Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 31 marzo 2014, n. 7478
Svolgimento del processo
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Appello di Milano confermava la pronuncia del Tribunale per i minorenni, emessa ex art. 317 bis cod. civ., con la quale si disponeva l’affidamento esclusivo della figlia minore di A.L. e R.R. al padre con mandato al servizio sociale di regolamentare gli incontri della minore con la madre in modo protetto e con indicazione di ampliamento e maggiore autonomia all’esito di percorso terapeutico da parte di quest’ultima.
A sostegno della decisione assunta è stato evidenziato, dopo aver richiesto nuova ed aggiornata relazione dei servizi sugli incontri madre – figlia e disposta nuova consulenza psicologica d’ufficio, che:
– l’indagine tecnica espletata ha concluso per il mantenimento dell’affido di G. al padre con il supporto dei servizi sociali per lo svolgimento degli incontri madre – figlia, indicando, quale alternativa allo spazio neutro, la presenza di un terapeuta esperto al fine di favorire la costruzione di una corretta relazione madre – figlia;
– la relazione dei servizi sociali aggiornata ha rilevato una situazione immutata rispetto alla svalutazione della figura del padre, vissuto come soggetto negativo e pericoloso;
– la condizione materna di disagio psicologico e di chiusura, determinata dalla sofferenza per la modifica del regime di affidamento, non è stata accompagnata dalla disponibilità ad intraprendere un percorso terapeutico, costantemente rifiutato, ma al contrario ha determinato una empase emotiva caratterizzata da elaborazione persecutoria della figura paterna;
– non è stata riscontrata nella madre una capacità di revisione critica del comportamento fortemente ostile ed oppositivo verso l’altro genitore(né la consapevolezza del danno psichico e del rischio evolutivo cui risulta esposta la minore a causa della continua triangolazione vissuta.
– Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione A.L. affidandosi a due motivi. Ha resistito con controricorso R.R. . È stata depositata memoria della parte ricorrente.
Nel primo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 336 ultimo comma cod. civ. e la conseguente nullità del procedimento e del provvedimento emesso per non aver disposto la nomina di un curatore speciale alla minore e di un difensore alla minore stessa.
Il motivo è manifestamente infondato. La disposizione citata, richiedendo la nomina del difensore per “i provvedimenti di cui ai commi precedenti”, deve essere letta unitamente al primo comma dell’art. 336 cod. civ., che si riferisce ai “provvedimenti indicati negli articoli precedenti”, dal momento che i commi secondo e terzo si limitano a fissare regole procedimentali. Ne consegue che il citato ultimo comma dell’art. 336 cod. civ. trova applicazione soltanto per i provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà genitoriale, ove si pone in concreto un profilo di conflitto d’interessi tra genitori e minore, e non in una controversia relativa al regime di affidamento e di visita del minore, figlio di una coppia che ha deciso di cessare la propria comunione di vita. In tale ipotesi, diversamente dal procedimento di adozione, ove è prevista ex lege l’assistenza legale del minore, ritenendosi in re ipsa il conflitto d’interessi con i genitori (ex multis Cass. 16553 del 2010), la partecipazione del minore nel conflitto genitoriale deve esprimersi, ove ne ricorrano le condizioni di legge, se ne ravvisi la corrispondenza agli interessi del minore medesimo e si riscontri un grado di discernimento adeguato, mediante il suo ascolto (S.U. n. 22238 del 2009) oltre che mediante l’esercizio dei poteri istruttori officiosi di cui il giudice può usufruire in virtù della natura e della preminenza dell’interesse da tutelare. Il principio, già codificato nell’art. 155 sexies cod. civ. con riferimento ai provvedimenti relativi all’affidamento dei figli minori, è stato ribadito dall’art. 315 bis cod. civ., introdotto dalla l. n.219 del 2012. La nuova norma ha esteso l’obbligo di ascolto a tutte “le questioni e le procedure” che riguardano il minore, così dando piena attuazione all’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.
Il motivo deve, in conclusione, essere rigettato.
Nel secondo motivo viene formulata censura di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, per non aver rilevato l’assenza dei presupposti per l’affidamento esclusivo al padre, per aver disposto l’allontanamento della minore dalla madre e per il giudizio d’inidoneità genitoriale materna e idoneità paterna che è alla base della decisione.
Il motivo viene sviluppato, in primo luogo, attraverso la integrale riproduzione dei motivi di reclamo proposti alla Corte d’Appello (45 pagine) nei quali viene analiticamente illustrata l’intera vicenda giudiziaria, le valutazione dei Servizi sociali e delle indagini tecniche d’ufficio, oltre che i rilievi dei consulenti di parte. Nell’ultima parte viene evidenziato l’omesso esame dei primi anni di separazione (2006/2008) nei quali la minore era affidata alla madre, e dette positive valutazioni delle operatrici dei servizi sociali, delle insegnanti, dei sanitari in ordine allo svolgimento del ruolo materno; la prospettazione unilaterale soltanto delle valutazioni negative svolte dai consulenti tecnici d’ufficio; la generica deduzione di danni derivati alla minore dal rapporto con la madre e la complessiva contraddittorietà del ragionamento della Corte d’Appello nella parte in cui ha affermato che l’allontanamento ha generato una sofferenza nella ricorrente che, in quanto non elaborata, è nociva alla minore, valutando come patologici tratti del tutto usuali di personalità. Infine viene sottolineata la totale mancanza di rilievo della condanna del R. per lesioni volontarie nei confronti della ricorrente e la riconduzione ad una psicopatologia della ricorrente medesima delle accuse mosse al marito per i comportamenti tenuti con la minore. Anche sotto questo ultimo profilo viene sottolineata la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione della Corte d’Appello per non aver consentito una reale revisione dei giudizi tecnici sulla condizione di salute psichica della ricorrente, privandola sostanzialmente della possibilità di difendersi adeguatamente.
Il motivo prospettato è inammissibile. Deve rilevarsi preliminarmente che la pronuncia impugnata è stata depositata il 13 marzo 2013, nella vigenza della nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., secondo la quale la censura deve avere ad oggetto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La modifica è stata introdotta dall’art. 54 lettera b), comma primo, del d.l. n. 83 del 2012 (convertito nella L. n. 134 del 2012, ed è applicabile a tutte le sentenze (e gli altri provvedimenti per i quali è ammissibile il ricorso per cassazione, come quello in esame) pubblicate dopo il trentesimo giorno dall’entrata in vigore della nuova norma, ovvero il 12/9/2012. Nella specie, non soltanto il motivo propone esclusivamente un’inammissibile valutazione e selezione dei fatti rilevanti per il giudizio, alternativa a quella eseguita dal giudice del reclamo (S.U. 24148 del 2013) ma manca completamente della effettiva individuazione e della indicazione delle ragioni della decisività dei fatti trascurati (quali il primo biennio della separazione), limitandosi, nella sostanza, ad una critica delle valutazioni svolte negli anni dagli ausiliari del giudice, delle relazioni degli operatori pubblici, condivise con idoneo riscontro motivazionale dal giudice del merito.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento nei confronti della parte controricorrente. che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
In caso di diffusione omettere le generalità.
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