Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 18 novembre 2013, n. 25845
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Reggio Calabria, pronunciato con sentenza non definitiva il divorzio tra i coniugi C.S.F. , ricorrente, e G.M.A. , sposatisi il (omissis) , con successiva sentenza definitiva n. 290/07 del 2 marzo 2007 imponeva al primo di contribuire al mantenimento dei due figli minori della coppia, nati l’uno nel … e l’altra nel …, con il pagamento sia dell’importo mensile di complessivi Euro 1.600,00 annualmente rivalutabili, e sia del 50% delle loro spese straordinarie; rigettava invece la domanda della G. di assegno di divorzio; dichiarava inammissibile ogni ulteriore domanda; confermava nel resto le condizioni della separazione personale omologata con decreto del 4.01.2001, compensando interamente le spese processuali. Con sentenza del 29.01-12.02.2009 la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla G. , le attribuiva l’assegno divorzile di Euro 200,00 mensili, annualmente rivalutabili, e poneva a carico del C. i 2/3 delle spese straordinarie inerenti ai figli, confermando nel resto la sentenza appellata e compensando tra le parti le spese del grado.
La Corte territoriale, premesso anche che all’esito dell’udienza presidenziale fissata per la comparizione dei coniugi, udienza in cui la G. non era comparsa ed il C. aveva insistito per l’accoglimento del suo ricorso, il Presidente del tribunale aveva stabilito in via provvisoria che il ricorrente versasse alla moglie Euro 1.400,00, di cui Euro 800,00 per la stessa, ed Euro 300,00 per ciascun figlio, osservava e riteneva in merito all’impugnato diniego di assegno divorzile che:
infondato era il primo motivo dell’appello della G. , con cui la stessa aveva sostenuto che detto diniego era affetto dal vizio di ultra o extrapetizione, in quanto implicante la revoca dell’assegno divorzile già concordato in sede separatizia, revoca non tempestivamente richiesta dalla controparte, che aveva solo instato affinché fosse determinata la quota di spettanza di ciascun beneficiario in rapporto all’importo unitario stabilito in quella sede per il mantenimento sia della moglie che dei figli. L’impugnata statuizione si correlava infatti alla domanda di assegno divorzile proposta dalla G. con la comparsa di costituzione e risposta nel primo grado del presente giudizio e d’altra parte, stante anche la diversità dell’assegno separatizio di mantenimento rispetto a quello di divorzio, questo non avrebbe potuto esserle riconosciuto in sede di separazione consensuale;
fondato, invece, era il secondo motivo dell’appello, con cui la G. , assumendo pure di avere dimostrato il suo stato di disoccupata, aveva censurato il diniego di assegno divorzile sotto il diverso profilo dell’erronea valutazione delle risultanze probatorie inerenti al miglioramento delle sue condizioni economiche per effetto della provata convivenza more uxorio con altro uomo, con il quale aveva anche generato un figlio. Il diritto all’assegno divorzile non poteva, infatti, essere automaticamente negato in ragione di tale convivenza, che però poteva influire sulla misura dell’assegno se migliorativa delle condizioni economiche dell’avente diritto. Tuttavia il C. , gravato del relativo onere, non aveva fornito la prova del mutamento in melius delle condizioni economiche della G. , sicché doveva esserle attribuito l’assegno in questione da quantificare in Euro 200,00 mensili, considerando anche la differenza di capacità reddituale e patrimoniale esistente tra le parti ed il fatto che lei aveva ammesso di avere ricevuto continui contributi economici dal suo convivente, senza i quali non avrebbe potuto mantenersi.
Avverso questa sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, il terzo dei quali implicante questione di legittimità costituzionale, e notificato il 29.04.2009 alla G. , che ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale fondato su un motivo. Il C. ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso principale il C. denunzia:
1. “Falsa applicazione dell’art. 5, 6 comma della L. 898/70 e successive modificazioni.”.
Formula conclusivamente il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis “Dica la Ecc.ma Corte di Cassazione se la Corte di Appello di Reggio Calabria avrebbe potuto affermare il diritto della resistente sig.ra G.M. A. (già appellante) all’assegno divorzile senza previamente valutare e quindi affermare ex professo la sussistenza del presupposto indicato nell’art. 5 comma 6 L. 898/70 (nella formulazione vigente) e cioè che il coniuge divorziato richiedente non abbia mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
2. “Falsa applicazione dell’art. 5, 6 comma L. 898/70 (nella formulazione vigente) in relazione all’art. 2697 c.c.”.
Formula il seguente quesito “se avrebbe potuto la C.A. di Reggio Calabria affermare il diritto della G. all’assegno divorzile onerando il C. della prova del mutamento in melius delle condizioni economiche dell’avente diritto a seguito di un contributo al suo mantenimento ad opera del convivente, omettendo invece del tutto di accertare previamente la insussistenza di mezzi adeguati in capo alla G. e la ricorrenza delle ragioni oggettive che impedivano alla stessa di procurarseli, gravando la G. medesima dell’onere della relativa allegazione e dimostrazione”.
3. “Questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 comma 10 L. 8/70 (nella formulazione vigente) in relazione agli artt. 2, 3 e 29 Cost.” nella parte in cui non subordina la perdita dell’assegno di divorzio da parte del coniuge beneficiano che contrae nuove nozze alla condizione che con il nuovo matrimonio abbia acquistato mezzi adeguati e ciò in relazione all’irragionevole disparità di trattamento che il principio applicato dai giudici d’appello introdurrebbe tra il coniuge divorziato che contrae un nuovo matrimonio e quello che invece instaura una convivenza more uxorio. Con il ricorso incidentale la G. deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.p. (c), 166 c.p.c. e 183 c.p.c.”. Sostiene che la Corte d’Appello ha erroneamente affermato che il Tribunale non era incorso nel vizio di ultrapetizione ed ha errato altrettanto nell’affermare che questo motivo redatto e sollevato davanti alla stessa Corte era destituito di fondamento.
Formula il seguente quesito “se il Giudice di merito possa pronunciarsi su una domanda (quella di revoca dell’assegno divorzile), senza che alcuna istanza in tal senso sia stata proposta nell’atto introduttivo del giudizio, o nel termine immediatamente, successivo concesso, o se piuttosto incorra nel vizio di ultrapetizione il giudice che pronunci senza che una domanda in tal senso sia stata avanzata (contraddicendo il disposto di cui all’art. 112 c.p.c. che impone la corrispondenza tra chiesto e pronunciato).”.
L’unico motivo del ricorso incidentale della G. , che in via logico-giuridica esige trattazione prioritaria, è inammissibile.
La ricorrente propone generici ed apodittici interrogativi, avulsi dalle ragioni poste dai giudici d’appello a sostegno dell’impugnata conclusione, secondo le quali il primo giudice non era incorso nei denunciati vizi di ultra ed extrapetizione in quanto aveva respinto la domanda di assegno divorzile proposta dalla medesima G. e non invece revocato, pur in assenza di domanda della controparte, tale assegno, la cui attribuzione non poteva essere intervenuta in sede separatizia né correlata ai provvedimenti solo temporanei ed urgenti assunti in sede presidenziale ai sensi dell’art. 4 co. 8 legge div., presupponendo essa oltre alla domanda dell’avente diritto, il nuovo status delle parti dipendente dalla pronuncia costitutiva del giudice del divorzio (in tema cfr, tra le altre, cass. n. 7117 del 2006; 24991 del 2010. n. 7620 del 2011).
Il secondo motivo del ricorso principale del C. è, invece, fondato nei sensi in prosieguo precisati; al relativo accoglimento segue anche l’assorbimento del primo motivo nonché l’irrilevanza della questione di costituzionalità involta dal terzo motivo del medesimo ricorso.
In questa sede di legittimità è stato anche di recente reiteratamente ed argomentatamente ribadito (cfr cass. n. 17195 del 2011; n. 3923 del 2012) il risalente principio (cfr tra le altre, cass. nn. 5560 e 11975 del 2003; nn. 3074 e 4765 del 2002) secondo cui in tema di diritto alla corresponsione dell’assegno di divorzio in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei coniugi viene meno di fronte alla instaurazione, da parte di questi, di una famiglia, ancorché di fatto, la quale rescinde, quand’anche non definitivamente, ogni connessione con il livello ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, conseguentemente, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile. A questo condiviso orientamento, al quale va data continuità, risulta essersi attenuto anche il giudice di primo grado sul presupposto, rimasto incontroverso, dei connotati di stabilità e continuità assunti dalla convivenza instaurata dalla G. con altro uomo, con il quale ha anche generato un figlio.
Conclusivamente si deve accogliere il secondo motivo del ricorso principale, con conseguente assorbimento del primo motivo ed irrilevanza della prospettata questione di costituzionalità, dichiarare inammissibile l’unico motivo del ricorso incidentale, quindi cassare l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, respingere, con decisione di merito assunta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la domanda di assegno divorzile proposta dalla G. .
Giusti motivi, desunti anche dalla natura delle controversia, giustificano l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il primo motivo del medesimo ricorso ed inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta la domanda di assegno divorzile proposta dalla G. . Compensa le spese dell’intero giudizio.
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