La massima
1. Per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una P.A., e pur ove questa agisca “iure privatorum”, è richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, la forma scritta “ad substantiam”, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost.
2. Il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una P.A. deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I
SENTENZA 4 novembre 2013, n. 24679
Fatto e diritto
Rilevato che:
1. A..A. , P..M. , L..S. , Ca.Or. hanno agito nei confronti del Comune di Bronte per ottenere la sua condanna al pagamento del compenso per l’attività professionale di progettazione dei lavori di ampliamento e rifacimento parziale della rete di illuminazione pubblica. Hanno dedotto di aver ricevuto un primo incarico con delibera del 9 febbraio 1987 in cui ad ognuno dei progettisti era affidata una parte dell’abitato cosicché ognuno aveva sottoscritto un distinto disciplinare di incarico. Dopo quattro anni dalla consegna degli elaborati il Sindaco aveva inviato ai progettisti una lettera datata 22 febbraio 1991 con la quale si comunicava che i progetti non erano stati approvati dalla giunta municipale e che la amministrazione era pervenuta alla determinazione di riesaminare, nell’ottica della valorizzazione del centro storico, l’intervento di rifacimento della rete di illuminazione. Il Sindaco aveva quindi chiesto la redazione di un progetto unitario a firme congiunte che tenesse conto delle scelte progettuali già effettuate e delle nuove direttive citate. Era stato conferito pertanto un nuovo incarico formalizzato con delibera della Giunta in data 10 luglio 1991 che investiva congiuntamente i quattro professionisti dell’incarico di redigere un nuovo progetto ed era stato sottoscritto un disciplinare di incarico di progettazione e direzione lavori per la redazione dell’arredo urbano con illuminazione artistica del centro storico con previsione del compenso, ex legge 2 marzo 1949 e successive modifiche, da corrispondere entro 180 giorni dall’approvazione del progetto. Il progetto era stato realizzato e adeguato ai rilievi mossi dal C.T.A.R. ma l’Amministrazione comunale era rimasta inerte e non aveva corrisposto il compenso richiesto sulla base di parcella liquidata dal Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Catania sul presupposto della mancata approvazione. Peraltro, successivamente, il Comune aveva utilizzato le scelte progettuali degli istanti nell’intervento di rifacimento per stralci della rete di illuminazione. Gli attori hanno chiesto pertanto in via subordinata la condanna del Comune all’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c..
2. Si è costituito il Comune di Bronte e ha eccepito la nullità della delibera perché adottata, in contrasto con la previsione di cui all’art. 23 della legge n. 144/1989, senza alcuna previsione di spesa. Ha contestato la sussistenza di un valido rapporto contrattuale perché il disciplinare di incarico non era stato sottoscritto dal Sindaco di Bronte. Ha contestato inoltre la sussistenza dei presupposti per l’azione di arricchimento senza causa.
3. Il Tribunale di Catania ha respinto la domanda recependo la posizione difensiva dell’amministrazione comunale.
4. Hanno proposto appello i professionisti rilevando che la lettera del Sindaco esprimeva la volontà del conferimento dell’incarico ed era stata ratificata dalla successiva delibera della giunta. In ogni caso hanno rilevato che il Tribunale avrebbe dovuto acquisire presso il Comune gli elaborati progettuali e disporre un accertamento peritale da cui sarebbe emersa l’utilizzazione delle scelte progettuali degli appellanti nei successivi interventi a stralcio operati dal Comune sulla propria rete di illuminazione pubblica.
5. La Corte di appello ha respinto il gravame rilevando che la mancata sottoscrizione da parte del Sindaco del disciplinare di incarico escludeva l’esistenza di un valido contratto fra il Comune e i professionisti. La Corte ha anche escluso l’utilizzabilità della lettera del Sindaco del 20 febbraio 1991 perché priva dell’indicazione degli elementi costitutivi del contratto (determinazione del compenso o delle modalità di determinazione, tempi di consegna dei progetti, modalità di pagamento) e insuscettibile di essere considerata una valida proposta contrattuale. La Corte ha ribadito che la domanda ex art. 2041 c.c. non era provata perché i progettisti si erano astenuti dal produrre in giudizio gli elaborati peritali e non avevano indicato quali scelte progettuali fossero state utilizzate successivamente dal Comune. Su tali presupposti era del tutto inaccoglibile la richiesta di espletamento di una consulenza tecnica di carattere prettamente esplorativo.
6. Ricorre per cassazione A..A. che si affida a tre motivi di impugnazione con i quali deduce: a) carenza e contraddittorietà della motivazione e violazione degli artt. 1321, 1325, 1326, 1350, 1362, 1444 del codice civile; b) carenza e contraddittorietà della motivazione e violazione degli artt. 2041 e 2733 del codice civile e degli artt. 183, terzo comma, 184, 212, 228, 244 del codice di procedura civile; c) nullità derivata della sentenza per omessa motivazione dell’ordinanza istruttoria ai sensi dell’articolo 360 n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 24 e 111, comma 6, della Costituzione, 159 e 134 c.p.c..
7. Si difende con controricorso il Comune di Bronte.
8. Non svolgono difese P..M. , S.L. e Ca.Or. ;
Ritenuto che:
9. Con il primo motivo di ricorso si sostiene che l’incontro delle volontà negoziali si è verificato ed è stato espresso in forma scritta, anche se in documenti materialmente e cronologicamente distinti ma inscindibilmente collegati. A giudizio del ricorrente ciò è sufficiente a integrare il requisito della forma scritta ad substantiam.
10. Il motivo è infondato. La pretesa del ricorrente di ricostruire un valido iter di formazione della volontà negoziale del Comune (e di accettazione di tale volontà da parte dell’odierno ricorrente) si scontra con la necessità della forma scritta e della chiara e contestuale formazione della volontà contrattuale delle parti.
11. Come ha chiarito da tempo la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. sezione III n. 1702 del 26 gennaio 2006, sezione I n. 1167 del 17 gennaio 2013 e n. 1752 del 26 gennaio 2007) per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una P.A., e pur ove questa agisca ‘iure privatorum’, è richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, la forma scritta ‘ad substantiam’, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost. Il contratto deve, quindi, tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere. Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’ente abbia conferito un incarico a un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto essa non costituisce una proposta contrattuale, ma un atto con efficacia interna all’ente avente natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all’esterno. Del pari, è escluso che un simile contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente; se, infatti, la legge sulla contabilità generale dello Stato, richiamata dalle norme in tema di contratti degli enti locali, consente che, ferma restando la forma scritta, il contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, quando intercorra con ditte commerciali (art. 17 r.d. 18 novembre 1923, n. 2240, richiamato dall’art. 87 r.d. 3 marzo 1934, n. 383), è indubbio che detta ipotesi costituisce una deroga rispetto non soltanto alla regola contenuta nel precedente art.16, ma anche a quella posta dallo stesso art.17 per cui ‘i contratti a trattativa privata, oltre che in forma pubblica amministrativa nel modo indicato al precedente art. 16, possono anche stipularsi per mezzo di scrittura privata firmata dall’offerente e dal funzionario rappresentante l’amministrazione’; da tale previsione derogativa – invocabile soltanto in quei negozi in cui, per esigenze di praticità, la definizione del contenuto dell’accordo è rimessa agli usi commerciali – non può, pertanto, ricavarsi la regola che in qualsiasi contratto della P.A. la forma scritta ‘ad substantiam’ debba ritenersi osservata anche quando il consenso si formi in base a atti scritti successivi atteggiatisi come proposta e accettazione tra assenti.
12. Con motivazione esaustiva e priva di incongruenze logiche la Corte territoriale ha affermato che tali elementi sono mancanti nella fattispecie in quanto al momento della sua ‘proposta’ contrattuale il Sindaco non era stato autorizzato a stipulare alcun contratto e non era quindi in grado di esprimere alcuna volontà negoziale dell’Ente locale. La delibera della giunta del 10 luglio 1991 non richiama la lettera del Sindaco del precedente 22 febbraio e non prevede la copertura finanziaria. La Corte ha quindi correttamente escluso che vi sia stata alcuna volontà dell’organo deliberativo del Comune di conferire validità a un precedente atto invalido del Sindaco.
13. Con il secondo motivo si contesta la decisione dei giudici di appello di respingere l’azione di arricchimento senza causa per avere gli appellanti omesso di depositare gli elaborati progettuali e per non avere specificato quali sarebbero state le scelte progettuali utilizzate dal Comune e dimostrato la patrimonialità dell’arricchimento dell’amministrazione comunale. A giudizio del ricorrente tale motivazione è priva di logica se si considera che è stata negata la richiesta di esibizione di tale documentazione in possesso del Comune ed è stato impedito al ricorrente di provare che il Comune aveva provveduto al rifacimento della rete di illuminazione pubblica senza provvedere ad affidare alcun ulteriore incarico professionale e utilizzando le scelte progettuali elaborate dai professionisti A. , M. , S. e Ca. . Ugualmente censurabile secondo il ricorrente la mancata ammissione di consulenza tecnica perché nei casi in cui la consulenza tecnica sia necessaria all’accertamento e alla descrizione di fatti riscontrabili solo attraverso specifiche cognizioni e esperienze tecniche, il giudice non può, da un lato, respingere, sia pure implicitamente, l’istanza di ammissione della consulenza e dall’altro ritenere non provati i fatti che la consulenza tecnica avrebbe potuto accertare.
14. Il motivo va respinto perché diretto a rimettere in discussione la decisione di merito della controversia sui punti decisivi della valutazione di genericità dell’indicazione dell’utilità pervenuta indebitamente al Comune e della qualificazione dei fatti da provare come oggetto dell’ordinario regime actore non probante reus absolvitur. Per altro verso occorre rilevare che anche in questo giudizio la indicazione della utilitas asseritamente fruita dall’amministrazione locale è rimasta del tutto generica (recepimento delle scelte progettuali dei professionisti) e che il ricorrente non ha fornito alcuna spiegazione della mancata esibizione degli elaborati progettuali. Sotto quest’ultimo profilo non può non rilevarsi il difetto di autosufficienza del ricorso e la correttezza della decisione in merito al rigetto della richiesta di ammissione di c.t.u. perché ritenuta finalizzata all’acquisizione di dati nella disponibilità del ricorrente e quindi costituenti l’oggetto di uno specifico onere probatorio non eludibile con la richiesta di ammissione della c.t.u..
15. Con il terzo motivo di ricorso si censura la decisione dei giudici di appello per aver omesso qualsiasi motivazione a sostegno del rigetto delle istanze istruttorie e della fissazione del rinvio per la precisazione delle conclusioni.
16. Il motivo è inammissibile perché la censura investe un provvedimento ordinatorio il cui contenuto è palesemente assorbito dalla sentenza pronunciata dal giudice dell’appello.
17. Il motivo è inoltre infondato dato che la Corte territoriale ha motivato le ragioni per le quali ha ritenuto ininfluenti o inammissibili i mezzi istruttori richiesti da parte appellante. Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando cosi liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. civ., sezione V, n. 27197 del 16 dicembre 2011).
18. Il ricorso va pertanto rigettato con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 7.200,00 di cui 200,00 per spese.
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