Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 16 ottobre 2013, n. 23545
Svolgimento del processo
Con citazione del 20.11.1997 F.I. convenne innanzi al Tribunale di Roma la soc. Banca di Roma, presso la quale la istante intratteneva rapporto di conto corrente, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionati dalla indebita levata di protesto con riguardo ad un assegno tratto il 31.5.1997 su detto conto all’ordine della soc. Impianti Sportivi quale corrispettivo per la realizzazione di impianti presso un esercizio alberghiero di sua proprietà. Ad avviso della attrice l’assegno non doveva essere pagato perché ella aveva tempestivamente (il 27.2.1997) informato il direttore dell’Agenzia della esistenza di un raggiro da parte dell’appaltatore ed aveva provveduto a presentare denunzia per truffa, ricevendo assicurazioni, come anche provveduto per altri tre assegni, sull’accoglimento della sua richiesta di non procedere al pagamento e sulla mancata menzione del suo nome sul protesto. La Banca si costituì deducendo la inconsistenza delle pretese e rifiutando il contraddittorio sulla sorte degli altri tre assegni.
Il Tribunale di Roma con sentenza 28.01.2000 ha rigettato la domanda rilevando che la promessa di non far figurare il nome della traente nel protesto era contraddetta dall’art. 63 della legge assegni, che la Banca non aveva alcun obbligo di fornire assistenza e consulenza legale e che la prova per testi era generica e irrilevante. La Corte di Appello di Roma, adita dalla F. (la Banca avendo dispiegato incidentale in ordine alla esiguità delle spese di primo grado, attestate su scaglioni di valore errati), con sentenza 20.10.2005 ha rigettato l’appello principale, accolto l’incidentale e pertanto gravato la F. delle spese di primo grado per Euro 12.500 e di quelle di appello per Euro 13.700. La Corte di merito ha affermato che la prova orale doveva ritenersi proposta a termine ex art. 184 c.p.c. scaduto ed era pertanto preclusa, senza che rilevasse il mancato rilievo ex adverso della tardività, stante il rilievo officioso ben possibile in appello perché la questione era stata riproposta ex art. 346 c.p.c., che ne conseguiva la assenza di alcuna prova dei presupposti della domanda, che era fondata la doglianza della Banca sulle spese.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il 5.11.2006 cui ha opposto difese Capitalia s.p.a. con controricorso 15.1.2007 contenente istanza condizionata di correzione della motivazione e ricorso incidentale condizionato. F.I. ha depositato memoria finale.
Motivi della decisione
Riuniti i ricorsi ex art. 335 c.p.c. il collegio ritiene che vada accolto il ricorso della F. nel mentre – nella necessaria pronunzia di cassazione con rinvio – resti assorbito il ricorso incidentale di Capitalia, proposto in termini di impugnazione condizionata.
Il ricorso principale afferma che la Corte territoriale ha ritenuto preclusa l’istanza di ammissione di prova del 9.06.1999 senza avvedersi affatto che nelle conclusioni della citazione introduttiva, integrata nella memoria ex art. 183 c.p.c. con atto 29.1.1999, conclusioni riproposte all’udienza del 3.11.1999, e tutte richiamate nelle conclusioni finali d’appello, era stata chiesta prova orale e che su di essa detta Corte doveva pronunziare, non limitandosi a dichiarare che nessuna prova era stata richiesta nel termine sollecitato e concesso ex art. 184 c.p.c. e quindi alla udienza del 9.06.1999.
Effettivamente – osserva il Collegio – la Corte di merito è incorsa in una evidente omessa motivazione posto che, pur avendo dato atto in intestazione della proposta di ammissione delle prove (tutte) non ammesse in primo grado, ha puramente e semplicemente affermato che nessuna nuova prova era stata articolata nel termine assegnato ma solo, tardivamente, alla udienza del 9.6.1999. E su di questo asserto nessuna censura vi è dalla F. , la quale ammette di non aver “utilizzato” il pur sollecitato termine. Essa, di contro, esattamente si duole della omessa valutazione delle originarie richieste di prova orale, proposte in primo grado nei capp. 3-4-5 della citazione introduttiva, respinte dal Tribunale perché generiche ed irrilevanti, riproposte nella citazione di appello e trascritte in conclusioni. E dunque certamente la Corte di merito non ha esaminato la originaria e reiterata richiesta di prova decampando sulla irrilevante questione della mancata articolazione di ulteriori prove, ed ha quindi commesso la denunziata violazione di omesso esame di dati asseritamente decisivi che imponevano al giudice di gravame di esaminare se tali prove fossero state o meno rettamente non ammesse dal Tribunale. E per tal ragione -solo quella appena riferita essendo la ratio decidendi della sentenza e solo questa essendo la ragione del ricorso – devesi accogliere il ricorso stesso.
Non coglie nel segno di contro la sollecitazione rivolta da Capitalia, contro ricorrente e ricorrente incidentale, a procedere vuoi ad una valutazione diretta e puntuale di irrilevanza delle prove non valutate vuoi ad una pronunzia di merito ex art. 384 c.p.c..
È inaccoglibile l’una e l’altra richiesta posto che la valutazione della sussistenza, comprensibilità e fondatezza di una causa petendi e della coerenza con essa di prove orali articolate e non valutate, né è prospettiva percorribile dalla Corte di legittimità nel controllo motivazionale ex art. 360 n. 5 c.p.c. né tampoco è suscettibile di condurre ad una decisione di merito (stante proprio la indeterminatezza dei fatti sui quali costruire la decisione di appello).
Restano ovviamente assorbite tutte le censure che denunziano la inconsistenza di alcuna pretesa risarcitoria della F. , la incomprensibilità della causa petendi, la genericità del nesso causale tra condotta del dirigente bancario ed il danno. Di esse si occuperà la Corte del rinvio sia nella sede della ammissione della prova sui fatti sia in quella, eventuale, della valutazione nel merito della domanda.
Anche le spese di questo giudizio graveranno sulla Corte di rinvio.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.
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