Cassazione toga nera

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 10 gennaio 2014, n. 725

Ritenuto in fatto

 1. Con sentenza resa il 19 giugno 2012 la Corte di Assise di Appello di Bari confermava la pronuncia del G.U.P. del locale Tribunale che in data 9 giugno 2011, all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva affermato la responsabilità di I.D. in ordine al delitto di omicidio, commesso in data 8 luglio 2010 in danno di B.C. , aggravato dalla premeditazione e dall’aver agito con crudeltà ed al reato di porto abusivo di strumento atto ad offendere e che, unificati detti reati nel vincolo della continuazione, aveva condannato l’imputato alla pena di anni trenta di reclusione, al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in sede civile col riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva, e lo aveva dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ed interdetto legalmente durante l’espiazione della pena principale.

2. Da entrambe le sentenze di merito era deducibile la seguente conforme ricostruzione dei fatti. La vittima e l’imputato avevano intrecciato una relazione affettuosa a distanza e ‘virtuale’, instaurata a seguito della conoscenza effettuata tramite una ‘chat line’, che aveva alternato momenti sereni ad altri più burrascosi per la gelosia che lo I. aveva mostrato per le altre relazioni intrattenute dalla B. ; il giorno (omissis) egli, a bordo della sua autovettura Fiat Panda di colore blu, targata …, che sarebbe stata in seguito rinvenuta abbandonata nelle vicinanze del luogo del delitto, era partito dal luogo di abituale residenza, sito in provincia di Piacenza, per raggiungere Bari ed incontrare l’amica e, senza averle preannunciato la visita, ma anzi avendole fatto credere di doversi recare in Torino, si era portato nei luoghi frequentati dalla donna, l’aveva seguita a distanza senza parlarle e poi l’… l’aveva attesa nei pressi della sede della ditta ove questa lavorava. Sopraggiunta costei in sella alla propria bicicletta, i due si erano intrattenuti a parlare sino a che lo I. l’aveva colpita con una spranga di ferro più volte al capo per poi darsi alla fuga a bordo della sua vettura. Le aveva in tal modo cagionato lesioni craniche multiple con sfondamento della teca cranica e perdita di tessuti ossei, cutanei e cerebrali, a detta dei sanitari infertele con un mezzo contundente con superficie di taglio smussa, di notevoli dimensioni, sia in lunghezza, che in spessore, impiegato con notevole forza di mani e braccia, lesioni che il giorno … alle ore 22.30 ne avrebbero determinato il decesso, nonostante il ricovero in ambiente ospedaliero.

2.1 Sottoposto a provvedimento di fermo l’imputato, -individuato dagli inquirenti quale autore dell’omicidio in forza della segnalazione di un teste oculare, che aveva riferito anche parte del numero di targa della vettura Fiat panda di colore blu, a bordo della quale l’aggressore della vittima era stato visto allontanarsi dopo avere colpito la vittima, del riconoscimento fotografico operato da un bracciante agricolo, impegnato nel lavoro in una campo sito nei pressi del luogo dell’aggressione, al quale lo stesso in stato di agitazione si era rivolto per segnalare di avere investito con il proprio veicolo una donna e chiedere soccorsi, e della relazione che lo aveva unito alla donna, ricostruita tramite i contatti telefonici e telematici via ‘chat line’ ed un ‘social network’ -, costui aveva ammesso di avere atteso ed aggredito la B. perché esasperato dal disprezzo con la quale ella aveva rivendicato il diritto di intrattenere rapporti con altri uomini.

2.2 I giudici di merito, dopo avere ricostruito la dinamica dell’omicidio sulla scorta di più testimonianze e degli accertamenti condotti dalla polizia giudiziaria, parzialmente convergenti con le ammissioni dell’imputato, avevano ravvisato le circostanze aggravanti della premeditazione e dell’aver agito con crudeltà, quindi avevano negato all’imputato le circostanze attenuanti generiche per la gravità del fatto, la personalità negativa del suo autore, resosi responsabile in precedenza di un tentativo di omicidio in danno dell’ex moglie, per l’irrilevanza probatoria della sua confessione e la scelta necessitata della costituzione spontanea per l’assenza di possibilità di condotte alternative.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalmente, il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine a:

-diniego delle circostanze attenuanti generiche, sebbene la propria confessione avesse apportato elementi di conoscenza determinanti per la ricostruzione dell’accaduto;

-riconoscimento della circostanza aggravante della crudeltà, basata soltanto sul mero dato della ripetizione dei colpi, che, nell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, costituiva elemento non rilevante;

-riconoscimento della circostanza aggravante della premeditazione, non coerente con i comportamenti e le manifestazioni emotive successivi all’omicidio per la mancata predisposizione di un percorso di fuga, lo stato di agitazione e confusionale in cui egli aveva versato, la volontà di consegnarsi alle forze dell’ordine, la dinamica dell’omicidio e le posizioni di autore e vittima durante il compimento del delitto. In particolare, se la vittima avesse immediatamente percepito la presenza del bastone di ferro in mano al suo interlocutore si sarebbe data alla fuga con la bicicletta, mentre l’arma in assenza di prova contraria, era stata reperita al momento dell’omicidio e non in precedenza perché se condotta durante il viaggio avrebbe esposto il suo detentore al rischio di un controllo con tutte le possibili conseguenze negative e la volontà omicida era insorta improvvisamente tanto che la discussione inizialmente era stata pacifica.

 Considerato in diritto

 Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti che verranno in seguito specificati.

1. Il ricorrente, senza muovere alcuna censura al giudizio di responsabilità, contesta la correttezza della decisione in riferimento al solo trattamento sanzionatorio sotto tre distinti profili, che hanno soltanto in parte già trovato adeguata, logica e ben giustificata soluzione nelle due conformi pronunce di merito.

1.1 In primo luogo, si duole del diniego delle circostanze attenuanti generiche, in ordine alla quale decisione i giudici di merito hanno esposto una pluralità di argomenti giustificativi che l’impugnazione all’odierno esame non affronta e non confuta, risultando dunque aspecifica. In particolare, si è sostenuto che l’apporto conoscitivo offerto dall’imputato con la sua confessione non è risultato determinante per la ricostruzione delle sue responsabilità e più in generale della dinamica dell’omicidio, già avvenuta compiutamente sulla scorta delle informazioni probatorie fornite da testi oculari, presenti al momento del fatto, dagli accertamenti sui contatti telematici e telefonici intercorsi con la vittima, sui suoi spostamenti e sulla sua autovettura, rinvenuta abbandonata nei pressi del luogo dell’aggressione con targa dal numero quasi coincidente con quella del veicolo segnalato come utilizzato dall’autore dell’omicidio per la fuga da chi aveva allertato le forze dell’ordine. Si è dunque fondatamente e coerentemente rilevato che le risultanze delle prime investigazioni avevano già condotto ad individuare lo I. quale autore del fatto, tanto da avere consentito l’emissione di un provvedimento di fermo a suo carico, e che la confessione resa, priva di un rilievo decisivo per quanto già detto, era stata finalizzata a limitare le proprie responsabilità a quanto era innegabile ed a mitigarne le conseguenze in termini di attenuazione del prevedibile trattamento sanzionatorio. In altri termini, appaiono conformi ai canoni della logica e della non contraddizione le argomentazioni circa la natura utilitaristica delle ammissioni dell’imputato, pervenute in un momento nel quale il quadro probatorio era di evidente concludenza e rendeva qualunque negazione inidonea a sortire esiti favorevoli, nonché circa la non veridicità delle dichiarazioni finalizzate a smentire la preordinazione del delitto ed a rivendicare un mero intento chiarificatore con la vittima quale ispiratore del lungo viaggio sino in Puglia, che in realtà gli elementi probatori acquisiti contraddicono senza incertezze.

1.1.1 Il primo giudice ha altresì sottolineato che anche il comportamento processuale tenuto dall’imputato non costituiva manifestazione di sincera resipiscenza, quanto piuttosto di rammarico per la condizione personale di restrizione carceraria e le conseguenze di una condanna a lunga pena detentiva: tanto era stato affermato in base ai rilievi contenuti nella perizia psichiatrica, che ne aveva accertato la piena capacità di intendere e volere al momento del fatto.

1.1.2 Parimenti, anche la condotta consistita nella presentazione spontanea alle forze dell’ordine è stata oggetto di attenta considerazione: si è rilevato al riguardo che la consegna non era avvenuta immediatamente dopo il delitto, ma a distanza di giorni dalla fuga verso la zona di residenza a bordo di un pullman e dopo aver fatto l’autostop, in un momento nel quali le sue ricerche erano già in corso da parte delle forze dell’ordine e che tale condotta era stata sostanzialmente necessitata dal fatto di non disporre di denaro, di documenti e di una vettura, ossia dei mezzi necessari per vivere in clandestinità o per abbandonare il paese, sicché non si era trattato di una libera scelta, ma di comportamento assunto nella lucida e meditata consapevolezza dell’assenza di qualsiasi praticabile ipotesi alternativa.

1.1.3 A tali già significativi profili, i giudici di merito hanno aggiunto la considerazione della vita anteatta e dei precedenti specifici dell’imputato, risultato avere già attentato alla vita della propria ex moglie, colpita con un coltello dopo essere stata sorpresa in auto con un altro uomo e trascinata fuori sino alla vettura dello I. per esservi ferita, fatto per il quale egli aveva riportato condanna per tentato omicidio e violenza privata continuata; le analogie tra i due delitti sono state motivatamente ritenute significative di una specifica tendenza a delinquere quale reazione all’atteggiamento di rifiuto altrui e le relative argomentazioni assumono innegabile validità logica e ricevono solido supporto probatorio.

1.1.4 Infine sul punto, i giudici di merito hanno evidenziato la particolare gravità oggettiva del delitto, non tanto per il bene leso in sé, quanto per le modalità di esecuzione, per l’intensità del dolo, la banalità dei motivi ispiratori, legati alla delusione per la sfumata possibilità di un legame sentimentale che sino ad allora si era limitato a contatti a distanza e quindi ad una dimensione ‘virtuale’, senza aver radicato sentimenti così profondi da giustificare una reazione insensata e distruttiva.

1.1.5 A fronte di un’analisi compiuta ed accurata, il ricorso oppone in modo soltanto generico che ‘la polizia giudiziaria ha tratto numerosi vantaggi dagli elementi apportati dal reo confesso in termini di genuinità della prova’, censura che omette qualsiasi illustrazione circa i dati fattuali offerti e la loro decisività per la formulazione del giudizio di colpevolezza e che trascura gli altri puntuali argomenti, che, avendo sondato tutti i profili di valutazione indicati dall’art. 133 cod. pen., resistono alle critiche mosse.

2. È, invece, fondata la doglianza che pretende non sia configurabile la circostanza aggravante dell’aver agito con crudeltà. Sul punto la sentenza impugnata, come quella di primo grado, ha desunto la sussistenza della circostanza dalla considerazione della dinamica dell’azione omicidiaria e della natura, ubicazione, pluralità di lesioni cagionate dall’uso protratto della sbarra di ferro, sollevata ed abbattuta sulla vittima con entrambe le braccia dall’imputato, che vi aveva potuto imprimere una forza devastante. Gli esiti erano stati tremendamente lesivi, tanto che era stato prodotto lo sfondamento della teca cranica e la perdita già sul luogo del delitto di tessuti ossei, cutanei, cerebrali da pare della vittima a seguito della reiterazione di colpi, inflitti tutti al capo, zona vitale per eccellenza. A riscontro sono stati indicati: i rilievi fotografici ritraenti la parte lesa; la descrizione contenuta nella relazione di ispezione cadaverica, che aveva messo in evidenza la sutura chirurgica presente in zona gabellare senza soluzione di continuità dall’osso temporale di destra a quello di sinistra e le altre numerose suture in zona occipitale, dal che si era dedotto che ‘il cranio della vittima era praticamente in pezzi’; la copiosa perdita di sangue e la caduta al suolo di una ciocca di capelli della vittima, che aveva quindi subito persino il distacco di parte della cute ricoperta dai capelli.

Tali elementi sono stati ritenuti dimostrativi del fatto che la perdita di tessuti ossei, cutanei e cerebrali, si era verificata già sul luogo di esecuzione del delitto nella piena consapevolezza, anche visiva ed uditiva, da parte dell’imputato, il quale, nonostante la donna fosse caduta al suolo dopo i primi colpi, dai quali aveva inutilmente tentato di difendersi sollevando le braccia a protezione del capo, riportando fratture anche agli arti, aveva infierito con singolare brutalità, continuando ad abbattere più volte la sbarra di ferro contro un corpo ormai esamine ed incapace di qualsiasi reazione con una reiterazione di colpi, inferti con inusitata violenza, assolutamente sovrabbondante rispetto allo scopo delittuoso di cagionarne la morte, quindi diretti ad infliggere sofferenze inutili e a dar sfogo al suo odio ed alla sua malvagità, essendo evidente a chiunque che già dopo i primi colpi di quella serie la donna non avrebbe potuto avere scampo.

2.1 Ad avviso di questo Collegio merita accoglimento la doglianza difensiva, secondo la quale l’aver colpito zona vitale del soggetto passivo in modo reiterato mediante una pluralità di colpi non consente di ravvisare l’aggravante in esame.

2.1.1. È noto che nell’interpretazione offertane dalla giurisprudenza di questa Corte la circostanza aggravante di avere adoperato sevizie e di avere agito con crudeltà verso le persone (art. 61 c.p., n. 4) ricorre nella seconda ipotesi quando le modalità della condotta esecutiva di un delitto rendano evidente la volontà di infliggere alla vittima sofferenze che trascendono il normale processo di causazione dell’evento e costituiscono un elemento aggiuntivo, un ‘quid pluris’ rispetto all’attività necessaria ai fini della consumazione del reato. La condotta del reo merita dunque più severa punizione perché resa particolarmente riprovevole dalla gratuità e superfluità, rispetto al processo causale, dei patimenti cagionati alla vittima mediante un’azione perciò indicativa di malvagità, insensibilità e di mancanza di qualsiasi sentimento di umana pietà (Cass., sez. 1, n. 25276 del 27/05/2008, Potenza e altro, rv. 240908; sez. 1, n. 4495 del 9/12/2007, Sepede ed altro, rv. 238942; sez. 1, n. 32006 del 6/7/2006, Cosman ed altro, rv. 234785; sez. 6, n. 15098 del 17/02/2003, Sanfilippo, rv. 224686; sez. 1, n. 35187 del 10/7/2002, P.G. in proc. Botticelli ed altri, rv. 222520).

2.2.2 Per contro, la giurisprudenza di legittimità è costante nell’escludere che, con riferimento alla fattispecie di omicidio, l’aggravante in esame possa ravvisarsi a fronte della mera reiterazione di colpi inferti alla vittima, se tale azione, che è connessa alla natura del mezzo usato per conseguire l’effetto delittuoso e così realizzare l’evento antigiuridico della morte del soggetto passivo, non ecceda i limiti della normalità causale e non trasmodi in una manifestazione di efferatezza (Cass., sez. 1, n. 27163 del 28/05/2013, Brangi, rv. 256476 sez. 1, n. 33021 del 16/05/2012, Victorero Teran e altro, rv. 253527; sez. 1, n. 30285 del 27/05/2011, Alfonzetti, rv. 250797; sez. 1, n. 25276 del 27/05/2008, Potenza e altro, rv. 240908; sez. 1, n. 4495 del 9/12/2007, Sepede ed altro, rv. 238942; sez. 1, n. 32006 del 6/7/2006, Cosman ed altro, rv. 234785; sez. 6, n. 15098 del 17/2/2003, Sanfilippo, rv. 224686; sez. 1, n. 12083 del 06/10/2000, P.G. in proc. Khalid, rv. 217346). Tale principio di diritto, la cui validità non s’intende porre in discussione, ma anzi ribadire, è stato formulato in fattispecie concrete, nelle quali la pluralità di colpi, infetti con armi da taglio, oppure con corpi contundenti, era richiesta per poter realizzare l’intento omicida quale conseguenza necessitata dall’impiego di uno strumento materiale di efficacia letale non immediata; in altri termini, in siffatte situazioni operative il meccanismo causale prescelto ed innescato dall’esecutore impone l’insistenza di gesti offensivi e non manifesta un atteggiamento di crudele accanimento contro la vittima per incrementarne le sofferenze oltre quanto necessario.

2.2.3 I medesimi principi devono essere applicati alla presente vicenda, nella quale emerge che lo I. aveva colpito la parte lesa con un oggetto, azionato con entrambe le braccia per imprimergli una maggiore forza e capacità di impatto, ma aveva reiterato i colpi anche dopo averla atterrata per avere la certezza di riuscire ad ucciderla senza che in ciò siano rintracciabili una particolare insistenza, finalizzata ad arrecare gratuitamente dolore o comunque sofferenza, al di là dell’uso della violenza necessario per portare a compimento la volontà omicidiaria. La condotta tenuta dall’imputato non può dirsi abbia trasceso il normale processo causale dell’evento mortale in relazione allo strumento letifero impiegato, né che abbia rappresentato un ‘quid pluris’ rispetto all’esplicazione dell’attività necessaria per conseguire quello scopo, per rivelare disprezzo verso la vittima ed il desiderio di infliggerle inutili patimenti: difetta dunque la gratuità della condotta.

Pertanto, la sentenza impugnata sul punto è incorsa in violazione di legge e nel denunciato vizio di motivazione, avendo ignorato che, in quegli specifici frangenti, l’utilizzo di uno o di pochi colpi contro un bersaglio in grado di muoversi e difendersi, almeno inizialmente, non offriva la certezza di poter realizzare il maturato proposito criminoso, ma aveva richiesto un’azione protratta; ne discende il suo parziale annullamento senza rinvio con esclusione della circostanza aggravante della crudeltà di cui agli artt. 577, comma 1 nr. 4 e 61 nr. 4 cod. pen., senza che da ciò possa conseguire una riduzione della pena inflitta, che resta determinata in trenta anni di reclusione, stante la sussistenza dell’altra circostanza aggravante contestata.

3. Non hanno, invero, pregio le altre censure che negano il delitto quale fattispecie premeditata.

3.1 Al riguardo l’analisi delle risultanze probatorie è stata attenta e logicamente sviluppata, partendo dal dato certo della preventiva acquisizione da parte dell’imputato della sbarra di ferro, prelevata dal giardino della sua abitazione per farne un uso altamente lesivo contro la B. ; per contro, l’assunto difensivo, secondo il quale l’arma era stata reperita al momento e sul luogo dell’omicidio risulta formulato in termini generici, in assenza di qualsiasi indicazione sul sito e sulle presunte modalità del rinvenimento; contrasta, inoltre, irrimediabilmente con quanto riferito dal teste oculare M. sul fatto che lo I. aveva brandito la sbarra sin dal momento in cui si era avvicinato alla vittima ed aveva iniziato il colloquio, mentre nessuno lo aveva visto raccoglierla da terra o prelevarla in un momento successivo dalla sua vettura. La sentenza in verifica ha poi evidenziato come lo stesso imputato avesse ammesso di essersi procurato la sbarra, prelevandola da un cantiere nei pressi -circostanza smentita dalle indagini- prima di essersi recato ad attendere l’amica ed in previsione di tale incontro, sebbene nulla egli potesse temere per la propria incolumità in quel frangente.

3.2 La sentenza impugnata ha già respinto anche ulteriore obiezione, secondo la quale, se la donna si fosse accorta della presenza dell’arma, si sarebbe data immediatamente alla fuga o avrebbe chiesto aiuto, per cui non averlo fatto stava a significare che l’oggetto era stato prelevato al momento: ha osservato in modo del tutto logico che la sbarra, di accertata provenienza dal giardino della casa dell’imputato e quindi condotta da quel luogo durante il viaggio sino a Ceglie del Campo in un momento nel quale la decisione omicidiaria era già maturata, ben poteva essere stata occultata dietro la sua persona nella fase dell’approccio iniziale con la B. per poi essere utilizzata con un effetto a sorpresa, che non le aveva lasciato alcuna possibilità di fuga.

Così come il rischio di un controllo nel corso del viaggio e del rinvenimento della sbarra non costituiva un evento di tale temibilità, per la sua eventualità affatto garantita, da trattenere lo I. dal portarla con sé.

3.3 Altrettanto non decisiva per escludere l’aggravante della premeditazione risulta la considerazione delle reazioni emotive dell’imputato dopo il fatto: che egli fosse sconvolto e non avesse preordinato i mezzi per la fuga verso la sua zona di residenza o che si fosse consegnato alle forze dell’ordine non smentisce, nemmeno sul piano logico, la preordinazione del delitto nelle sue modalità realizzative, ossia la preventiva ideazione e deliberazione dell’azione antigiuridica, che non include necessariamente la condotta successiva. In altri termini, se il piano criminoso già delineato si estende anche alla fuga poi posta in essere, ciò potrà costituire elemento dimostrativo della premeditazione, ma non ne costituisce presupposto indefettibile. Senza tralasciare che la consegna alle forze dell’ordine era avvenuta a distanza di giorni dall’omicidio sulla scorta di una ben ponderata decisione, che nulla aveva di istintivo ed emotivo.

3.4 Il ricorso non confuta nemmeno i pertinenti rilievi, incentrati sul comportamento tenuto dall’imputato nel corso del viaggio alla volta di Bari ed una volta raggiunto il luogo di residenza della vittima; è stato rilevato che egli aveva volutamente mentito alla B. quando le aveva comunicato di essere diretto verso Torino portando con sé i cani e che subito dopo avrebbe fatto ritorno alla sua abitazione di XXXXXXXX, messaggio in realtà inviato mentre stava percorrendo l’autostrada in direzione di Bari. Inoltre, anche quando il 7 luglio aveva individuato la donna e ne aveva seguito i movimenti a distanza, non si era palesato e non le aveva parlato perché ella si era trovata in compagnia di altre persone.

Tali condotte sono state interpretate come indicative della volontà di cogliere di sorpresa la vittima e di tenderle un agguato in un luogo ed in un momento più propizi per affrontarla ed attuare il proposito criminoso: se, al contrario, egli avesse inteso avere un chiarimento e riallacciare il loro rapporto non avrebbe atteso l’indomani, si sarebbe presentato con l’atteggiamento del corteggiatore, non con una sbarra di ferro alle 06.00 di mattina nei pressi del luogo di lavoro, situato in una via periferica. Pertanto, risulta immune da vizi logici e giuridici la conclusione raggiunta dai giudici di merito, i quali con conforme statuizione hanno affermato la sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione in ragione dell’esecuzione dell’omicidio come azione già programmata da tempo ed attuata con freddezza e determinazione, non già scaturita dallo stress emotivo derivante da un improvviso litigio con la vittima.

3.5 Infine, la ricostruzione esposta nella sentenza di appello non subisce smentita nemmeno per il fatto che lo I. avesse colloquiato inizialmente con la parte lesa per poi aggredirla solo in un secondo momento dopo aver appreso della volontà della donna di non proseguire la loro relazione: si è rilevato al riguardo che il proposito criminoso era stato elaborato e coltivato prima dell’azione come sottoposto alla condizione della reiterazione del rifiuto della vittima, ipotesi per nulla astratta, ma avvalorata anche dalla perizia psichiatrica.

3.6 È noto che il riconoscimento della premeditazione, configurata come circostanza aggravante nei delitti di omicidio volontario e di lesioni personali, è condizionato dal positivo accertamento di due presupposti, uno cronologico, altro soggettivo, rispettivamente rappresentati da un apprezzabile, ma non preventivamente individuato dalla norma di legge, lasso di tempo intercorso tra l’insorgenza del proposito criminoso e la sua attuazione concreta, tale comunque da consentire la possibilità di riflessione circa la praticabilità e l’opportunità del recesso, e dalla perdurante determinazione criminosa nell’agente senza soluzioni di continuità e senza ripensamenti dal momento del concepimento dell’azione antigiuridica fino alla sua realizzazione. Il legislatore ritiene dunque meritevole di una punizione più severa colui che, rispetto alla situazione di ideazione e normale riflessione che usualmente precede l’agire umano, si distingue per la particolare fermezza e costanza nel tempo dell’intenzione criminosa e persevera senza incertezze nel proposito, perché tale atteggiamento rivela un dolo di maggiore intensità e quindi una più spiccata capacità a delinquere.

3.6.1 Questa Corte ha già affermato al riguardo che l’elemento cronologico non si presta in sé ad una quantificazione minima, oggettivabile e valevole in astratto per ogni caso secondo schemi astratti, ma richiede che il proposito delittuoso perduri per un’estensione temporale tale da consentire all’agente la riconsiderazione della decisione assunta e da far prevalere la spinta al crimine rispetto ai freni inibitori.

3.6.2 Inoltre, la ricostruzione probatoria della premeditazione non può esaurirsi nel mero accertamento del preventivo stazionamento sui luoghi, o dell’acquisizione dei mezzi e degli strumenti materiali coi quali tradurre in pratica il proposito illecito, comportamento questo non qualificante perché antecedente anche una risoluzione criminosa assunta in via estemporanea e poi attuata: è, invece, necessario fare ricorso ad elementi estrinseci e sintomatici, individuati a livello esemplificativo nella causale dell’azione, nell’anticipata manifestazione dell’intento poi attuato, non contraddetto da condotte opposte, nella ricerca dell’occasione propizia, nella meticolosa organizzazione e nell’accurato studio preventivo delle modalità esecutive, nella violenza e reiterazione dei colpi inferti (Cass. S.U., n. 337 del 18/12/2008, Antonucci, rv. 241575; Cass. sez. 1, n. 47880 del 5/12/2011, Zhang Yng, rv. 251409; sez. 1, n. 47250 del 9/11/2011, Livadia, rv. 251502 in motivazione; sez. 1, n. 7970 del 06/02/2007, P.G. in proc. Francavilla, rv. 236243, sez. 1, n. 24733 del 21/5/2004, Defina, rv. 228510).

3.6.3 Infine, non va tralasciato che la sentenza impugnata in punto di diritto ha correttamente richiamato il principio, conferente alla fattispecie, secondo il quale l’aggravante della premeditazione sarebbe egualmente ravvisabile anche se l’imputato avesse condizionato l’attuazione della sua intenzione omicida all’evento del rifiuto della vittima di proseguire la loro relazione, dal momento che anche in questo caso sono individuabili una persistente risoluzione criminosa a realizzare azione letale contro lo stesso obiettivo, mantenuta per un apprezzabile lasso di tempo, comprensiva dell’evento condizionante, già preventivato nella prefigurazione degli scenari possibili, sufficiente per maturare una contraria decisione e recedere (Cass. sez. 1, n. 1079 del 27/11/2008, Lancia, rv. 242485; sez. 1, n. 7766 del 30/1/2008, Dettori, rv. 239232; sez. 1. N. 35957 dell’1/7/2004, Giusti ed altri, rv.229839; sez. 1, n. 1910 del 25/1/1996, Bima, rv. 203806).

Per quanto esposto deve ritenersi che il ricorso sia solo parzialmente fondato per quanto attiene all’esclusione dell’aggravante di aver agito con crudeltà; nel resto lo stesso va respinto.

 P.Q.M.

 Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante della crudeltà di cui agli artt. 577, comma 1 nr. 4 e 61 nr. 4 cod. pen., che elimina; rigetta nel resto il ricorso.

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