Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 11 novembre 2016, n. 23067

Sulla base della disciplina legislativa di settore deve escludersi che l’esecuzione delle prestazioni rese dalla struttura socio-sanitaria accreditata in favore degli assistiti possa far sorgere obbligazioni a carico della Regione, rimasta estranea alla stipulazione della convenzione con l’Asp, e comunque priva di ogni competenza al riguardo. E’ quanto si legge nella sentenza n. 23067 dell’11 novembre 2016 della Corte di cassazione.

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 11 novembre 2016, n. 23067

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

REGIONE CALABRIA, in persona del Vicepresidente della Giunta regionale p.t., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS), unitamente all’avv. (OMISSIS) dell’Avvocatura regionale, dal quale e’ rappresentata e difesa in virtu’ di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L., in persona dell’amministratore unico p.t. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS), dal quale, unitamente all’avv. (OMISSIS) del foro di Catanzaro e rappresentata e difesa in virtu’ di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI COSENZA;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro n. 691/14, pubblicata il 13 maggio 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7 giugno 2016 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. (OMISSIS) per la ricorrente e l’avv. (OMISSIS) per delega del difensore della controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La (OMISSIS) S.r.l., in qualita’ di gestore della casa protetta per anziani (OMISSIS), convenne in giudizio la Regione Calabria e l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, per sentirle condannare al pagamento della somma di Euro 614.444,20, dovuta a titolo di contributo per le prestazioni sociosanitarie erogate dalla predetta struttura nell’anno 2010, in virtu’ del contratto stipulato con l’Asp il (OMISSIS), e (OMISSIS) a carico del Fondo sociale regionale nella misura del 50% della retta giornaliera.

Si costitui’ la Regione, che resistette alla domanda, eccependo tra l’altro la nullita’ del contratto, in quanto non sottoscritto da essa convenuta e stipulato senza l’osservanza delle regole di evidenza pubblica.

Si costitui’ anche l’Asp, che eccepi’ l’avvenuta estinzione delle obbligazioni a proprio carico.

1.1. Con ordinanza emessa ai sensi dell’articolo 702-ter c.p.c., il 20 marzo 2012, il Tribunale di Catanzaro accolse parzialmente la domanda, condannando la Regione al pagamento della somma di Euro 369.270.98, oltre interessi, successivamente corretta in Euro 229.147,78 con ordinanza dell’i l luglio 2012.

2. – L’impugnazione proposta dalla Regione e’ stata rigettata dalla Corte d’Appello di Catanzaro con sentenza del 13 maggio 2014.

A fondamento della decisione, la Corte ha confermato innanzitutto l’applicabilita’ del procedimento sommario di cognizione, adottato in primo grado, avendo le parti interamente affidato le proprie difese alla produzione documentale, e non essendo state indicate le diverse attivita’ difensive che avrebbero potuto essere svolte in caso di trattazione con il rito ordinario. Premesso inoltre che, ai sensi della Legge Regionale Calabria 5 dicembre 2003, n. 23, articolo 7, comma 2, come integrato dalla Legge Regionale 5 ottobre 2007, n. 22, articoli 17 e 18, le spese per l’assistenza agli anziani erano imputabili per il 50% al Fondo sociale regionale, la Corte ha ritenuto che, ai fini della predetta imputazione, fosse sufficiente il contratto scritto stipulato tra la (OMISSIS) e l’Asp, in quanto, ai sensi della legge regionale 18 luglio 2008, n. 24, le aziende sanitarie competenti erano legittimate alla stipulazione dei contratti con le strutture private accreditate, sulla base dei piani annuali regionali, con efficacia anche nei confronti della Regione. Ha escluso che l’accordo tra le parti fosse individuabile nella Delib. n. 685 del 2002, superata dalla L. n. 24 cit., reputando altresi’ superflua la sottoscrizione del contratto da parte del direttore generale del dipartimento regionale, ed irrilevante la mancata attivazione di un procedimento di scelta comparativa a seguito di pubblica gara; ha infatti osservato che il sistema dell’evidenza pubblica previsto dal Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 per le prestazioni sanitarie e sociosanitarie non e’ applicabile ai contratti stipulati con le strutture sociosanitarie in regime di accreditamento ai sensi del Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, articolo 8, in quanto tale disposizione prevede un sistema alternativo di selezione del contraente, che, articolandosi in una prima fase volta all’individuazione dei soggetti idonei all’erogazione delle prestazioni ed in una seconda fase volta a disciplinare in concreto la re-munerazione delle stesse, soddisfa in modo diverso le esigenze di parita’ di trattamento, trasparenza e pubblicita’ cui sono preordinate le procedure di evidenza pubblica. Ha conseguentemente escluso la necessita’ di rimettere alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato UE, la questione riguardante la compatibilita’ del predetto sistema con i contratti previsti dall’articolo 1, lettera d), della direttiva CE 2004/18 del 31 marzo 2004.

3. Avverso la predetta sentenza la Regione ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sette motivi, illustrati anche con memoria. La (OMISSIS) ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. L’Asp non ha svolto attivita’ difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione d’inammissibilita’ del ricorso, sollevata dalla controricorrente in relazione alla mancata indicazione, nell’intestazione, della data e del numero del decreto dirigenziale di autorizzazione al conferimento dell’incarico al difensore, nonche’ all’assenza di qualsiasi menzione della preventiva consultazione con il dirigente della struttura interessata alla lite, prescritta dalla Legge Regionale 13 maggio 1996, n. 7, articolo 10, comma 5.

La mancata indicazione degli estremi del predetto decreto non incide infatti sulla concreta possibilita’ d’identificarlo, avuto riguardo all’avvenuto deposito dello stesso all’atto dell’iscrizione a ruolo del ricorso ed alla conseguente facolta’ della controparte di prenderne visione, il cui esercizio trova conferma nel tenore della questione pregiudiziale da essa sollevata. Quanto alla mancata consultazione del dirigente della struttura interessata, questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare ripetutamente che la norma in esame non ne esige il consenso, ma soltanto la previa consultazione, ai fini della quale non sono prescritti specifici requisiti di forma, rilevando la stessa soltanto nei rapporti interni tra gli organi regionali, senza alcun effetto sul piano, esterno al contesto organizzativo regionale, della regolare instaurazione del contraddittorio (cfr. Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2012, n. 2704; Cass., Sez. 1, 1 settembre 2015, n. 17393).

2. – E’ altresi’ infondata l’eccezione d’inammissibilita’ del ricorso sollevata ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, in virtu’ dell’affermata insufficienza ed imprecisione dei fatti di causa riferiti nella narrativa che precede l’illustrazione dei motivi d’impugnazione.

Tale premessa, recante una schematica esposizione dello svolgimento delle fasi di merito, con l’indicazione dell’oggetto della domanda e la sintesi delle posizioni difensive delle parti, accompagnata dalla precisazione delle decisioni adottate dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, puo’ considerarsi infatti sufficiente, pur nella sua stringatezza, a garantire una regolare instaurazione del contraddittorio, e quindi a soddisfare il requisito prescritto dall’articolo 336, comma 1, n. 3 cit., ai fini del quale occorre che dal contesto dell’atto di impugnazione possano desumersi gli elementi indispensabili per fornire al giudice di legittimita’ una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. Un., 18 maggio 2006, n. 11653; Cass., Sez. 3, 24 luglio 2007, n. 16315; 19 ottobre 2006, n. 22385).

3. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., sostenendo che, nel rigettare il primo motivo di appello, la sentenza impugnata si e’ limitata ad esaminare la censura riguardante il rito adottato in primo grado, omettendo di pronunciare in ordine ad un’altra questione sollevata da essa appellante, concernente l’avvenuta sostituzione del contratto stipulato il (OMISSIS), posto a fondamento del ricorso introduttivo, con altro contratto stipulato il (OMISSIS), prodotto nel corso del giudizio, la cui invocazione aveva comportato una modificazione della causa petendi, non rilevata dal Giudice di primo grado, che era conseguentemente incorso in ultrapetizione.

3.1. Il motivo e’ infondato.

Al riguardo, e’ opportuno premettere che il mancato esame di questioni meramente processuali da parte del giudice non puo’ dar luogo ad un vizio di omessa pronuncia, configurabile esclusivamente in relazione al mancato esame di domande o eccezioni di merito, ma solo ad una nullita’ della decisione per violazione di norme processuali diverse dall’articolo 112 c.p.c., se ed in quanto si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data alla problematica prospettata dalla parte (cfr. Cass., Sez. 6, 12 gennaio 2016, n. 321; Cass., Sez. 1, 26 settembre 2013, n. 22083; Cass., Sez. 3, 24 novembre 2005, n. 24808). Cio’ posto, si osserva che la mera allegazione di un contratto diverso da quello indicato nel ricorso introduttivo, avvenuta peraltro all’udienza di trattazione, non incidendo sull’identificazione delle prestazioni poste a fondamento della domanda, non poteva considerarsi idonea a determinare un mutamento della causa petendi, non comportando l’introduzione di una situazione giuridica mai prospettata in precedenza o di un fatto costitutivo radicalmente diverso, tale da porre un nuovo tema d’indagine o da comportare uno spostamento dei termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo (cfr. Cass., Sez. 2, 28 gennaio 2015, n. 1585; Cass., Sez. 5, 20 luglio 2012, n. 12621; Cass., Sez. lav., 27 luglio 2009, n. 17457). Essa, risolvendosi nella mera precisazione del titolo in virtu’ del quale le predette prestazioni erano state effettuate, costituiva una mera emendatio libelli, consentita in sede di trattazione della causa, con la conseguenza che l’avvenuta considerazione della stessa ai fini dell’accoglimento della domanda non consentiva di ritenere viziata da ultrapetizione l’ordinanza di primo grado.

4. Con il quarto motivo, il cui esame risulta logicamente prioritario rispetto a quello del secondo e del terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 8-quinquies, comma 2, della Legge Regionale 18 luglio 2008, n. 24, articolo 3, comma 6, Legge Regionale n. 23 del 2006, articoli 7, 34 e 36, della L. 8 novembre 2000, n. 328, articoli 3 e 9, Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112, articoli 128 e segg., articoli 1322, 1341, 1342. 1350, 1362, 1363 e 2697 c.c. e dell’articolo 115 c.p.c., affermando che, nell’escludere la necessita’ della sottoscrizione del contratto da parte di essa ricorrente, la sentenza impugnata si e’ limitata a richiamare la disciplina normativa applicabile alla fattispecie, senza tenere conto delle previsioni contrattuali, non incompatibili con le relative disposizioni, che, al fine di assicurare il controllo sul livello di spesa sociosanitaria, individuavano come parte anche la Regione, richiamavano espressamente la Delib. n. 685 del 2002, che richiedeva la firma del rappresentante della Regione, ed imponevano la consegna di una copia del contratto al dipartimento regionale competente, al quale la Giunta regionale aveva delegato il compimento degli atti successivi.

4.1. Il motivo e’ fondato.

E’ infatti pacifico tra le parti che la domanda trae origine da una convenzione stipulata tra l’attrice e l’Asp di Cosenza ai sensi della Legge Regionale 7 agosto 2002, n. 29, articolo 3 e della Legge Regionale 18 luglio 2008, n. 24, articolo 13, con cui, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 8-quinquies, la Regione Calabria provvide dapprima a disciplinare gli accordi per l’acquisizione di prestazioni di assistenza ospedaliera con i soggetti, pubblici e privati, provvisoriamente accreditati, ed in seguito a dettare la disciplina definitiva in materia di autorizzazione, accreditamento, accordi contrattuali e controlli delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private. La stipulazione di tale convenzione, avvenuta senza la partecipazione della Regione, e’ stata ritenuta dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado idonea a giustificare l’imposizione a carico della stessa di una quota pari al 50% del corrispettivo delle prestazioni rese dalla struttura gestita dalla societa’ attrice, in virtu’ di quanto disposto dalla Legge Regionale 5 dicembre 2003, n. 23, la quale, nel procedere al riordino degl’interventi e del servizio pubblico in materia sociale ed assistenziale, all’articolo 7 individuo’, tra i predetti interventi, l’accoglienza presso strutture residenziali e semiresidenziali di persone anziane e disabili che non fossero assistibili a domicilio.

Con Delib. 30 luglio 2002, n. 685, infatti, la Giunta regionale, nel provvedere al recepimento del D.P.C.M. 14 febbraio 2001, recante un atto d’indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie, e del D.P.C.M. 29 novembre 2001, recante la definizione dei livelli essenziali di assistenza, pose a carico del Fondo Sanitario Regionale, nella misura del 100%, le prestazioni erogate dalle case protette per anziani, a decorrere dal 1 gennaio 2002; tale disciplina fu poi modificata dalla Legge Regionale 5 ottobre 2007, n. 22, articolo 17, il quale, integrando il testo della cit. Legge Regionale n. 23, articolo 7, lettera g), riparti’ in misura uguale le predette prestazioni tra il Fondo Sanitario Regionale ed il Fondo Sociale Regionale. In seguito. la disciplina in esame fu ulteriormente modificata dalla Legge Regionale 26 febbraio 2010, n. 8, articolo 32, la quale pose nuovamente a carico del Fondo Sanitario Regionale, per intero, gli oneri per le strutture socio-sanitarie: tale disposizione, impugnata dal Governo per inadempimento degl’impegni assunti dalla Regione in sede di accordo per il rientro dal disavanzo sanitario, fu tuttavia dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, per contrasto con l’articolo 117 Cost., comma 3 (cfr. Corte cost., sent. n. 123 del 2011).

Sulla base di tale disciplina, la sentenza di primo grado aveva ritenuto che la Regione, pur non avendo partecipato alla stipulazione della convenzione, fosse tenuta a rispondere per la quota del corrispettivo posta a carico del Fondo Sociale, escludendo a tal fine la necessita’ della sottoscrizione del direttore generale del Dipartimento regionale delle Politiche Sociali, prescritta dalla citata Delib. n. 685 del 2002: tale esclusione e’ stata confermata dalla sentenza impugnata in virtu’ del richiamo alla Legge Regionale n. 24 del 2008, articolo 13, comma 2, il quale demanda in via esclusiva alle aziende sanitarie la definizione degli accordi con le strutture pubbliche e private, sia pure sulla base dei piani annuali preventivi e delle valutazione dei bisogni di prestazioni, nell’ambito dei livelli di spesa e dei livelli assistenziali stabiliti dalla programmazione regionale; alla stregua di tale disposizione, la Corte di merito ha infatti affermato che il contratto stipulato per iscritto dal soggetto deputato allo scopo deve considerarsi idoneo a produrre effetti anche nella sfera della Regione, per quanto riguarda la corresponsione della quota imputata al Fondo Sociale Regionale.

4.1. Tale conclusione non trova peraltro giustificazione ne’ nelle modalita’ di gestione del Fondo Sociale Regionale, disciplinate dalla Legge Regionale n. 23 del 2003, ne’ in quelle d’instaurazione dei rapporti con le strutture pubbliche e private abilitate alla prestazione dei servizi sociosanitari, disciplinate dalla medesima legge e da quelle relative al Servizio Sanitario Regionale. Ai sensi dell’articolo 34, comma 2, della Legge Regionale citata, le risorse del Fondo vengono infatti gestite direttamente dal Settore Politiche Sociali della Regione soltanto nella misura del 10% e destinate alla realizzazione di progetti innovativi e sperimentali ed al finanziamento dell’aggiornamento e della formazione degli operatori pubblici e privati, mentre per il restante 90% sono ripartite annualmente tra i Comuni, cui spetta il cofinanziamento della realizzazione dei Piani di zona. Ai sensi degli articoli 13 e 25, le funzioni amministrative concernenti gl’interventi sociali svolti a livello locale erano affidate ai Comuni, ai quali competevano, tra l’altro, l’erogazione dei servizi, delle prestazioni economiche e delle attivita’ assistenziali, nonche’ l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza sui servizi sociali e sulle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, mentre alla Regione erano riservate, ai sensi degli articoli 11 e 25, esclusivamente funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento, comprendenti, tra l’altro, la definizione dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi sociali, e la definizione dei criteri per la determinazione delle tariffe corrisposte dai Comuni ai soggetti accreditati. E’ in quest’ottica che la Giunta regionale, con Delib. 8 ottobre 2007, n. 670, provvide a trasferire ai Comuni le risorse del Fondo Sociale finalizzate a soddisfare le obbligazioni derivanti da atti autorizzativi della Regione nei confronti delle strutture residenziali e semi-residenziali convenzionate, impegnando gli stessi a subentrare nei rapporti di cui alle convenzioni in atto, ed a trasferire le risorse rimanenti ai Comuni capofila dei Distretti Socio Sanitari, perche’ fossero utilizzate in relazione ai bisogni sociali del territorio di competenza.

Nel frattempo, era peraltro sopravvenuto il Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229, il quale, modificando il Decreto Legislativo n. 502 del 1992, aveva introdotto la nozione d’integrazione socio-sanitaria, comprendente tutte le attivita’ atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuita’ tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione, prevedendo l’integrazione su base distrettuale delle prestazioni di competenza dei Comuni con quelle di competenza delle aziende sanitarie locali e demandando la definizione dei relativi criteri alle Regioni (Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3 septies). A tal fine, esso aveva provveduto anche alla ridefinizione dell’istituto dello accreditamento (articolo 8-quater), demandando alle Regioni la disciplina degli accordi contrattuali con le strutture pubbliche e private accreditate e l’individuazione delle responsabilita’ spettanti alle Regioni stesse ed alle usl nella definizione di tali accordi (articolo 8-quinquies). Nell’ambito della Regione Calabria, la materia in esame costitui’ dapprima oggetto di una disciplina provvisoria, dettata dalla Legge Regionale 7 agosto 2002, n. 29, articolo 3, che demando’ alla Giunta regionale l’approvazione degli schemi tipo relativi agli accordi e ai contratti di cui all’articolo 8-quinquies, attribuendone la stipulazione ai direttori generali delle asl competenti per territorio, ed in seguito di revisione ad opera della Legge Regionale n. 24 del 2008, la quale ha ridefinito a sua volta la disciplina dell’accreditamento, in conformita’ dell’articolo 8-quater (articolo 11), confermando il conferimento alle asl della legittimazione a stipulare gli accordi con le strutture pubbliche ed i contratti con le strutture private, ma rinnovando l’affidamento alla Giunta regionale del compito di predisporre con proprio regolamento i relativi schemi, ed attribuendole, in aggiunta, quello di definire lo schema di riparto delle risorse tra le aziende sanitarie ed ospedaliere, distinte per tipologie di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie (articolo 13).

4.2. Alla stregua di tale disciplina, che demanda alle asl ogni potere d’intervento diretto in materia di assistenza socio-sanitaria, ivi compresa l’instaurazione di rapporti contrattuali con le strutture pubbliche e private chiamate a rendere le relative prestazioni in regime di accreditamento, riservando alla Regione esclusivamente compiti di programmazione, coordinamento e vigilanza, tra i quali e’ compresa anche la ripartizione tra le asl delle risorse economiche necessarie per l’effettuazione dei predetti interventi, deve escludersi che l’esecuzione delle prestazioni rese dalla societa’ attrice in favore degli assistiti abbia potuto far sorgere obbligazioni a carico della Regione, rimasta estranea alla stipulazione della convenzione con l’Asp di Cosenza, e comunque priva di ogni competenza al riguardo. Non puo’ condividersi, il richiamo della sentenza impugnata alla Legge Regionale n. 23 del 2003, articolo 7, che poneva a carico del Fondo Sociale Regionale una quota del corrispettivo delle predette prestazioni, trattandosi di una disposizione che, oltre ad essere stata superata dalla successiva evoluzione legislativa, non poteva comportare una responsabilita’ diretta a carico della Regione nei confronti delle strutture accreditate, essendo destinata ad assumere rilievo esclusivamente sul piano interno dei rapporti finanziari tra la Regione e l’asl competente per territorio. Significativo, in tal senso, e’ il preambolo della gia’ citata deliberazione n. 685 del 2002, nella parte in cui si riferiva alla Delib. Giunta Regionale 10 ottobre 2000, n. 643, con cui, richiamandosi del Decreto Legislativo n. 502 del 2002, articolo 3-septies, era stato previsto lo stanziamento in bilancio di maggiori somme per il pagamento delle rette da parte delle asl in favore delle strutture sociosanitarie private; nella medesima prospettiva, d’altronde, l’allegato alla Delib. n. 685, pur subordinando la validita’ degli accordi contrattuali alla sottoscrizione anche da parte del Dirigente Generale del 15 Dipartimento della Regione Calabria, o di un suo delegato, precisava che la documentazione relativa al pagamento doveva essere inviata alle asl, in tal modo lasciando intendere che, conformemente alla disciplina riportata, il corrispettivo era a carico dei predetti soggetti, ivi compresa la quota da imputarsi al Fondo Sociale Regionale. Pertanto, anche a voler ritenere che la Regione non potesse, con un proprio atto amministrativo, stabilire le condizioni di validita’ degli accordi in questione, i cui requisiti soggettivi andavano individuati sulla base delle competenze previste dalla disciplina legislativa di settore, dovrebbe comunque escludersi la possibilita’ di desumere dalla stipulazione degli stessi l’avvenuta instaurazione di un rapporto diretto con la Regione, ed il conseguente obbligo di quest’ultima di provvedere, sia pure parzialmente, al pagamento delle rette.

4.3. – Un’indiretta conferma dell’estraneita’ della Regione ai rapporti instaurati dalle asl con i soggetti operanti nell’ambito del settore socio-sanitario puo’ peraltro ricavarsi dalle vicende normative e giurisprudenziali che hanno riguardato, fino ad epoca relativamente recente, il pagamento dei corrispettivi dovuti alle farmacie per le prestazioni rese in favore degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale e la successione delle asl nei rapporti gia’ facenti capo alle usl.

A seguito dei provvedimenti amministrativi con cui alcune Regioni disposero. per agevolare il controllo dei dati ed accelerare la liquidazione delle rispettive spettanze, l’accentramento delle risorse finanziarie presso alcune unita’ sanitarie locali, denominate “capofila”, conferendo alle stesse il compito di provvedere alla emissione degli ordinativi di pagamento ed imponendo agl’interessati di far pervenire alle stesse le relative richieste e la documentazione prescritta, fu infatti ipotizzato un coinvolgimento diretto delle medesime Regioni nei relativi rapporti, ben presto escluso da questa Corte in virtu’ della considerazione, riferibile anche alla vicenda in esame, che, ai sensi dei principi informatori del Servizio Sanitario Nazionale e della L. 23 dicembre 1978, n. 833, articolo 48, le usl costituivano strutture operative degli enti pubblici territoriali, fornite di autonomia amministrativa, patrimoniale e contabile, e quindi direttamente legittimate all’instaurazione di rapporti giuridici, anche processuali, con i terzi, ai quali erano pertanto destinate a rimanere estranee le Regioni, cui la legge riservava esclusivamente il compito di regolare, programmare, coordinare e controllare l’attivita’ delle usl (cfr. Cass., Sez. 1, 30 luglio 1996, n. 6873; 11 marzo 1996, n. 1968; 12 maggio 1995, n. 5177). La questione, poi risolta nel senso della permanenza della legittimazione sostanziale e processuale dell’usl territorialmente competente, con esclusione della rilevanza esterna delle deliberazioni regionali, cui fu riconosciuta una portata meramente organizzativa, e della conseguente configurabilita’ di un’obbligazione a carico delle usl c.d. capofila (cfr. per tutte, Cass., Sez. Un., 1 luglio 1997, n. 5896), si ripropose. in termini diversi, a seguito della soppressione delle usl e dell’istituzione delle asl, disposta dal Decreto Legislativo n. 502 del 1992, cui fecero riscontro l’imposizione alle Regioni del divieto di far gravare sulle neocostituite aziende i debiti delle gestioni pregresse, e la conseguente insorgenza d’incertezze riguardo all’individuazione del soggetto tenuto a risponderne, nonche’ legittimato a stare in giudizio nelle relative controversie: in tal caso, diversamente da quanto accaduto in precedenza, il soggetto obbligato fu individuato nelle Regioni, in qualita’ di aventi causa ex lege delle disciolte usl, ma solo per effetto dei provvedimenti legislativi (L. 28 dicembre 1995, n. 549, articolo 2, comma 14) che avevano previsto la costituzione di apposite gestioni a stralcio, poi trasformate in gestioni liquidatorie, affidate ai direttori generali delle nuove aziende e facenti capo, in ultima analisi, proprio alle Regioni (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 3, 26 gennaio 2010, n. 1532; Cass., Sez. 1, 20 settembre 2006, n. 20412; Cass., Sez. lav., 15 settembre 2005, n. 18285).

Il confronto tra le predette vicende conferma che, al di fuori dei casi in cui sia la stessa legge a prevedere l’instaurazione di rapporti con i terzi, in virtu’ dell’inerenza dell’atto da cui derivano all’esercizio di funzioni proprie o all’intervento diretto nelle vicende di enti da essa dipendenti, la Regione rimane normalmente estranea alla concreta gestione dei servizi socio-sanitari, essendo titolare di competenze riguardanti esclusivamente la sfera della programmazione, del coordinamento e della vigilanza sugli enti operanti nel settore, con la conseguenza che, in mancanza di un’espressa disposizione di legge che lo consenta, non sono ad essa riferibili in via diretta gli effetti degli atti posti in essere dai predetti enti nell’esercizio delle rispettive funzioni. Una siffatta disposizione non e’ rintracciabile nel caso in esame, non potendo essere ravvisata ne’ nella Legge Regionale n. 23 del 2003, articolo 7, avente, come si e’ detto, una portata riferibile esclusivamente ai rapporti finanziari interni all’area dei servizi socio-sanitari, ne’ nella Legge Regionale n. 24 del 2008, articolo 13, il quale anzi, nell’attribuire esclusivamente alle asl la competenza in ordine alla stipulazione dei contratti con le strutture accreditate, depone chiaramente in senso contrario all’efficacia diretta di tali contratti nei confronti della Regione.

5. – Il ricorso va pertanto accolto, restando assorbiti gli altri motivi, con cui la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare in ordine alla difformita’ del contratto dallo schema approvato dalla Giunta regionale e per aver escluso l’invalidita’ dello stesso in relazione alla mancata rinuncia ai ricorsi pendenti dinanzi al Giudice amministrativo, alla mancanza di copertura finanziaria o all’inosservanza delle regole di evidenza pubblica, chiedendo, ai fini della risoluzione di quest’ultima questione, la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia UE.

6. – La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Catanzaro, che provvedera’, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il quarto motivo, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro, anche per la liquidazione delle spese processuali

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