Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 4 luglio 2013, n. 16752
Svolgimento del processo
Con sentenza del 26 agosto 2009 la Corte di appello di Roma, accogliendo il reclamo proposto dalla s.p.a. Nordex Industries in liquidazione, ne revocava il fallimento dichiarato dal Tribunale di Latina, con sentenza del 14 aprile 2009, su istanza di F.S. , S..Z. e A..G. , lavoratrici dipendenti della società. In particolare, la Corte di appello osservava che: 1) i crediti delle lavoratrici, accertati da sentenze del Tribunale di Latina, erano ancora oggetto di contestazione, la cui pretestuosità doveva escludersi considerato che per essi erano intervenute transazioni per importi notevolmente inferiori rispetto a quelli portati dalle sentenze; pertanto, poiché si trattava di crediti contestati, il loro mancato adempimento non poteva considerarsi sintomo di insolvenza; 2) era irrilevante la circostanza che le transazioni de quibus potessero essere intervenute dopo la dichiarazione di fallimento poiché, in ogni caso, vi era stata una parziale soddisfazione del credito con rinunzia al residuo da parte delle creditrici; 3) le modalità di vendita dell’unico immobile della società, in ipotesi a prezzo inferiore al valore di mercato ed a favore della controllante della Nordex, non potevano considerarsi sintomo dello stato di insolvenza se, comunque, la situazione finanziaria e patrimoniale era tale da garantire, trattandosi di società in liquidazione, l’adempimento delle obbligazioni sociali; 4) la non corrispondenza dell’attivo patrimoniale al valore dichiarato in bilancio era stata affermata ma non dimostrata dalla curatela; 5) l’esistenza di ulteriori debiti dedotta dalla curatela non escludeva che l’attivo patrimoniale risultante dal bilancio fosse sufficiente ad estinguere tutte le passività e ciò senza tenere conto che si trattava di crediti contestati giudizialmente.
Il fallimento propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi illustrati anche con memoria. La s.p.a. Nordex Industries in liquidazione resiste con controricorso. Le creditrici istanti F.S. , S..Z. e A..G. non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il fallimento ricorrente deduce la violazione degli artt. 5 l. fall., e 2697 c.c., lamentando, in primo luogo, che la Corte di appello non ha valutato tutti gli atti e fatti che potevano dimostrare la sussistenza dello stato di insolvenza, ma ha adottato un criterio di giudizio selettivo, omettendo di valutare la relazione depositata dal collegio sindacale nel corso dell’istruttoria prefallimentare e la relazione del curatore fallimentare. In secondo luogo, il fallimento lamenta che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto irrilevanti gli inadempimenti di debiti contestati, ancorché recati da titoli provvisoriamente esecutivi, quando il creditore non dimostra la pretestuosità della contestazione, ritenendo illogicamente, sulla base di un indizio non univoco, che nella specie la serietà della contestazione era dimostrata dalla transazione per un importo notevolmente inferiore a quello portato dal titolo giudiziale. In terzo luogo, con lo stesso motivo, la curatela lamenta che la Corte ha ritenuto possibile dare rilievo ad un fatto, cioè la transazione, anche se in ipotesi sopravvenuto alla dichiarazione di fallimento. In quarto luogo, la curatela lamenta che la Corte ha preso in considerazione soltanto la cessione dell’unico bene immobile della Nordex e non anche le cessioni dei beni immateriali e delle merci, tutte comunque caratterizzate da anomalie quanto ai soggetti cessionari, al pagamento del prezzo mediante tratte ed alla girata di tali tratte.
Il motivo è fondato per quanto di ragione.
La Corte di appello, esattamente, dovendosi valutare la sussistenza dello stato di insolvenza di una società in liquidazione, ha ritenuto di dare rilievo all’accertamento della sufficienza o meno dell’attivo a soddisfare in sede di liquidazione tutti i debiti della società, indipendentemente dalla capacità o meno di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni. Infatti, nella giurisprudenza di questa Corte, è consolidato il principio secondo cui per le società in liquidazione “la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 della legge fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali” (e plurimis Cass. 14 ottobre 2009, n. 21834).
Coerentemente la sentenza impugnata ha ritenuto di per sé irrilevanti le vicende relative alle cessioni dei beni mobili ed immobili della società e le critiche svolte sul punto dal collegio sindacale, in presenza di un attivo ritenuto sufficiente a soddisfare tutto il passivo (ciò vale anche per la notazione del collegio sindacale che le operazioni di vendita alla data del 23 marzo 2009 non avevano “generato alcuna movimentazione di denaro”, poiché tale notazione è neutra rispetto all’accertamento della idoneità dell’attivo, composto anche da crediti, a soddisfare integralmente il passivo); la doglianza formulata al riguardo dal fallimento è perciò inammissibile poiché non coglie la ratio della decisione.
La censura del fallimento è, poi, inammissibile per genericità, laddove lamenta la mancata considerazione della relazione ex art. 33 l. fall., del curatore, senza precisare quali elementi decisivi potevano trarsene per affermare la sussistenza dello stato di insolvenza.
Nel resto la censura è fondata. Infatti, anche nella valutazione della sussistenza o meno dello stato di insolvenza di una società in liquidazione deve tenersi conto dei debiti quando il creditore, ancorché ne siano contestate le ragioni è munito di titolo esecutivo. L’attivo patrimoniale, per escludere l’insolvenza, deve essere idoneo ad assicurare, all’esito della liquidazione, anche il soddisfacimento di tali crediti, pur potendosi ammettere che il concreto soddisfacimento del credito contestato sia rinviato, salvo essere assoggettati ad esecuzione forzata, al momento del suo definitivo accertamento.
Nella valutazione della sufficienza dell’attivo, si deve tenere conto della situazione esistente al momento della dichiarazione di fallimento e, pertanto, non è indifferente accertare se le transazioni con le creditrici istanti siano avvenute prima ovvero dopo la dichiarazione di fallimento (senza considerare l’inefficacia di una tale transazione rispetto ai creditori, ai sensi dell’art. 44 l. fall.).
Con il secondo motivo il fallimento ricorrente deduce la violazione dell’art. 18 l. fall., nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello, provvedendo in una fattispecie nella quale era applicabile la riforma della legge fallimentare nella versione dettata dal c.d. decreto correttivo n. 169/2007, aveva disatteso l’effetto pienamente devolutivo del reclamo ed aveva omesso l’analisi di alcuni elementi di decisivo rilievo quali la relazione depositata dal collegio sindacale e la relazione del curatore fallimentare.
Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte nell’esame della prima parte del primo motivo.
Con il terzo motivo il fallimento deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2423 e 2424 c.c. nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello aveva omesso di considerare che: 1) con riferimento all’attivo, dalla relazione del curatore risultava che lo stesso aveva rinvenuto in magazzino soltanto componenti a marchio Nordex che necessitavano di essere assemblati, ed erano perciò di modico valore, e solo una piccolissima percentuale di prodotti finiti; 2) con riferimento al passivo non risultavano le poste passive indicate dal curatore per debiti erariali, debiti verso fornitori e verso dipendenti nonché le istanze tardive di insinuazione al passivo per rilevanti importi; 3) nella valutazione del passivo non si era tenuto conto del valore del capitale sociale.
Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Escluso che nell’ambito del passivo possa considerarsi il capitale sociale, che viene iscritto al passivo dello stato patrimoniale solo per ragioni contabili, ma che non rappresenta certo un debito della società, le censure formulate dal ricorrente evidenziano l’insufficienza della motivazione con cui la Corte di appello ha escluso la sussistenza dello stato di insolvenza senza accertare quale fosse l’ammontare dell’attivo e del passivo al momento della dichiarazione di fallimento.
P.Q.M.
accoglie per quanto di ragione il primo ed il terzo motivo; dichiara inammissibile il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
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