Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 28 marzo 2014, n. 7402

Svolgimento del processo

1. Con sentenza 31 agosto 2005, la Corte d’Appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Provincia di Benevento, in contraddittorio con i signori R.C. e M.R. , contro la sentenza del Tribunale di Benevento, pronunciata tra le stesse parti in data 12 aprile 2003, e inefficace l’appello incidentale proposto dagli appellati.
Il tribunale aveva accertato l’illegittimità dell’occupazione di un terreno di proprietà degli attori R. e M. , e aveva condannato l’ente territoriale al risarcimento dei danni (Euro 1.549,37) con gli accessori. La corte ha rilevato che la procura alla lite era stata rilasciata, nell’atto di appello, dall’ente Provincia di Benevento “in persona del suo legale rappresentante p.t.”, “in virtù di determinazione dirigenziale n. 255/1 del 13 maggio 2003, a firma del dirigente del settore legale dell’ente, avv. C.V. , e giusta procura a margine del presente atto”. La procura speciale, apposta a margine dell’atto di appello, era stata conferita al difensore dallo stesso avv. C. , “quale dirigente dell’Avvocatura provinciale”.
2. Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 4 agosto 2006, ricorre la Provincia di Benevento per tre motivi.
Resistono R.C. e M.R. con controricorso e ricorso incidentale condizionato e con memoria.

Motivi della decisione

3. I ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..
4. Con il ricorso principale si censura l’affermazione della corte territoriale, che la procura per la proposizione dell’appello non fosse stata rilasciata da soggetto munito di rappresentanza dell’ente, tal essendo per legge il presidente della provincia, non risultando che tale potere fosse stato conferito dallo statuto al dirigente dell’ufficio legale.
5. Con il primo motivo si denuncia la violazione del giudicato che, sul punto della rappresentanza legale dell’ente, si sarebbe formato nel giudizio di primo grado, in cui era stata tacitamente ritenuta valida la procura rilasciata dal dirigente dell’ufficio legale.
6. Il motivo è infondato. La violazione del giudicato denunciata con il primo motivo è inesistente. La legittimità della partecipazione dell’ente al giudizio di primo grado non era in discussione nel giudizio di appello e non è stata oggetto di alcuna pronuncia della corte territoriale. Questa, investita del gravame, doveva procedere d’ufficio alla verifica dell’ammissibilità dell’atto d’appello, specificamente sotto il profilo della legittimazione processuale, e tale doverosa indagine non interferiva con la diversa questione della validità o efficacia della procura alle liti in forza della quale lo stesso ente era rappresentato nel giudizio di primo grado. Diversamente da quanto mostra di ritenere l’amministrazione ricorrente, infatti, non passano in cosa giudicata i principi di diritto astrattamente considerati, seppure un tale principio di diritto fosse stato tacitamente supposto dal tribunale omettendo di rilevare l’irregolarità nella costituzione dell’ente in primo grado.
7. Con il secondo motivo – che inammissibilmente cumula la denuncia di un error in iudicando con quella di un error in procedendo, e che può essere esaminato solo nei limiti nei quali sia identificabile una censu-ra precisa – si denuncia la violazione del preteso diritto vivente secondo cui, quando una persona giuridica sta in giudizio mediante un organo o un soggetto cui astrattamente è riconoscibile anche dallo statuto un potere di rappresentanza, deve escludersi la necessità dell’allegazione della fonte o la giustificazione anche probatoria del potere di rappresentanza, ex artt. 75 e 112 c.p.c., 6, 50 e 107 d.lgs. n. 267/2000, 16 e 27 d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 2967 c.c..
4. Il motivo, di là dalla sua difettosa formulazione, è infondato nel suo nucleo centrale. Esso muove dalla supposizione che, in giudizio, la provincia potrebbe essere legalmente rappresentato da un dirigente anche in mancanza di una specifica previsione dello statuto, e di un adeguamento dello statuto medesimo alla previsione dell’art. 107, comma quinto del t.u.e.l., che stabilisce la competenza dei dirigenti al compimento di atti di gestione e all’emissione di atti o provvedimenti amministrativi (nel seguito del ricorso, a proposito del terzo motivo, l’ente esclude esplicitamente che un tale adeguamento vi sia stato), salvo quanto previsto – per quel che qui interessa dall’art. 50, comma 3 dello steso testo unico.
5. Secondo l’insegnamento delle sezioni unite di questa corte riguardo ai comuni (Cass. Sez. un. 16 giugno 2005 n. 12868; conformi tutte le successive, tra le quali, di recente e con riferimento al Comune di Benevento, v. Cass. 22 marzo 2012 n. 4556), ma che deve trovare applicazione anche riguardo alle province per l’identità delle norme applicabili, insegnamento che il collegio condivide e al quale nel ricorso (che lo ignora) non sono mosse critiche, nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto – ed anche il regolamento, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare – può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero a esponenti apicali della struttura burocratico – amministrativa dell’ente, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, resta ferma l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale dell’ente medesimo prevista dalla legge, ai sensi dell’art. 50 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Nella sentenza citata si osserva poi – e ciò rileva in relazione ai richiami dell’ente alla legge n. 265 del 2001;
– che l’art. 27 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, contenente norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, prevede che le amministrazioni non statali, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguino ai principi dell’art. 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità; e che tra i principi richiamati in tale disposizione è ricompreso quello di cui all’art. 16, il quale, dando continuità a disposizioni già contenute nel d.lgs. n. 29 del 1993, nel disciplinare le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali, alla lett. f) del primo comma attribuisce agli stessi il potere di promuovere e resistere alle liti, nonché quello di conciliare e di transigere – così attribuendo a detti dirigenti la legittimazione processuale attiva e passiva nelle controversie riguardanti il settore dell’amministrazione cui sono preposti – e che tale disposizione, ai sensi dell’art. 13 dello stesso decr. legisl., si applica direttamente soltanto per i dirigenti di uffici dirigenziali generali delle amministrazioni statali, anche a ordinamento autonomo: ne deriva che con il richiamato art. 27 il legislatore ha inteso affidare all’autonomia degli enti locali la materia in ragione degli elementi di differenziazione di detti enti rispetto all’amministrazione statale.
6. Nel caso in esame, l’ente non indica la norma statutaria – né quella regolamentare autorizzata dallo statuto – che attribuirebbe al dirigente, che rilasciò la procura, la rappresentanza legale esterna della provincia. La mera affermazione contenuta nel ricorso, che il dirigente “astrattamente ben può essere abilitato dallo statuto o da regolamento alla rappresentanza legale giudiziale”, in sé condivisibile (quanto al regolamento, con il limite sopra indicato), non giustifica la deduzione o la presunzione dell’esistenza in punto di fatto della necessaria previsione statutaria ed eventualmente regolamentare, e comportava, per l’ente, l’onere di indicare la disposizione statutaria (ed eventualmente anche quella regolamentare) richiesta dalle norme di legge invocate. Ora, l’articolo 44 dallo Statuto della Provincia di Benevento, che demanda ai regolamenti l’attribuzione ai dirigenti “di responsabilità gestionali connesse alla realizzazione degli obiettivi e degli indirizzi di politica organizzativa deliberati dagli organi politico amministrativi”, non contiene alcun espresso rinvio, in materia di rappresentanza esterna dei dirigenti, alla normativa regolamentare. Né un qualsiasi accenno alla rappresentanza giudiziale dell’ente si rinviene nel richiamato art. 49 dello stesso statuto, dove si fa riferimento agli obiettivi determinati dagli organi politici dell’ente, al buon andamento degli uffici, all’economicità, efficacia, efficienza della gestione amministrativa, agli atti di gestione del personale, e all’irrogazione delle sanzioni per le contravvenzioni ai regolamenti provinciali. Del resto, e per quel che può valere in assenza di un espresso rinvio statutario, neppure l’ente indica il regolamento provinciale che al supposto e non specificato rinvio avrebbe dato attuazione, limitandosi ad affermare genericamente che un non meglio precisato regolamento “dell’ordinamento e degli uffici” avrebbe affidato la responsabilità “anche negoziale e processuale verso l’esterno” per tutti gli atti del contenzioso al dirigente del settore legale dell’avvocatura provinciale.
A queste carenze del ricorso non supplisce poi il richiamo al diritto vivente, che nella materia in esame s’identifica con la già citata pronuncia delle Sezioni unite di questa corte.
7. Con il terzo motivo si denuncia ancora una volta cumulativamente un error in iudicando e un error in procedendo “in relazione all’art. 360 n. 3, 4, 5 c.p.c.”; e anzi alla violazione degli artt. 182 c.p.c. (norma processuale), e degli artt. 2727 c.c., 107 TUEL e 16 e 27 d.lgs. n. 165 del 2001 (norme di diritto sostanziale) si aggiunge un “insufficiente e omesso pronunciamento su un punto decisivo”.
Il motivo è formulato dunque in patente e inammissibile violazione della prescrizione della formulazione di specifici motivi di ricorso per cassazione, riconducibili separatamente alle singole ipotesi previste dall’art. 360 comma primo c.p.c.. Dalla confusa esposizione sembra ricavarsi la tesi che il giudice dovrebbe condurre d’ufficio la sua verifica, circa la regolare costituzione delle parti, esclusivamente sulla base degli atti processuali acquisiti al processo, senza poter chiedere chiarimenti e allegazioni documentali (tesi manifestamente incompatibile con il dettato dell’art. 182 c.p.c., nel testo sia anteriore sia posteriore alla riforma del 2006 e non avallata dalla sentenza 14 marzo sulla 2006 n. 5515 di questa corte, richiamata nel ricorso), e al tempo stesso che anche tale indagine sarebbe preclusa da una presunzione di regolarità della costituzione nel caso in cui non vi sia stata contestazione dell’altra parte del processo, come nella specie; o, quanto meno, che in tal caso non sarebbe consentito l’esercizio del potere di cui all’art. 182 c.p.c.. Il motivo prosegue sviluppando argomenti eterogenei, che non consentono l’individuazione sicura di una censura riconducibile a una delle ipotesi contemplate nell’art. 360 comma primo c.p.c., e, per la parte in cui non sia assorbito dal rigetto dei motivi precedenti, è inammissibile.
8. Il rigetto del ricorso principale assorbe l’esame del ricorso incidentale. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente principale, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna la Provincia di Benevento al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli oneri accessori come per legge.

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