Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 28 maggio 2014, n. 11905

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente
Dott. DI AMATO Sergio – Consigliere
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere
Dott. BENINI Stefano – rel. Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7538/2008 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L. (c.f. (OMISSIS)), in proprio e nella qualita’ di capogruppo mandatario della Associazione Temporanea di Imprese con la (OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS) DI (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALE (OMISSIS) (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
_- controricorrente –
avverso la sentenza n. 2529/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/03/2014 dal Consigliere Dott. STEFANO BENINI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con atto di citazione notificato il 18.1.2002, la (OMISSIS) s.r.l., anche nell’interesse dell’Associazione temporanea di Imprese (OMISSIS) s.r.l. – (OMISSIS) s.r.l., conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano l’Azienda ospedaliera (OMISSIS) e oftalmico chiedendo condannarsi parte convenuta al pagamento della somma di euro 1.478.179,21, quale corrispettivo per l’esecuzione di appalto di servizi di pulizia, come da contratti stipulati il 27.12.1996 ed il 28.7.1999, oltre interessi, e di euro 643.402,73, a titolo di risarcimento del danno per l’inesatto adempimento.Si costituiva in giudizio l’Azienda ospedaliera (OMISSIS), chiedendo il rigetto della domanda e l’accertamento del grave inadempimento delle attrici, con conseguente compensazione degli importi rispettivamente dovuti.
2. Avverso la sentenza di primo grado, depositata nel 2004, che dato atto del pagamento del capitale in corso di causa, condannava l’Azienda ospedaliera (OMISSIS) al pagamento degli interessi legali su varie fatture scadute, a decorrere dalle periodiche costituzioni in mora, e rigettava la riconvenzionale della convenuta, proponeva appello la (OMISSIS) s.r.l., anche in qualita’ di capogruppo mandataria della ATI con la (OMISSIS) s.r.l..
3. Con sentenza depositata il 25.9.2007, la Corte d’appello di Milano rigettava il gravame, osservando che il termine di gg. 90 per il pagamento delle fatture non era produttivo di interessi corrispettivi, non trattandosi di obbligazioni da adempiere al domicilio del creditore, per essere debiti della pubblica amministrazione, da adempiere presso gli uffici di tesoreria, sicche’ gli interessi moratori potevano decorrere solo dalla formale costituzione in mora. Non era dovuta la rivalutazione degli importi, per non aver dato il creditore prova del maggior danno.
4. Ricorre per cassazione la (OMISSIS) s.r.l., anche in qualita’ di capogruppo mandataria della ATI con la (OMISSIS) s.r.l. affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria, al cui accoglimento si oppone con controricorso l’Azienda ospedaliera (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, la (OMISSIS) s.r.l., anche in qualita’ di capogruppo mandataria della ATI con la (OMISSIS) s.r.l., denunciando omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione, violazione degli articoli 1182 e 1219 c.c., violazione del Decreto Legislativo 17 marzo 1995, n. 157, articolo 3, in relazione agli articoli 1182 e 1219 c.c., violazione del principio sancito dall’articolo 3 Cost. e dall’articolo 12 preleggi, censura la sentenza impugnata per aver considerato applicabili all’azienda debitrice le norme sulla contabilita’ di Stato, qualificando le obbligazioni querables, mentre l’azienda era contrattualmente tenuta al pagamento delle fatture entro gg. 90, senza necessita’ di costituzione in mora, e vi provvedeva attraverso bonifici bancari.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione, violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c., violazione della direttiva 2000/35/CE e del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, articoli 4 e 5, censura la sentenza impugnata per non aver riconosciuto il maggior danno, ritenendolo non provato, senza applicare la presunzione derivante dalla propria appartenenza alla categoria degli imprenditori commerciali, costretti ad avvalersi del fido bancario, e rigettato la domanda di rivalutazione perche’ proposta solo in appello.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’articolo 91 c.p.c., si duole della condanna alle spese, per di piu’ in misura esosa, a favore di amministrazione inadempiente.
1. Il primo motivo e’ infondato.
Per i debiti pecuniari delle pubbliche amministrazioni, la liquidita’ ed esigibilita’, dalle quali scaturirebbe l’automatica produzione di interessi, a norma dell’articolo 1282 c.c., comma 1, sono escluse dalle circostanze e modalita’ di accertamento dell’obbligazione, che in ragione della natura pubblicistica del debitore, sono specificamente disciplinate da atti aventi efficacia regolamentare (Regio Decreto 23 maggio 1924, n. 827, articoli 269 e 270), che traggono la loro efficacia vincolante esterna da norme di rango legislativo primario (Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440). Ne consegue che l’accertamento dei requisiti di liquidita’ ed esigibilita’ non puo’ prescindere dal presupposto formale dell’emissione del titolo di spesa (Cass. 24.1.1987, n. 690; 10.1.1990, n. 24; 4.9.2004, n. 17909; 6.6.2006, n. 13252).
Gli interessi sulla somma giudizialmente liquidata, mancando l’esigibilita’ del credito possono configurarsi allora solo sotto la specie di interessi moratori (che prescindono dalla liquidita’), per i quali le norme sulla contabilita’ pubblica stabiliscono, in deroga al principio di cui all’articolo 1182 c.c., comma 3.
L’amministrazione e’ tenuta a compiere diligentemente quanto e’ da parte sua necessario per rendere i credito liquido ed esigibile. Pertanto, se essa ritarda ingiustificatamente la procedura di liquidazione e pagamento oltre il tempo ragionevolmente necessario, il creditore puo’ costituirla in mora.
E’ dunque necessaria una formale costituzione in mora, non ricorrendo alcuna ipotesi di mora ex re (riguardo all’articolo 1219 c.c., comma 2: non si tratta di fatto illecito; non e’ stato dedotto il rifiuto dell’amministrazione a corrispondere l’indennizzo; non si tratta di obbligazioni portabili, giacche’ il pagamento avviene presso gli uffici di tesoreria).
Gli interessi moratori, e l’eventuale maggior danno sulla somma liquidata, sono dovuti dall’atto di costituzione in mora, fatta salva la prova, il cui onere grava sull’amministrazione, che il ritardo o l’inesattezza della prestazione siano dipesi da causa ad essa non imputabile, ai sensi dell’articolo 1218 c.c. (Cass. 4.3.2011, n. 5212; 22.10.2013, n. 23895). Conseguentemente e’ dal giorno della mora che sono dovuti gli interessi moratori ed il maggior danno (Cass. 15.5.2008, n. 12281), e in mancanza di intimazioni precedenti, essa coincide con la domanda giudiziale.
Non vale osservare in contrario che per l’azienda ospedaliera nessuna norma deroga alla disciplina comune delle obbligazioni pecuniarie e che nella specie la debitrice era contrattualmente tenuta al pagamento delle fatture entro gg. 90, senza necessita’ di costituzione in mora, attraverso bonifici bancari.
Agli obblighi contrattuali, che fanno capo ad un ente pubblico, si sovrappone la disciplina speciale, predisposta a tutela dell’interesse pubblico ai fini dell’ordinata e oculata erogazione delle spesa pubblica. Chiunque entri in rapporto con l’ente pubblico, e’ soggetto per questo alle regole della contabilita’ pubblica. La natura querable dell’obbligazione rimane ferma anche qualora la commutazione del mandato di pagamento in vaglia cambiario o in assegno circolare non trasferibile costituisca oggetto di previsione contrattuale (Cass. 25.7.2001, n. 10135); anche quando la riscossione dei crediti vantati, verso le aziende sanitarie in particolare, avviene mediante accreditamento su conto corrente, ovvero mandato di pagamento commutato in vaglia cambiario o assegno circolare, per accordi intercorsi tra l’ufficio pagatore e il creditore, luogo di adempimento della obbligazione in questione resta pur sempre la sede dell’ufficio di tesoreria dell’azienda (Cass. 20.12.1999, n. 14311), pur se le modalita’ di accredito siano previste dalla legge regionale dettata per facilitare il creditore (Cass. 25.10.2013, n. 24157).
Alle norme di contabilita’ sono soggette anche le aziende ospedaliere.
I principi di contabilita’ pubblica erano furono ritenuti applicabili ai pagamenti da effettuarsi dagli enti ospedalieri disciolti dalla Legge 23 dicembre 1978, n. 833, data la sostanziale corrispondenza alle norme dettate per gli enti territoriali dall’allora vigente Testo unico della legge comunale e provinciale (Regio Decreto 3 marzo 1934, n. 383, articoli 234 e 235), e, per le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, dalla Legge 17 luglio 1890, n. 6972 (articolo 22) nonche’ dal relativo regolamento di esecuzione, emanato con Regio Decreto 5 febbraio 1891, n. 99 (Cass. 20.5.2005, n. 10691).
In tema di contabilita’ delle unita’ sanitarie locali, la Legge 23 dicembre 1978, n. 833, articolo 50, comma 1, istitutiva del servizio sanitario nazionale, ha disposto che le regioni provvedono con legge a disciplinare l’utilizzazione e la contabilita’ delle unita’ sanitarie locali (USL), conformando la disciplina amministrativo-contabile delle gestioni ai principi della contabilita’ pubblica previsti dalla legislazione vigente; inoltre, il Decreto Legge 30 dicembre 1979, n. 663, modificato dalla Legge di Conversione 29 febbraio 1980, n. 33 (nel testo novellato dalla Legge 30 marzo 1981, n. 119, articolo 35), ha stabilito che le USL affidino il proprio servizio di tesoreria ad una delle aziende di credito di cui al R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, articolo 5 e successive modificazioni ed integrazioni e che, al fine di assicurare una disciplina uniforme del servizio stesso, siano approvati con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro della Sanita’, i criteri generali per la predisposizione di convenzioni di tesoreria, da stipulare tra le USL e le aziende di credito. In osservanza di tali prescrizioni, le varie leggi regionali emesse per disciplinare la contabilita’ delle USL prevedono che il pagamento venga effettuato tramite mandati tratti sulle tesorerie, con la conseguenza che le obbligazioni delle USL sono da definire querables. La successiva evoluzione normativa non ha modificato la natura di tali obbligazioni, in quanto le USL, dapprima escluse dal sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici (Decreto Legge 24 maggio 1984, n. 153, articolo 2, comma 2), sono state poi inserite in tale sistema, secondo quanto disposto dal Decreto Legge 25 novembre 1989, n. 382, articolo 5, comma 1, conv. in Legge 25 gennaio 1990, n. 8, avendo questa innovazione determinato l’insorgere a carico delle aziende di credito, cui ciascuna unita’ ha affidato il proprio servizio di tesoreria, dell’obbligo di effettuare le operazioni di incasso e di pagamento a valere sulle contabilita’ speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, cosi’ incidendo sui rapporti tra le tesorerie delle singole unita’ e la tesoreria provinciale dello Stato, ma non anche sulla regola generale per la quale il pagamento deve avvenire per il tramite del tesoriere delegato dall’ente debitore (Cass. 12.4.2007, n. 8823; 3.12.2009, n. 25402).
Nell’ambito della riorganizzazione delle strutture cui fa capo il servizio sanitario, le aziende ospedaliere sono state equiparate alle aziende sanitarie locali (Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, articolo 4), e ne hanno da allora seguito la regolamentazione, particolarmente riguardo alla disciplina regionale della gestione economico finanziaria e patrimoniale dei predetti enti (Cass. 25.10.2013, n. 24157), ferma la perdurante natura di persone giuridiche pubbliche delle stesse.
In sostanza, in un contesto che continua a essere presidiato, oltre che dalla personalita’ pubblica degli enti in questione (Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, articolo 3, comma 1-bis), altresi’ dal principio per cui le aziende affidano il proprio servizio di tesoreria ad una delle aziende di credito di cui al R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, articolo 5, non si vede come possa ragionevolmente negarsi l’attualita’ della vigenza delle norme in base alle quali il pagamento dei debiti delle aziende sanitarie deve essere effettuato tramite mandati tratti sulle tesorerie, con conseguente natura querable delle relative obbligazioni e necessita’ della intimazione scritta perche’ maturino gli interessi di mora. Nessuna norma autorizza per vero ad affermare la natura portable del credito e la conseguente applicazione del principio dies interpellat pro homine, sancito dall’articolo 1219 c.c., comma 2, n. 3 (Cass. 6.8.2010, n. 18377).
Su tale assetto normativo, infine, nessuna incidenza ha il Decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962, n. 1063, articolo 35, come integrato dalla Legge 10 dicembre 1981, n. 741, ne’ le successive disposizioni richiamate dalla ricorrente, riguardanti la diversa materia degli appalti di opere pubbliche (Cass. 12.4.2007, n. 8823, cit.).
Altra questione e’ la disciplina attuale delle obbligazioni degli enti pubblici, quale approntata da piu’ recenti disposizioni legislative, di recepimento delle direttive comunitarie, atte ad equiparare la posizione debitoria delle amministrazioni a quella dei privati, con la previsione della mora automatica (Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, articolo 3; Decreto Legge 8 aprile 2013, n. 35, conv. in Legge 6 giugno 2013, n. 64): la normativa sopraggiunta concerne i contratti stipulati successivamente alla sua entrata in vigore (le fatture di cui si e’ chiesto il pagamento in giudizio, appaiono, secondo la narrativa della sentenza impugnata, anteriori a tali normative), salvo disposizioni per i debiti in precedenza maturati, tuttavia concernenti speciali procedure di ricognizione e liquidazione, che non comportano retroattivamente l’automatica produzione di interessi.
2. Il secondo motivo e’ parimenti infondato.
Si controverte, nella presente causa, di debiti di valuta, siccome connessi all’adempimento di obbligazioni contrattuali. In tale tipo di obbligazioni, la rivalutazione monetaria e’ concedibile in quanto finalizzata a compensare il maggior danno, rispetto agli interessi, costituito dalla svalutazione monetaria. Tale obbligazione accessoria, consequenzialmente, e’ legata al ritardo colpevole, che nella specie, secondo quanto osservato nell’esame del primo motivo, viene constatato in base a periodiche costituzioni in mora, per blocchi di fatture, dalle date accertate con la sentenza di primo grado.
La prova del maggior danno spetta al creditore.
Il giudice di merito ha negato che l’attuale ricorrente avesse dato la prova del maggior danno, in particolare la Corte d’appello ha dedotto non risultare agli atti che la creditrice sia stata costretta a ricorrere al fido bancario. La ricorrente si duole che non si sia tenuto conto della propria qualita’ di imprenditore commerciale, dal che scatterebbe la presunzione del normale reimpiego delle risorse, ove tempestivamente corrisposte, in attivita’ sottratte al fenomeno inflattivo.
Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’articolo 1224 c.c., comma 2, puo’ ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualita’ soggettiva o l’attivita’ svolta, e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato (Cass. 16.7.2008, n. 19499; 1.10.2013, n. 22429). E’ fatta salva la possibilita’ del debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore a quella differenza, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata; mentre il creditore che domandi a titolo di maggior danno una somma superiore a quella differenza e’ tenuto ad offrire la prova del danno effettivamente subito, quand’anche sia un imprenditore, mediante la produzione di idonea e completa documentazione, e cio’ sia che faccia riferimento al tasso dell’interesse corrisposto per il ricorso al credito bancario sia che invochi come parametro l’utilita’ marginale netta dei propri investimenti; in entrambi i casi la prova potra’ dirsi raggiunta per l’imprenditore solo se, in relazione alle dimensioni dell’impresa ed all’entita’ del credito, sia presumibile, nel primo caso, che il ricorso o il maggior ricorso al credito bancario abbia effettivamente costituito conseguenza dell’inadempimento, ovvero che l’adempimento tempestivo si sarebbe risolto nella totale o parziale estinzione del debito contratto verso le banche, e, nel secondo, che la somma sarebbe stata impiegata utilmente nell’impresa.
E’ escluso che tale prova sia stata fornita, come ha dedotto la Corte d’appello, senza che la ricorrente, in ottemperanza all’onere di autosufficienza, abbia potuto smentirne l’assunto indicando le risultanze documentali di supporto alla pretesa. E neppure la medesima ha allegato il superamento del saggio legale nel periodo della mora, nel rendimento dei titoli di Stato.
3. Il terzo motivo e’ parimenti infondato. La regolamentazione delle spese e’ stata effettuata in applicazione del principio della soccombenza. La contestazione sull’entita’ dell’importo e’ generica.
4. Il ricorso va di conseguenza rigettato, con le conseguenze in ordine alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in euro 7.200, di cui euro 7.000 per compensi.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *