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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 10 febbraio 2014, n. 6118

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con sentenza del 4 novembre 2011 il GIP del Tribunale di Nocera Inferiore, all’esito del giudizio abbreviato e per quanto di interesse nel presente giudizio di legittimità, condannava alla pena di anni dodici di reclusione, concesse le attenuanti generiche e quella di cui all’art. 62 n. 2 c.p., riuniti i reati ai sensi dell’art. 81 c.p. e con la diminuente del rito, B.C., imputato del reato di omicidio in danno di T.L., contro il quale aveva esploso, in seguito ad un diverbio per pretesi crediti lavorativi, due colpi di arma da fuoco, del reato di minaccia a mano armata di C.G., nonché dei collegati reati di cui agli artt. 12 e 14 L. 497/1974 e 434 c.p.. Secondo la ricostruzione del giudice di prime cure, il 14 maggio 2010 l’imputato e la vittima, unitamente a tale C.G., collega di lavoro del T. ed anch’egli creditore dell’imputato per spettanze lavorative (i due erano stati a lungo alle dipendenze di una ditta di autotrasporti gestita dalla famiglia B. poi fallita) viaggiavano insieme in automobile verso Avellino dove una certa persona, imprenditrice ed amica dell’imputato, avrebbe dovuto garantire due assegni di euro 5000,00 ciascuno dallo stesso consegnati alla vittima ed al C. a parziale ristoro delle spettanze rivendicate. Durante il tragitto sarebbe insorta una discussione, rapidamente degenerata, in seguito alla quale il T. aveva accostato l’autovettura. A questo punto, secondo il racconto del C., la vittima avrebbe estratto una pistola (che gli accertamenti confermeranno essere di sua proprietà) puntandola all’addome del B., il quale in qualche modo (non chiarito dal teste) sarebbe riuscito a disarmarla impadronendosi dell’arma; immediatamente dopo tale momento i tre sarebbero usciti dall’autovettura ed il B. avrebbe indirizzato verso la vittima gli spari mortali mentre il C. si riparava frapponendo l’automezzo tra sé e l’imputato; questi provvedeva poi a chiamare i familiari ed a consegnare l’arma del delitto ai sanitari sopravvenuti con un’ambulanza. Sulla base di una siffatta ricostruzione, difensivamente non contestata, il giudice di prime cure decideva come innanzi. 2. Avverso la condanna di primo grado proponeva appello l’imputato lamentando il mancato riconoscimento in suo favore di aver agito per legittima difesa e comunque di aver ecceduto colposamente i limiti di detta esimente, l’inconfigurabilità sia del reato in materia di armi che della minaccia in danno del C. e la particolare esosità del trattamento sanzionatorio. La Corte di assise di appello di Salerno, con sentenza del 3 dicembre 2012, riduceva la pena inflitta ad anni dieci di reclusione confermando nel resto ogni altro capo della pronuncia impugnata. A sostegno della decisione la corte territoriale deduceva, quanto alle invocate esimenti, che al momento degli spari non sussisteva alcuna situazione di pericolo per l’imputato, il quale aveva ormai disarmato il rivale ed acquisito una posizione di assoluta sicurezza (fuori dall’auto sul lato destro ed armato, mentre la vittima si trovava sul lato opposto di sinistra). Col primo colpo inoltre, evidenziava il giudice dell’appello, il T. era stato ferito e per questo reso ormai inoffensivo. Confermava per il resto la corte adita le ragioni poste dal giudice di prime cure a sostegno della sussistenza dei residui reati sui quali si è ormai formato il giudicato in assenza di doglianze di legittimità. 3. Impugna per cassazione l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, la condanna di seconde cure denunciandone l’illegittimità sulla base di due motivi di impugnazione. 3.1 Col primo di essi lamenta la difesa ricorrente difetto di motivazione in particolare osservando: non sono stati adeguatamente valutati gli argomenti difensivi a sostegno della ricorrenza, nella fattispecie, della esimente della legittima difesa; la vittima ed il C., fin dall’inizio del viaggio in auto, avevano aggredito verbalmente l’imputato per ottenere ad ogni costo quanto preteso ed il T. non esitò a utilizzare minacciosamente l’arma in suo possesso; la vittima era persona adusa all’uso delle armi, tanto da aver subito in precedenza una condanna per tentato omicidio commesso con un’arma; non sono stati valorizzati nè i numerosi residui di polvere da sparo rinvenuti sulle mani della vittima, nè lo stato d’animo dell’imputato dopo il primo colpo indirizzato verso l’avversario rimasto senza effetto sostanziale. 3.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia infine la difesa ricorrente la mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena, dappoichè non valutata la personalità dell’imputato. 4. Il ricorso è infondato. 4.1 Quanto al primo motivo giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo). cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baratti, Rv.239735; cfr. in termini: Cass. sez. 2^, sentenza n. 7380 dell’11/01/2007, dep. il 22/02/2007, Rv. 235716, imp. Messina). Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061). Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito di gran parte delle argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente considerato dalla sentenza impugnata. Nel caso in esame i giudici territoriale hanno valorizzato infatti il decisivo rilievo secondo cui l’esimente della legittima difesa, ancorchè nelle forme dell’eccesso colposo, deve essere esclusa nella fattispecie data perché l’imputato, al momento di indirizzare i colpi mortali, era ormai uscito del tutto da una situazione di pericolo, situazione per la quale, appunto perché radicalmente esclusa detta situazione, non era neppure ipotizzabile una erronea valutazione colposa di pericolo potenziale. A tale specifica tesi non oppone la difesa istante alcuna replica, né in fatto né argomentativa in diritto, limitando la propria doglianza a considerazioni di merito (quelle innanzi sintetizzate) ininfluenti sull’esposta decisiva premessa del sillogismo logico posto a fondamento della decisione. Quanto, più in particolare, alla configurabilità nella fattispecie data dei requisiti di cui al combinato disposto di cui agli artt. 55 e 55 c.p., rammenta il Collegio che “ai fini della configurabilità dell’eccesso colposo di legittima difesa, infatti occorre preliminarmente accertare l’eventuale inadeguatezza della reazione difensiva, per eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito nel particolare contesto spaziale e temporale nel quale si svolsero i fatti, e successivamente procedere all’ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, poiché soltanto il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo, mentre il secondo costituisce scelta volontaria, estranea alla predetta scriminante. (Fattispecie nella quale si è ritenuto che la volontà dell’imputato fosse scientemente rivolta a sopprimere la vittima, in difetto di necessità difensive)” (Cass., Sez. I, 22/11/2011, n. 47662). Di guisa che in relazione al caso dedotto può trovare applicazione il seguente principio di diritto: “non è legittimamente invocabile l’eccesso colposo in legittima difesa da parte dell’imputato il quale, dopo aver disarmato la vittima che lo aveva minacciato con una pistola, riesca a frapporre tra sé e l’avversario l’ostacolo di una autovettura in sosta ed in quella situazione esploda al suo indirizzo due colpi di pistola il secondo dei quali con esito mortale, giacchè ormai al di fuori esso imputato di una situazione per sé pericolosa suscettibile di diversa valutazione apprezzabile per colpa”. 4.2 Manifestamente infondata si appalesa inoltre la censura relativa alla dosimetria della pena, articolata in termini di palese genericità, a fronte di una oggettiva moderazione nella indicazione della pena base, fissata nel minimo edittale, della congrua considerazione delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62 n. 2 e del misuratissimo conteggio degli aumenti per la continuazione. 5. Il ricorso va, in conclusione, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p., nonché alla rifusione degli oneri processuali sopportati dalla parte civile costituita.

P.Q.M.

la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 4000,00, oltre accessori come per legge.

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