesse tra quella contenuta nel provvedimento impugnato e quella proposta nell’atto di impugnazione, essendo precipuo oggetto del giudizio di legittimità il controllo del rispetto dei canoni fondamentali della logica nelle affermazioni e nei passaggi della motivazione del provvedimento impugnato, oltre che il controllo della corretta applicazione delle norme processuali e sostanziali.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il sindacato di legittimità,per il disposto dell’art. 606.1 lett. e) cod. proc. pen., è circoscritto nei limiti della assoluta ‘mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato’. Tale controllo di legittimità è diretto ad accertare che a base della pronuncia esista un concreto apprezzamento delle risultanze processuali e che la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici, restando escluse da tale controllo non soltanto le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi di prova e la scelta di quelli determinanti, ma anche le incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate o con altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici. La verifica di legittimità riguarda cioè la sussistenza dei requisiti minimi di esistenza e di logicità della motivazione, essendo inibito dall’art. 606.1 lett. e) cit. il controllo sul contenuto della decisione. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti addotta dai ricorrenti né su altre spiegazioni fornite dalla difesa (o dall’accusa), per quanto plausibili e logicamente sostenibili (V. Sez. 6 sentenza n. 1662 del 4.12.1995, Rv. 204123).

Sono pacifici nella giurisprudenza di questa Corte i presupposti dell’aggravante della premeditazione: uno di natura cronologica, costituito da un apprezzabile lasso di tempo fra l’insorgenza del proposito criminoso e la attuazione di esso e l’altro di carattere ideologico, consistente nelle ferma risoluzione criminosa perdurante nell’animo dell’agente, senza soluzioni di continuità, fino alla commissione del crimine. Il primo di tali elementi è particolarmente indicativo perché, concretandosi in un intervallo temporale in cui l’agente potrebbe riflettere ed eventualmente recedere dal proposito criminoso, denota – ove tale recesso non si sia verificato – una particolare intensità di dolo che si traduce in una fredda e perdurante determinazione a commettere il reato, nel che si sostanzia l’altro degli elementi costitutivi dell’aggravante. Ne consegue che detti elementi si integrano e si arricchiscono reciprocamente e ad entrambi occorre guardare per decidere se sussista la circostanza aggravante di cui all’art. 577, comma primo n. 3, cod. pen.( V. Sez. 1 sentenza n.4956del 15.3.1993, Rv. 194556).

La Corte di assise d’appello ha desunto che il delitto fosse stato accuratamente preparato da una serie di indici fattuali significati che non sono contestati dal ricorrente: nel diario tenuto dall’imputato sono stati rinvenuti propositi di vendetta, con soluzione finale, per l’abbandono ingiustificato consumato ai suoi danni dalla G. ; la preparazione di uno zaino fornito del necessario per la sopravvivenza da fuggitivo; il furto di un motoscooter da utilizzare per commettere il delitto e fuggire; la predisposizione di una via di fuga e di una somma di denaro per assicurarsi per qualche tempo l’impunità; il fatto che si è recato all’incontro con la G. portando con sé un coltello a scatto, la cui destinazione tipica è l’offesa alla persona. La fermezza del suo proposito è stata desunta anche dalle reiterazione dei colpi e dalle efferate modalità di commissione del delitto.

Secondo la difesa, non sarebbe sussistente l’aggravante della premeditazione nel caso, ritenuto plausibile dalla stessa Corte di merito nel ricostruire la vicenda in esame, che l’imputato avesse deciso di uccidere, solo se la ragazza si fosse rifiutata di tornare con lui.

Secondo l’ormai costante giurisprudenza di questa Corte (V. Sez. I sentenza n. 19974 del 12.2.2013, Rv.256180), però, non osta alla configurabilità dell’aggravante della premeditazione il fatto che il soggetto agente abbia condizionato l’attuazione del proposito criminoso alla mancata verificazione di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si pone come un avvenimento previsto, atto a far recedere la precisa e ferma risoluzione criminosa del reo (fattispecie in cui l’omicidio era stato programmato per il caso in cui la vittima avesse ribadito il rifiuto di riallacciare il rapporto di convivenza con il reo).

In effetti, anche nel caso in cui è stata presa la ferma risoluzione di uccidere la persona, se la stessa continua ad opporre un rifiuto ad una determinata richiesta, sussiste la ratio dell’aggravante de qua. L’aggravante della premeditazione ha la finalità di punire più severamente colui che ha agito con una particolare intensità del dolo, mantenendo fermo il proposito di uccidere durante tutto il tempo in cui avrebbe avuto modo di riflettere e di recedere dalla sua decisione. Sotto l’aspetto logico, la decisione di uccidere ben può essere considerata ferma, anche se condizionata al verificarsi di una determinata risposta. Per le ragioni già esposte, non può essere presa in considerazione in questa sede di legittimità la diversa lettura delle prove data dalla difesa, secondo la quale l’imputato avrebbe deciso di uccidere, preso da rabbia incontrollabile, solo nel momento in cui la G. aveva comunicato di non volere ristabilire il rapporto con lui.

I giudici di merito hanno ritenuto sussistente l’aggravante di aver agito con crudeltà non tanto per la reiterazione delle coltellate, ma per la sequenza e le modalità delle stesse: la vittima era stata colpita prima con più coltellate al torace che l’avevano fatta cadere a terra ed erano idonee a provocarne la morte; mentre la ragazza era a terra in stato preagonico, l’imputato aveva infierito colpendola violentemente con ulteriori coltellate al capo, una delle quali penetrava nella regione orbitale sinistra e un’altra cagionava la parziale avulsione del padiglione auricolare sinistro, di tal che queste ultime, secondo i giudici di merito, apparivano tese più a cagionare sofferenze e a sfigurare la vittima, che a cagionarne la morte, l’aggravante di aver agito con crudeltà è stata ritenuta sussistente nella sentenza impugnata nel pieno rispetto dei principi più volte affermati da questa Corte, che anche recentemente ha avuto modo di ribadire che in tema di omicidio, la reiterazione di colpi di coltello può integrare l’aggravante dell’avere agito con crudeltà qualora, per il numero dei colpi inferti, non sia soltanto funzionale al delitto, ma costituisca espressione della volontà di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell’evento morte (V. Sez. 1 sentenza n.27163 del 28.5.2013, Rv256476).

Valgono le considerazioni già svolte a proposito della sussistenza dell’aggravante della premeditazione, con riguardo alla diverse ragioni prospettate dalla difesa per spiegare l’accanimento dell’imputato nei confronti della vittima.

La difesa aveva contestato nei motivi d’appello anche la sussistenza dell’aggravante dei motivi abietti, sostenendo che l’imputato aveva agito non per spirito di sopraffazione e volontà punitiva, come contestato nel capo di imputazione, ma sotto l’impulso di una forte spinta emotiva causata dall’attaccamento alla G. e da una reazione, al limite del patologico, per la frustrazione di essere stato abbandonato dalla sua ragazza.

Nella motivazione della sentenza della Corte di assise d’appello non si rinviene alcuna risposta al predetto motivo d’appello, che pure era stato indicato (pag.18) nel riportare i motivi d’appello presentati dalla difesa dell’imputato.

Nella motivazione della sentenza impugnata, dopo aver premesso che erano sufficienti brevi parole per dimostrare la sussistenza dei motivi abietti e dell’aver agito con crudeltà, si è presa in esame solo quest’ultima aggravante, senza indicare le ragioni per le quali dovevano essere ritenuti sussistenti anche i motivi abietti.

Pertanto, su, punto, la sentenza impugnata deve essere annullata per omessa motivazione su uno specifico motivo d’appello.

L’accoglimento del predetto motivo non consente di esaminare quelli riguardanti le attenuanti generiche e il trattamento sanzionatorio, poiché la sussistenza o meno dell’aggravante dei motivi abietti può incidere sul riconoscimento delle attenuanti generiche e del trattamento sanzionatorio, la cui valutazione dipende anche dalla gravità del fatto, che può essere considerata maggiore o minore in ragione della sussistenza o meno dell’aggravante di cui trattasi.

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente agli aspetti sopra indicati, con rinvio per nuovo giudizio sulla sussistenza dell’aggravante dei motivi abietti e sul trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di assise d’appello di Bologna. L’imputato resta soccombente nei confronti delle parti civili, e pertanto deve essere condannato a rifondere le spese sostenute dalle stesse nel presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

 P.Q.M.

 Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante dei motivi abietti e rinvia per nuovo giudizio sul punto, conseguentemente al trattamento sanzionatorio, ad altra sezione della Corte di assise d’appello di Bologna. Rigetta nel resto il ricorso.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in Euro 2.304,00, oltre accessori come per legge

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