Cassazione logo

Suprema CORTE DI CASSAZIONE

sezione I

SENTENZA 3 luglio 2014, n. 15256

Ritenuto in fatto

S.A.S. convenne in giudizio il Ministero dell’Interno, chiedendo il riconoscimento dell’elargizione prevista dall’art. 1 della legge 20 ottobre 1990, n. 302 e degli assegni vitalizi previsti dall’art. 5, secondo comma, della legge 3 agosto 2004, n. 206 e dall’art. 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407 in favore delle vittime del terrorismo.
A sostegno della domanda, espose di essere rimasto vittima di un grave evento lesivo consistito nel ferimento da arma da fuoco a seguito di un episodio terroristico verificatosi in (omissis) , in occasione di un comizio elettorale tenuto dal deputato del Movimento Sociale Italiano Sa.Sa. : nel corso dei disordini scoppiati durante il comizio, erano stati infatti esplosi colpi di arma da fuoco, alcuni dei quali avevano procurato gravi lesioni a tale D.R.L. , deceduto poche ore dopo, e seri danni fisici e psichici anche ad esso attore, progressivamente ridotto in stato d’invalidità permanente totale, con conseguente perdita della capacità lavorativa. Con sentenza del 30 luglio 1979, la Corte d’Assise di Latina aveva accertato che responsabile del ferimento era tale A.P. , il quale era stato condannato per i reati di porto d’arma in pubblica riunione, tentato omicidio nei confronti di esso attore ed omicidio nei confronti del D.R. , mentre la condanna del Sa. per i reati di omicidio e tentato omicidio era stata in seguito annullata dalla Corte di cassazione.
1.1. – Con sentenza del 26 ottobre 2006, il Tribunale di Latina ha rigettato la domanda.
Premesso che le elargizioni richieste dall’attore, non avendo carattere risarci-torio, non presuppongono l’accertamento delle responsabilità individuali, ma solo quello della finalità terroristica dell’azione lesiva, il Tribunale ha precisato che a tal fine occorre un qualificato legame teleologia) tra il fatto dannoso e la sua attrazione nell’ambito dei reati di stampo terroristico. Rilevato inoltre che all’epoca dei fatti non esistevano nel nostro ordinamento specifiche disposizioni sul terrorismo, ha ritenuto ininfluente la circostanza che agl’imputati non fosse stata contestata l’aggravante di cui all’art. 1 della legge 6 febbraio 1980, n. 15, osservando comunque che oggetto della valutazione da compiere era unicamente l’episodio riferito, e non anche i comportamenti tenuti dai responsabili in contesti diversi.
Ciò posto, e dato atto che fino all’entrata in vigore dell’art. 270-sexies cod. pen. non esisteva nel nostro ordinamento una definizione di terrorismo o atto terroristico, ha rilevato che la stessa non era contenuta neppure nelle convenzioni internazionali adottate in materia dalle Nazioni Unite, osservando tuttavia che una descrizione di condotte sicuramente espressive di un fine terroristico era contenuta nella c.d. Convenzione bombing, adottata il 15 dicembre 1997 e ratificata con legge 14 febbraio 2003, n. 34, e nella cd. Convenzione financing, adottata il 9 dicembre 1999 e ratificata con legge 14 gennaio 2003, n. 7; ha aggiunto che la giurisprudenza nazionale aveva ravvisato la finalità di terrorismo nello scopo di incutere terrore alla collettività attraverso azioni criminose indiscriminate, dirette non già contro singole persone, ma contro quello che le stesse rappresentano, ovvero dirette a turbare la fiducia nell’ordinamento e ad indebolirne la struttura; ha precisato che tale metodo di lotta si caratterizza per il ricorso sistematico ad una violenza eccessiva, spietata, gratuita e dimostrativa di un assoluto disprezzo per i beni tutelati dall’ordinamento e tale da generare il panico nella collettività; ha evidenziato che, secondo la giurisprudenza formatasi in relazione al terrorismo degli anni 70-’80, la finalità in esame si sostanzia nel proposito di far valere, attraverso gli atti di violenza compiuti, istanze politiche destabilizzanti, la cui affermazione deve costituire oggetto immediato e diretto delle intenzioni dell’agente.
Alla stregua di tali risultanze, il Tribunale ha escluso che nel caso di specie potesse ravvisarsi un atto terroristico, osservando che nel comportamento dei responsabili non era individuabile l’intento di ingenerare nella collettività il panico o un diffuso timore al fine di scuoterne la fiducia nell’ordinamento costituito e d’indebolirne la struttura, né quello di far valere istanze politiche destabilizzanti; ha ritenuto invece che si trattasse di un isolato atto di violenza a sfondo politico, fine a sé stesso, un criminoso atto di provocazione nei confronti dell’avversario politico con valenza di maggiore emotività in quanto realizzato in una cittadina dove prevaleva l’opposto orientamento politico.
2. – Avverso la predetta sentenza lo S. propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Il Ministero resiste con controricorso

Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, occorre rilevare l’inammissibilità dell’eccezione sollevata dalla difesa erariale, secondo cui l’oggetto del procedimento speciale disciplinato dagli artt. 11 e 12 della legge n. 206 del 2004, costituito dalla mera liquidazione dei benefici spettanti alle vittime di azioni terroristiche o della criminalità organizzata, presupponendo che sia stata già accertata in sede amministrativa, giurisdizionale o contabile la dipendenza dell’invalidità dalle predette azioni, comporta il difetto di legittimazione dell’attore, ove, come nella specie, la domanda giudiziale non sia stata preceduta da alcuna istanza volta ad ottenere il predetto accertamento. Benché l’Amministrazione non si sia costituita in primo grado, la predetta questione è stata espressamente esaminata dalla sentenza impugnata, la quale ha escluso che la legge n. 206 cit. o la normativa precedente abbiano inteso subordinare la domanda giudiziale ad una condizione di proponibilità o procedibilità della domanda, in quanto tale previsione, introducendo un’eccezione al principio generale dell’ammissibilità del ricorso diretto alla tutela giudiziaria, avrebbe richiesto una norma espressa. La pronuncia specificamente adottata al riguardo esclude che la questione possa essere riproposta in questa sede con il controricorso, essendo tale possibilità limitata alle questioni che non siano state esaminate neppure implicitamente dalla sentenza impugnata, in quanto ritenute assorbite; nessun rilievo assume, a tal fine, la circostanza che l’improponibilità o l’improcedibilità della domanda siano rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, dovendo la relativa statuizione costituire oggetto d’impugnazione attraverso il ricorso incidentale, e ciò anche in considerazione della struttura del giudizio di legittimità, nel quale non trova applicazione la disciplina dettata per l’appello dall’art. 346 cod. proc. civ., con la conseguenza che l’onere dell’impugnazione gravante sull’intimato dev’essere riferito non solo alla soccombenza pratica, ma anche a quella teorica (cfr. Cass., Sez. lav., 8 gennaio 2003, n. 100; 13 aprile 2002, n. 5357; Cass., Sez. II, 30 marzo 2000, n. 3908).

1.1. – È conseguentemente irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n. 206 del 2004, prospettata dalla difesa erariale in riferimento all’art. 24 Cost., per l’eventualità che la norma in esame sia interpretata nel senso di escludere l’assoggettamento della domanda giudiziale alla predetta condizione di procedibilità, in tal modo consentendosi che l’accertamento della dipendenza dell’invalidità da azioni terroristiche o di criminalità organizzata abbia luogo in unico grado di merito, salva la possibilità di proporre ricorso per cassazione per violazione di legge.

2. – Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 11 e 12 della legge n. 206 del 2004, della legge n. 302 del 1990 e della legge n. 407 del 1998, ribadendo che l’azione posta in essere dai responsabili dell’evento lesivo rientra nella definizione di atto terroristico risultante dalla cd. Convenzione financing, avendo avuto un chiaro effetto intimidatorio nei confronti della popolazione di (…) e dell’opinione pubblica locale e nazionale, nonché un intento destabilizzante volto a condizionare la tornata elettorale in una località tradizionalmente caratterizzata da un opposto orientamento politico. Tali caratteristiche non sono state colte dalla sentenza impugnata, la quale, pur rilevando che il Sa. e l’A. si erano recati a (…) armati ed intenzionati a “punire i rossi”, non ha considerato che i colpi di pistola dagli stessi esplosi non erano rivolti specificamente contro le vittime, con le quali non avevano alcun rapporto, ma contro ciò che esse rappresentavano. Nel valutare l’effetto destabilizzante della vicenda, il Tribunale non ha tenuto conto delle forti contrapposizioni politiche dell’epoca, del significato provocatorio del comizio, della percezione dello stesso da parte dei militanti di sinistra come un’iniziativa intimidatoria, della preordinazione dell’azione e del suo forte impatto emotivo; esso ha inoltre trascurato due fatti particolarmente significativi verificatisi negli anni immediatamente successivi, e precisamente la distruzione del monumento eretto a (…) in memoria delle vittime del fascismo e la profanazione della tomba del D.R. .

2.1. – Il motivo non merita accoglimento, pur dovendosi procedere, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo appare invece conforme al diritto.

A fondamento della decisione, il Tribunale ha correttamente richiamato la definizione di terrorismo emergente dall’art. 2 della Convenzione adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1999 e ratificata dallo Stato italiano con legge n. 7 del 2003, con il quale gli Stati aderenti si sono impegnati a perseguire penalmente la provvista o la raccolta di fondi destinati ad essere utilizzati nel compimento a) di atti qualificati come terroristici da uno dei trattati annessi alla medesima Convenzione, b) di ogni altro atto diretto a cagionare la morte o a ferire gravemente un civile o comunque ogni altra persona che non prenda parte ad un conflitto armato, quando lo scopo di tale atto, per la sua natura o il contesto nel quale si compie, sia quello d’intimidire una popolazione o di costringere un governo o un’organizzazione internazionale a fare o astenersi dal fare un qualcosa. La predetta nozione è stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, che, introducendo nel codice penale l’art. 210-sexies, ha fornito per la prima volta un’espressa definizione delle attività connotate da finalità terroristiche, qualificando tali “le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”. L’introduzione di tale definizione, com’è noto, ha avuto luogo in adempimento dell’impegno derivante dalla decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2002/ 475/GAI del 13 giugno 2002, sulla lotta al terrorismo, che, al fine di ravvicinare la definizione dei reati terroristici tra gli Stati membri, ha disposto all’art. 1 che siano considerati tali “gli atti intenzionali […] definiti reati in base al diritto nazionale che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un paese o a un’organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di intimidire gravemente la popolazione, o costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un’organizzazione internazionale”; tali atti, specificamente enumerati dalla decisione, comprendono, tra l’altro, gli attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso e gli attentati gravi all’integrità fisica di una persona.

La modificazione del quadro normativo risultante dal predetto intervento ha suscitato l’attenzione della dottrina soprattutto per i risvolti di ordine internazionale della nuova definizione, il cui richiamo alle convenzioni ed alle altre norme di diritto internazionale ha indotto anche questa Corte a sottolinearne l’apertura a futuri sviluppi collegati alla necessità di armonizzare gli ordinamenti degli Stati che compongono la collettività internazionale, anche in dipendenza dell’evolversi del fenomeno terroristico, ormai operante in una prospettiva transazionale (cfr. Cass. pen., Sez. I, 11 ottobre 2006, n. 1072, Bouyahia). Interrogativi sono stati sollevati anche in ordine alla possibilità di circoscrivere l’ambito applicativo della predetta disposizione agli atti terroristici compiuti in tempo di pace, come previsto dall’undicesimo considerando della decisione quadro, mentre non ha subito sostanziali mutamenti l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale riguardante i connotati essenziali della finalità di terrorismo, tuttora attestata sulla distinzione della relativa nozione da quella di eversione dell’ordine democratico e sulla necessità di un collegamento tra l’atto commesso ed un programma di azione violenta funzionale al conseguimento di obiettivi di ordine politico. In ordine al primo aspetto, è stato costantemente ribadito che mentre la finalità di eversione si identifica nel fine di sovvertire l’ordinamento costituzionale e di travolgere l’assetto pluralistico e democratico dello Stato, disarticolandone le strutture, impedendone il funzionamento o deviandolo dai principi fondamentali, quella di terrorismo si sostanzia nel più ampio proposito d’incutere timore nella collettività con azioni criminose indiscriminate (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 25 settembre 2003, n. 36776, Nerozzi; Cass. pen., Sez. I, 11 luglio 1987, n. 11382, Benacchio); è stato anche precisato che la connotazione tipica degli atti di terrorismo è costituita dalla depersonalizzazione della vittima, colpita dall’azione violenta non già nella propria personale identità, ma nella qualità di rappresentante delle istituzioni, da essa in qualche modo rivestita, oppure proprio in ragione del suo anonimato, in quanto il vero obiettivo della condotta è costituito dal fine di seminare indiscriminata paura nella collettività (cfr. Cass. pen., Sez. V, 4 luglio 2013, n. 46430, Stefani; Cass. pen., Sez. V, 25 luglio 2008, n. 31389; Bouyahia; Cass. pen., Sez. I, 11 ottobre 2006, n. 1072, Bouyahia, cit.). Sotto il secondo profilo, pur escludendosi la necessità della costituzione o dell’utilizzazione di una struttura organizzativa avente carattere di stabilità e permanenza e contrassegnata da una precisa distribuzione dei ruoli, si è ravvisato un tratto distintivo ulteriore del fenomeno terroristico nell’esercizio di una violenza organizzata, ovverosia nell’esistenza di un vincolo associativo, anche rudimentale ma comunque idoneo alla realizzazione dei delitti scopo, non circoscritto a singole azioni, ma esteso ad un sia pur generico programma criminoso che contempli l’uso sistematico della violenza per fini politici (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 8 maggio 2009, n. 25863, Scherillo; Cass. pen., Sez. II, 31 marzo 2009, n. 18581, Frediani).

1.2. – Tali essendo le caratteristiche essenziali del fenomeno in esame, nella configurazione risultante dalla disciplina interna dettata anche in attuazione degl’impegni assunti dallo Stato italiano a livello internazionale, non meritano consenso le critiche mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso la possibilità di ravvisare i connotati propri della condotta terroristica nell’azione violenta di cui egli è rimasto vittima.

Benvero, non può interamente condividersi l’affermazione del Tribunale, secondo cui la predetta azione non rispondeva né alla finalità di ingenerare nella collettività il panico o un timore diffuso al fine di scuoterne la fiducia nell’ordinamento costituito ed indebolirne le strutture, né a quella di far valere istanze politiche destabilizzanti. La sentenza impugnata ha infatti accertato, sulla base di quanto emerso nel giudizio penale, che i disordini scoppiati il (omissis) a (…) nel corso del comizio elettorale tenuto dal Sa. non furono dovuti ad un’imprevista reazione di persone o gruppi appartenenti ad un’avversa parte politica, ma costituirono il risultato di una vera e propria provocazione intenzionalmente posta in essere da un gruppo di attivisti di destra guidato dal predetto deputato, il quale si recò in quella cittadina preparato ad uno scontro armato ed animato dalla specifica intenzione di mettere in atto una spedizione punitiva nei confronti degli attivisti locali di sinistra. Non può quindi escludersi nella condotta del Sa. e dei suoi sostenitori l’intenzione di diffondere il panico nell’ambito della comunità territoriale, al fine di condizionarne l’orientamento politico o quanto meno il voto in vista dell’imminente consultazione elettorale, in tal modo producendo un effetto oggettivamente destabilizzante nello svolgimento dell’attività politica della cittadina. Nessun rilievo può riconoscersi alla circostanza che, a causa della ristrettezza dell’ambito territoriale interessato, non risultasse messo in pericolo l’ordinamento costituzionale né impedito il funzionamento delle istituzioni democratiche o minacciato l’assetto politico-istituzionale, dal momento che, come si è detto, tale finalità non costituisce un connotato specifico dell’attività terroristica, ma di quella eversiva, la quale si caratterizza a sua volta per il fatto di essere astrattamente realizzabile anche con metodi che non prevedano lo spargimento del terrore tra la popolazione. Per converso, va posto in risalto il valore emblematico che il Sa. ed i suoi seguaci attribuivano all’obiettivo prescelto la loro azione, essendosi realizzato, attraverso l’identificazione dell’avversario politico nell’intera cittadinanza di (…), proprio quel fenomeno di spersonalizzazione delle vittime in cui viene ravvisato uno dei tratti tipici dell’attività terroristica.

L’elemento che appare invece assente, nella vicenda in esame, è la riconducibilità dell’episodio di violenza ad un programma criminoso che prevedesse il ricorso sistematico all’uso della forza, non risultando dalla sentenza impugnata che la spedizione punitiva rispondesse ad un preciso progetto di azione volto al conseguimento di finalità che trascendevano la vicenda in questione; il Tribunale ha anzi riconosciuto espressamente il carattere episodico della vicenda, escludendo che il gruppo di attivisti di destra avesse in mente un disegno politico volto a seminare il panico tra la popolazione per uno scopo ulteriore e sottinteso, comprensibile agli avversari politici ed alle istituzioni, diverso dalla delittuosa aggressione armata. Ciò non significa, ovviamente, che coloro che posero in essere tale aggressione non fossero persone per lo più aduse alla violenza e pronte a servirsene a scopo di sopraffazione o d’intimidazione degli avversari politici, deponendo anzi in tal senso proprio l’intento provocatorio della spedizione, l’individuazione delle modalità di azione e la scelta dei mezzi a tal fine adoperati. Non è stato tuttavia accertato, e per la verità neppure dedotto, che il ricorso alla violenza come mezzo per colpire in maniera indiscriminata e casuale un numero indeterminato di persone costituisse espressione delle specifiche finalità perseguite dal gruppo organizzato comandato dal Sa. in vista di obiettivi trascendenti il singolo episodio: né tali finalità possono essere desunte dal collegamento tra la vicenda in esame e gli atti di vilipendio, anch’essi contraddistinti da uno spiccato valore simbolico, commessi nella stessa località in danno del monumento alle vittime del fascismo e della tomba del D.R. , non essendo stato accertato che questi fatti, verificatisi a notevole distanza di tempo, fossero ascrivibili al medesimo gruppo resosi responsabile della spedizione armata, o fossero comunque alla stessa ricollegabili. Nonostante gli effetti prodotti, la condotta in questione non è pertanto annoverabile tra gli atti di terrorismo contemplati dalla disciplina interna e da quella internazionale richiamata, con la conseguenza che in favore delle vittime non possono trovare applicazione neppure i benefici introdotti dalle normative susseguitesi a partire dalla legge n. 302 del 1990.

3. – Il ricorso dev’essere pertanto rigettato, ma la novità della questione trattata giustifica la dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *