Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 19 febbraio 2015, n. 7644
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 28.5.2012 il Gup del Tribunale di Ragusa, all’esito dei giudizio abbreviato, condannava F. S., ritenuta la continuazione, esclusa la circostanza aggravante della premeditazione e riconosciuto il vizio parziale di mente, alla pena di anni dodici e mesi otto di reclusione, oltre alle pene accessorie ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, ritenendolo colpevole dei reati di omicidio in danno di L. G., attinto da due colpi di arma da fuoco (capo A), e della detenzione e porto illegale di una pistola cal. 7,65 (capo B), fatti commessi in Comiso il 14.12.2010.
La Corte di assise di appello di Catania, il 9.7.2013, premesso che lo S. aveva confessato tanto di essere autore dell’omicidio, tanto le modalità dello stesso, in parziale riforma della predetta decisione, riconosceva all’imputato le circostanze attenuanti generiche e rideterminava la pena in anni dodici di reclusione.
2. Ha proposto ricorso per cassazione lo S., a mezzo dei difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio della motivazione in ordine alla congruità della diminuzione della pena relativa a riconoscimento del vizio parziale di mente; lamenta che la sentenza di secondo grado solo apparentemente ha risposto alle censure difensive sul punto ed ha colmato l’assenza di motivazione dei primo grado con un discorso giustificativo del tutto diverso, superando in tal modo il limite del devolutum. Infatti, il giudice di secondo grado ha introdotto un giudizio sul disturbo della personalità in totale contrasto rispetto a quello espresso dal giudice di primo grado.
2.2. La violazione di legge ed il vizio della motivazione vengono dedotte anche in relazione alla dosimetria della pena ed, in specie, alla riduzione della pena a seguito del riconoscimento da parte della Corte di appello delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente afferma che il riferimento alla gravità delle modalità esecutive del fatto e all’intensità del dolo costituisce argomento contraddittorio con i positivi elementi, apprezzati dalla stessa Corte ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti, della incensuratezza e del comportamento processuale finalizzato a risarcire il danno alle parti civili. Inoltre, la valorizzazione dell’elemento psicologico del reato è in contraddizione logica con riconoscimento dei vizio parziale di mente.
2.3. Infine, con l’ultimo motivo il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione in relazione agli aumenti di pena per la continuazione con i reati di porto e detenzione di arma comune la sparo, limitati ad un giudizio generico di congruità.
Considerato in diritto
1. Non è fondato il rilievo del ricorrente con il quale si denuncia il vizio della motivazione in ordine alla riduzione di pena conseguente al riconosciuto vizio parziale di mente che la Corte di appello ha ritenuto congrua, evidenziando la peculiarità del tipo di disturbo di personalità che ha determinato una capacità ridotta di intendere al momento del fatto; i giudici di secondo grado, infatti, hanno sufficientemente argomentato sul punto.
Né la valutazione della peculiarità del disturbo della personalità si pone oltre i limiti del devolutum, appartenendo al giudice di secondo grado il potere di sostituire, integrare e modificare la motivazione del provvedimento impugnato; invero, la sua cognizione, anche se circoscritta, quanto all’estensione, ai punti in contestazione, è piena consentendogli di esprimere compiutamente il proprio convincimento (Sez. 5, n. 2136 del 06/05/1999, Lezzi, rv. 213766).
2. Quanto alla entità della diminuzione di pena conseguente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione della Corte territoriale non è contraddittoria nè illogica.
Ai fini del riconoscimento sono state valorizzate la incensuratezza dell’imputato e le concrete iniziative dallo stesso intraprese, sia pur tardivamente, volte a risarcire almeno parzialmente il danno cagionato alle parti civili costituite, ma la riduzione di pena è stata determinata anche tenendo conto delle modalità esecutive dell’azione e dell’intensità del dolo, nonostante la diminuente del vizio parziale di mente.
Invero, è stato affermato costantemente che il riconoscimento dei vizio parziale di mente è pienamente compatibile con la sussistenza del dolo, poichè l’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, costituiscono nozioni autonome ed operanti su piani diversi, sebbene la prima, quale componente naturalistica della responsabilità, debba essere accertata con priorità rispetto alla seconda. Con la conseguenza che non vi è contrasto logico tra la seminfermità e la sussistenza della prova della coscienza e volontà del fatto, ancorchè diminuite,e la capacità di intendere e di volere sia pure scemata per il vizio parziale di mente non postula un concetto di dolo diverso da quello delineato dall’art. 43 cod. pen.. (Sez. 6, n. 47379 del 13/10/2011, Dall’Oglio, rv. 251183). Deve ritenersi, quindi, che il riconoscimento dei vizio parziale di mente non esclude ex se la valutazione relativa alla maggiore o minore intensità dei dolo, desumibile anche dalle modalità dei fatto, posta a fondamento del riconoscimento o dei diniego delle circostanze attenuanti generiche, ovvero, dei grado di incidenza delle stesse nella comparazione con altre circostanze e nella dosimetria della pena (Sez. 5, n. 19639 del 08/04/2011, Ianiro, rv. 250110; Sez. 3, n. 19248 dei 07/04/2005, Tiani, rv. 231849).
3. Sono infondate, altresì, le censure relative agli aumenti di pena operati per la continuazione, quantificati in mesi otto di reclusione per il delitto di porto dell’arma e mesi quattro di reclusione per il delitto di detenzione illegale della stessa, avendo la Corte di appello sufficientemente contraddetto gli argomenti dell’appellante sul punto, tenendo conto anche della determinazione della pena base relativa al delitto di omicidio volontario contenuta nel minimo edittale. Le restanti doglianze sono finalizzata ad una mera rivalutazione preclusa nel giudizio di legittimità.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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