Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 19 maggio 2016, n. 10326.

L’accordo raggiunto tra il professionista e il Comune per la progettazione di lavori di urbanizzazione ha un suo valore giuridico e, quindi può considerarsi valido, solo se il finanziamento legato all’esecuzione dei lavori sia approvato. In caso contrario il professionista non può pretendere la parcella per il mancato avveramento di una condizione fondamentale quale per l’appunto quella della concessione del finanziamento

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 19 maggio 2016, n. 10326

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere
Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere
Dott. DI VIRGILIO M. Rosa – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), nello studio dell’avv. (OMISSIS); rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI ALCAMO, Elettivamente domiciliato in (OMISSIS), nello studio dell’avv. (OMISSIS); rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, n. 407, depositata in data 9 marzo 2009;
sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 13 novembre 2015 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;
sentito per il Comune di Alcamo l’avv. (OMISSIS), munito di delega;
Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto Dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

l – Con sentenza depositata in data 11 febbraio 2002 il Tribunale di Trapani rigettava la domanda avanzata in via principale nei confronti del Comune di Alcamo dagli architetti (OMISSIS) ed (OMISSIS) e dall’ing. (OMISSIS), relativa al corrispettivo per l’attivita’ professionale svolta, corrispondente alla parcella di lire 1.062.326.964, per la progettazione degli impianti di illuminazione della citta’, ponendo in evidenza l’inosservanza del termine previsto per il deposito degli elaborati progettuali, che aveva comportato una lievitazione dei costi da 10 a 25 miliardi di lire.
Veniva viceversa accolta la richiesta subordinata degli attori, con condanna dell’ente territoriale al pagamento della somma di Euro 46.632,68, oltre accessori, ritenuta fondata sotto il profilo dell’utilizzazione, nell’esecuzione dell’impianto di illuminazione, di alcuni elaborati progettuali.
1.1 – La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, in primo luogo ha affermato la validita’ di un primo incarico inizialmente conferito ai soli architetti (OMISSIS) e (OMISSIS), osservando che erroneamente il Tribunale aveva escluso che progettazione ad essi affidata esulasse dalle loro competenze professionali; ha poi condiviso il rilievo circa la natura non essenziale del termine pattuito per la consegna degli elaborati.
1.2 – Ha tuttavia escluso – in accoglimento del gravame proposto in via incidentale dal Comune la sussistenza del complessivo credito vantato dai professionisti, rilevando che, poiche’ con specifica clausola il pagamento delle prestazioni era stato espressamente subordinato al finanziamento dell’opera, nella specie non intervenuto, il mancato avveramento della condizione era ostativo all’esigibilita’ del compenso.
E’ stato osservato che, non potendosi dubitare della validita’ di detta clausola, che integra una condizione potestativa mista, non era consentito ricorrere alla “fictio iuris”, posto che la condizione era stata apposta nell’interesse di entrambe le parti; ne’ poteva ritenersi che nel comportamento del Comune potessero ravvisarsi elementi di contrarieta’ ai principi di buona fede, agli effetti previsti dall’articolo 1358 c.c., in quanto gli elaborati relativi al primo progetto erano stati inoltrati per l’approvazione non intervenuta per ragioni non imputabili al Comune, mentre, quanto al secondo progetto, la lievitazione dei costi attribuibile anche al ritardo, imputabile ai professionisti, con il quale l’elaborato era stato redatto, lo rendeva inutilizzabile, cosi’ realizzando una circostanza ostativa all’ottenimento del finanziamento.
1.3 – L’appello proposto in via incidentale dal Comune e’ stato ritenuto fondato, osservandosi, sulla base dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio, che la successiva realizzazione dell’impianto non aveva comportato l’utilizzazione di elementi mutuati dai progetti elaborati. dai professionisti.
1.4 – Per la cassazione di tale decisione gli architetti (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso, affidato a tre motivi, cui il Comune resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo si denuncia l’erronea applicazione degli articoli 1375, 1175, 1358 e 1359 c.c., nonche’ difetto di motivazione: si sostiene formulandosi al riguardo i relativi quesiti di diritto con distinta indicazione del fatto controverso – che la corte territoriale avrebbe omesso di considerare, ai fini della verifica circa l’avveramento fittizio della condizione, la condotta del Comune di Alcamo, che avrebbe omesso “qualunque atto finalizzato all’acquisizione dei finanziamenti” ed avrebbe altresi’ “affidato la progettazione degli impianti di illuminazione delle aree pubbliche di Alcamo al suo Ufficio Tecnico, finanziando questi ultimi progetti anziche’ quelli precedentemente redatti dai liberi professionisti”.
2.1 – Con il secondo mezzo si deduce, con indicazione di validi quesiti di diritto, la violazione dell’articolo 1375 c.c. e articolo 1218 c.c.: la sentenza impugnata, con riferimento alla domanda subordinata di risarcimento del danno, fondata sulla responsabilita’ contrattuale del Comune, avrebbe omesso di verificare se detto ente avesse fatto tutto il possibile per rimuovere gli ostacoli frapposti all’approvazione del progetto, con particolare riferimento all’ingiustificato rifiuto opposto dal Genio Civile per la ragione, considerata illegittima dalla stessa Corte di appello, correlata alla ritenuta incompetenza dei ricorrenti, in quanto architetti, di elaborare i progetti per la realizzazione degli impianti della pubblica illuminazione.
2.1 – Con la terza censura si prospetta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di motivazione, con particolare riferimento all’omessa valutazione della condotta del Comune, ai sensi degli articoli 1375 e 1218 c.c., alla luce delle circostanze inerenti alla nomina dell’ing. (OMISSIS) e all’incarico all’Ufficio tecnico di redigere il progetto, anziche’ dare impulso all’esecuzione del primo elaborato.
3 – Avanti di esaminare i motivi di impugnazione sopra indicati vale bene precisare che il Collegio condivide pienamente i principi affermati di recente dalle Sezioni unite di questa Corte in merito all’inserimento nel contratto d’opera professionale della c.d. clausola di copertura finanziaria – in base alla quale l’ente pubblico territoriale subordina il pagamento del compenso al professionista incaricato della progettazione di un’opera pubblica alla concessione di un finanziamento – nel senso che tale pattuizione non consente di derogare alle procedure di spesa di cui al Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 66, articolo 23, commi 3 e 4, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 1989, n. 144, articolo 1, comma 1, (oggi sostituito dal Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 191), che non possono essere differite al momento dell’erogazione del finanziamento, sicche’, in mancanza, il rapporto obbligatorio non e’ riferibile all’ente ma intercorre, ai fini della controprestazione, tra il privato e l’amministratore o funzionario che abbia assunto l’impegno (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26657).
3.1 – Nella fattispecie in esame, infatti, la normativa teste’ richiamata non assume rilievo sotto il duplice profilo della sua stipulazione in epoca anteriore alla sua emanazione, nonche’ della totale assenza, negli atti posti all’esame di questa Corte, di qualsiasi riferimento alla carenza di una puntuale indicazione della spesa necessaria e della relativa copertura finanziaria, di tal che la clausola, in se’ considerata, corrisponde a un interesse delle parti meritevole di tutela e rende applicabili gli obblighi di buona fede e di correttezza dettati dall’articolo 1358 c.c. (Cfr. Cass., Sez. un., 19 settembre 2005, n. 18450).
4 – Tanto premesso, il ricorso deve essere rigettato, in quanto infondato.
5 – Il primo motivo, che per altro accomuna vizi motivazionali ed errores in iudicando, proponendo tuttavia distinti e idonei quesiti conclusivi, attiene, con esclusivo riferimento al primo incarico, all’aspetto della violazione dell’articolo 1359 c.c., sia con riferimento alla valutazione dell’interesse contrario del Comune all’avveramento della condizione, da desumersi dal comportamento successivo (affidamento dell’incarico al proprio Ufficio tecnico), sia in relazione alla violazione del principio di buona fede per aver omesso qualunque atto finalizzato all’acquisizione dei finanziamenti.
5.1 – Il tema del mancato avveramento della condizione risulta quindi investito da due profili certamente non convergenti, in corrispondenza alla decisione impugnata, che in sostanza, si fonda su due diverse rationes decidendi, la prima fondata sull’inapplicabilita’ dell’articolo 1359 c.c. in presenza di condizione potestativa mista, quale quella ravvisabile nella specie (cfr. Cass., Sez. Un. 18 dicembre 2014, n. 26657, in motiv.; Cass. Sez. un. 19 settembre 2005, n. 18450), la seconda sul corretto operato del Comune, valutato ai sensi dell’articolo 1358 c.c..
5.2 – Quanto al primo aspetto, pur dovendosi richiamare le condivisibili affermazioni della piu’ recente giurisprudenza (Cass., 3 giugno 2010, n. 13469) e di parte della dottrina circa l’applicabilita’ della disposizione contenuta nell’articolo 1359 c.c. anche in presenza di condizione potestativa mista, deve rilevarsi che l’affidamento dell’incarico a terzi da parte del beneficiario dell’opera in tanto rileva ai fini della c.d. fictio iuris in quanto avviene durante la pendenza del termine previsto per l’elaborazione del progetto affidato al professionista (Cass., 2 gennaio 2014, n. 12), mentre la sua collocazione – secondo la stessa prospettazione dei ricorrenti – in un momento indefinito, evidentemente successivo al mancato avveramento della condizione, potrebbe costituire un mero posterius, vale a dire una scelta necessitata dalla constatazione dell’impossibilita’ della realizzazione della condizione stessa, senza rivelare comportamenti contrari a buona fede o la sopravvenuta carenza di interesse al riguardo.
5.3 – Nel caso di specie risulta accertato che il Comune aveva inoltrato gli elaborati al fine di ottenere la dovuta approvazione, che non intervenne a causa dell’affermazione, da parte del Genio Civile, dell’invalidita’ del contratto, per essersi affidato l’incarico della progettazione dell’impianto di illuminazione a degli architetti e non a degli ingegneri.
5.4 – La valutazione, da parte della corte distrettuale, dell’estraneita’ a tale comportamento del Comune di Alcamo, appare congrua, essendosi evidenziato che detto ente “non era rimasto inerte”.
Tale affermazione appare tanto piu’ condivisibile alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la causa imputabile alla parte che avrebbe un interesse contrario all’avveramento della condizione non e’ riscontrabile in un semplice comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalle legge (Cass., 11 aprile 2013, n. 8843; Cass., 27 gennaio 2012, n. 1181, Cass. 20 luglio 2004, n. 13457).
6 – Appare evidente come tale principio contrasti decisamente, rivelandone l’infondatezza, con la tesi sostenuta nel secondo motivo, con il quale, per altro introducendo un tema nuovo, fondato sul richiamo all’articolo 1218 c.c., si afferma che il Comune avrebbe dovuto dimostrare di aver fatto tutto il possibile per rimuovere l’ostacolo da altri frapposto all’esatto adempimento (che per altro postula una valutazione diversa rispetto allo “standard esigibile di buona fede di cui alla citata Cass. n. 18450 del 2005).
7 – La terza censura e’ inammissibile tanto per omessa formulazione del c.d. momento di sintesi conclusivo, omologo del quesito di diritto, richiesto dall’articolo 366 bis c.p.c., nell’interpretazione resane da questa Corte, anche a Sezioni unite, quanto per non aver colto la ratio decidendi della decisione impugnata che, movendo dall’accertata autonomia dei due progetti, ha posto in evidenza l’inadempimento dei progettisti, per aver implicato, anche a causa del ritardo nella preparazione dell’elaborato, una insostenibile lievitazione dei costi dell’opera, da dieci a venticinque miliardi di lire.
8 – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *