A causa della «maggiore invasività» per le telefonate promozionali preregistrate, prive cioè della presenza dell’operatore all’altro capo del filo, è sempre necessario aver acquisito precedentemente, e per quella specifica comunicazione, il consenso del ricevente

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 24 maggio 2016, n. 10714

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FORTE Fabrizio – Presidente
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11434-2012 proposto da:

(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in persona del Presidente pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10/2011 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il 14/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato NICHETTI ERNESTO si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Garante per la protezione dei dati personali (hinc solo Garante) dichiarava illecito il trattamento dei dati di (OMISSIS), alla cui utenza erano state inviate telefonate preregistrate con fine pubblicitario. Di conseguenza vietava, in generale, alla responsabile (OMISSIS) s.r.l., simile tipologia di trattamento ove non fosse risultata la prova documentale di aver acquisito il consenso preventivo, specifico e informato dei soggetti interessati. Prescriveva infine l’adozione di misure per l’ottemperanza.

La societa’ proponeva opposizione dinanzi al tribunale di Venezia, ai sensi dell’articolo 152 del codice della privacy. Nella resistenza del Garante, il tribunale rigettava l’opposizione e condannava l’opponente alle spese di lite.

Per quanto ancora di interesse, il tribunale motivava la decisione affermando che, per la maggiore invasivita’ delle comunicazioni attuate con l’uso di sistemi automatizzati, l’invio di materiale pubblicitario o di comunicazioni commerciali poteva essere fatto solo con il consenso dell’interessato, da intendersi come “consenso specifico riferito a quella specifica comunicazione”; che tale principio era operante anche in regime transitorio, L. n. 14 del 2009, ex articolo 44, comma 1-bis; che i dati in possesso del Garante erano sufficienti a sorreggere la misura, dal momento che in una lettera di risposta, a firma del legale rappresentante, la societa’ si era detta in possesso di una propria banca dati anteriore al 2005 e aveva sostenuto la non necessita’ di una preventiva richiesta di consenso all’utilizzo dei dati per informazioni pubblicitarie essendo stata fornita all’utente “idonea informativa”.

Avverso la sentenza, depositata il 14-11-2011 e non notificata, la societa’ ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi e illustrato pure da memoria.

Il Garante ha replicato con controricorso dell’avvocatura dello Stato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 130 del codice della privacy sul rilievo che essa societa’ disponeva del consenso dell’utente, il quale consenso non doveva essere specifico in relazione alle singole chiamate benche’ si trattasse di chiamate automatizzate.

Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 207 del 2008, articolo 44, comma 1-bis, conv. in L. n. 14 del 2009 in quanto, in relazione ai vari stadi dell’evoluzione legislativa che, ex Decreto Legge n. 135 del 2009, aveva comportato il passaggio dall’originario principio cd. di opt-in a quello cd. di opt-out, la sopra citata norma transitoria legittimava l’utilizzo dei dati raccolti prima del 1 agosto 2005 anche senza informativa e senza consenso dell’utente destinatario di comunicazioni commerciali.

Col terzo motivo la ricorrente deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza in ordine al profilo della preventiva acquisizione del consenso dell’interessato e della adeguatezza dell’istruttoria svolta in sede amministrativa dal Garante.

Infine col quarto motivo la ricorrente lamenta l’erroneita’ della condanna alle spese processuali e il vizio di motivazione sul corrispondente punto.

2. – I primi due motivi, che per connessione possono essere trattati congiuntamene, sono infondati.

Risulta dall’impugnata sentenza, ed e’ pacifico in causa, che il trattamento dei dati personali era avvenuto in relazione a comunicazioni commerciali preregistrate. Si trattava cioe’ di comunicazioni fatte con sistemi automatici di chiamata.

Il codice della privacy, agli articoli 129 e 130, consente simile trattamento solo con il consenso dell’interessato.

Tale consenso si impone anche dinanzi a quanto stabilito dal comma 3-bis dell’articolo 130 (aggiunto dal Decreto Legge 25 settembre 2009, n. 135, articolo 20-bis, conv. in L. 20 novembre 2009, n. 166), giacche’ – come di recente chiarito da questa corte (v. recentissima Sez. 1 n. 2196-16) – la norma che nell’ordinamento ha istituito il regime cd. di opt-out non si applica ove le telefonate siano state effettuate a scopo di marketing con sistemi automatici.

Cio’ si desume con assoluta nettezza dalla direttiva comunitaria 2002/58-CE, alla quale l’assetto normativo interno e’ conseguito, atteso che la soluzione opt-out (opzione di esclusione), recepita dall’articolo 130, comma 3-bis del codice, e’ stata ivi ipotizzata, quanto alle legislazioni nazionali, (v. articolo 13, comma 3) solo con riferimento alle chiamate con operatore.

Consegue che, in caso di chiamate automatizzate, la possibilita’ di veicolare messaggi pubblicitari suppone sempre il consenso specifico dell’interessato, in analogia di quel che accade per le comunicazione mediante fax, nelle quali parimenti manca la possibilita’ di interazione del destinatario col mittente (v. Sez. 2 n. 14326-14).

2. – Non giova l’insistito riferimento della ricorrente al regime transitorio dettato dal Decreto Legge n. 207 del 2008, articolo 44, comma 1-bis.

La norma, inserita dalla L. di conversione n. 14 del 2009, articolo 1 e successivamente modificata dal Decreto Legge n. 135 del 2009, articolo 20-bis, comma 3, testualmente prevede che “i dati personali presenti nelle banche dati costituite sulla base di elenchi telefonici pubblici formati prima del 1 agosto 2005 sono lecitamente utilizzabili per fini promozionali sino al termine di sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Legge 25 settembre 2009, n. 135, anche in deroga agli articoli 13 e 23 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dai soli titolari del trattamento che hanno provveduto a costituire dette banche dati prima del 1 agosto 2005”.

Ma il riferimento – alla luce dei principi gia’ detti – va associato al fatto che si discorra sempre di chiamate non automatizzate, id est di chiamate con operatore.

3. – Il terzo motivo e’ inammissibile in quanto basato su un fatto – l’acquisizione del consenso del destinatario – che la sentenza ha motivatamente escluso.

A tal riguardo la sentenza ha valutato gli elementi che erano stati evidenziati dalla stessa societa’ a mezzo di lettera di risposta ai rilievi del Garante, costituiti dalla presenza del nominativo del destinatario in una propria banca dati quale fatto da cui doversi desumere la non necessita’ di altro consenso.

Trattasi di valutazione di pieno merito, congruente e logica, insindacabile in questa sede e rispetto alla quale l’attuale doglianza difetta di specificita’.

4. – Pure inammissibile e’ il quarto motivo, che attinge la regolamentazione delle spese processuali.

Le spese processuali sono state regolate secondo il criterio di soccombenza, e a tal riguardo il sindacato della corte e’ limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa.

Esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la valutazione dell’opportunita’ di operare una compensazione, in tutto o in parte (v. in luogo di molte Sez. 3 n. 406-08, Sez. 1 n. 17145-09, Sez. 3 25270-09).

5. – Il ricorso e’ rigettato.

La solo recente soluzione data dalla corte al problema interpretativo posto coi primi due motivi, in ogni caso successiva alla proposizione del ricorso, giustifica la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali

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