Suprema Corte di Cassazione
sezione feriale
sentenza 23 settembre 2014, n. 38919
Ritenuto di fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Rimini, la Corte di Appello di Bologna ha assolto S.A. dai reati di ricettazione e di detenzione a fine di commercio di merci recanti marchi contraffatti (General Manicomio, Pablo Escobar, De Puta madre, Narcos, Hijo De Puta) perché questi, al momento della commissione dei fatti contestati, non erano stati registrati; diversamente per le merci recanti il marchio Guru, oggetto di registrazione, ha ritenuto la sussistenza dei reati contestati, ma ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art. 474 cod. pen. per essere il medesimo estinto per prescrizione e rideterminato la pena per il residuo reato di cui all’art. 648 cod. pen. in mesi tre di reclusione ed euro cento di multa.
Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito, il S. aveva esposto per la vendita all’interno del negozio del quale era titolare, unitamente a merce genuina, alcune decine di capi di abbigliamento recanti segni distintivi tali da interferire con i marchi originali; alcuni di questi erano stati depositati in tempo antecedente al sequestro ma non registrati; il solo marchio Guru risultava esser stato anche registrato.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Stefano Brandina.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 473, 474, 517 e 648 cod. pen.
Rileva il ricorrente che mentre il marchio riportato sulle merci detenute dal S. è costituito da una margherita a cinque petali, quello della Guru è rappresentato da una margherita a sei petali, sicchè da un canto non vi è luogo all’ipotesi di ‘contraffazione’ penalmente rilevante perché questa consiste in una riproduzione integrale dei marchio; dall’altro non vi è alcuna possibilità di confusione o di confondibilità tra i segni; al più potrebbe ipotizzarsi una forma di concorrenza sleale per imitazione servile ovvero ricondursi il fatto all’art. 517 cod. pen., proprio perché si tratterebbe di mera imitazione di altrui segni distintivi; reato che andrebbe comunque escluso stante la grossolanità dell’imitazione del marchio deducibile dalla scarsa qualità dei prodotti, dal confezionamento dozzinale, dal prezzo.
2.2. Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale per non aver la Corte di Appello esplicitato le ragioni per le quali ha inteso disattendere il motivo di gravame concernente la non configurabilità nel caso in esame del delitto di cui all’art. 474 cod. pen.
2.3. II terzo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione al ritenuto – dal ricorrente – rapporto di specialità corrente tra il reato di cui all’art. 474 cod. pen. e quello di cui all’art. 648 cod. pen., in forza del quale non potrebbe emettersi pronuncia di condanna per entrambi i reati.
2.4. Con un ultimo motivo si lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’art. 62bis cod. pen., in quanto la Corte di Appello ha negato l’attenuante in parola perché il S. deteneva per la vendita molteplici prodotti ingannevoli nonostante essa abbia ravvisato un illecito penale solo per la merce a marchio Guru; inoltre non ha considerato la tenuità del fatto e l’incensuratezza dell’imputato ed ha menzionato una mancata resipiscenza del medesimo senza dare adeguata motivazione al riguardo.
Considerato in diritto
3. II ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. Occorre premettere che il dato fattuale posto dal ricorrente a base del primo motivo di doglianza è affermato dalla Corte di Appello medesima: il marchio Guru riprodotto sulle merci sequestrate presso l’esercizio del S. è costituito da una margherita con cinque petali, laddove quello originario ne reca sei. Assume il ricorrente che ciò dà luogo ad una imitazione servile, peraltro penalmente irrilevante, perché nel concetto di contraffazione vi è unicamente la pedissequa riproduzione del segno distintivo registrato.
Orbene, la consolidata giurisprudenza di questa Corte è nel senso che il reato di cui all’art. 474 c.p. richiede, per la sua configurabilità, la falsa riproduzione degli elementi essenziali del marchio registrato nella loro interezza, ed ha per oggetto la tutela della fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno (il che esclude ogni rilievo della eventuale grossolanità della contraffazione e delle condizioni di vendita che siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno: Sez. 5, 21/9/2006, n. 33543, Cagnetti, rv. 235225; Sez. 5, 5/7/2006, n. 31451, Gningue, rv. 235214; Sez. 2, 22/9/2005, n. 34652, Mbaye, rv. 232501).
Assume quindi rilievo non soltanto la pedissequa riproduzione del marchio ma anche ogni riproduzione che, per quanto non perfetta, sia idonea a dare l’apparenza del marchio originale. Si è infatti affermato che l’art. 474 cod. pen. punisce la riproduzione integrale, emblematica e letterale del segno distintivo o del marchio (contraffazione) ovvero la riproduzione parziale di essi, realizzata in modo tale da potersi confondere col marchio o col segno distintivo protetto (alterazione).
Per contro, ai fini del delitto di cui all’art. 517 cod. pen. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci), è sufficiente che i nomi, marchi o segni distintivi, portati dai prodotti posti in vendita, risultino semplicemente ingannevoli, per avere anche pochi tratti di somiglianza con quelli originali, della cui morfologia siano, comunque, solo imitativi e non compiutamente riproduttivi (in tal senso, Sez. 5, n. 5427 del 07/04/1995 – dep. 12/05/1995, Parisi, Rv. 201326; e poi, tra le altre, Sez. 5, n. 13322 del 23/01/2009 – dep. 25/03/2009, Liang e altro, Rv. 243937)
La Corte distrettuale, che ha ravvisato nella fattispecie gli estremi della contraffazione, stante la sostanziale identità del logo rispetto a quello originale (“la mera comparazione tra il logo presente sulle maglie in oggetto di contestazione e il logo in cui consiste il marchio originale permette immediatamente di percepire che, al di là della presenza di un petalo in più o in meno, la stilizzazione grafica della margherita è, nei due casi, del tutto identica’), ha quindi argomentato con piena adesione ai pertinenti referenti normativi; né sussiste la pretesa carenza motivazionale di cui al secondo motivo.
3.2. Per quanto concerne il concorso fra il reato di cui all’art. 474 cod. pen. e quello di cui all’art. 648 cod. pen., le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno chiarito che esso è ammissibile, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore (Sez. Un. 9/5-7/6/2001, n. 2347, Ndiaye, riv. 218771; conforme Sez. 2, n. 12452 del 04/03/2008 – dep. 20/03/2008, P.G. in proc. Altobello, Rv. 239745)
Anche su tale tema la decisione impugnata si pone quindi nell’alveo della disciplina giuridica attualmente vigente.
3.3. Infine, manifestamente infondato è il motivo concernente il diniego delle attenuanti generiche. Invero, non vi è alcuna incompatibilità giuridica o logica tra l’aver confermato la condanna del S. esclusivamente in relazione alla detenzione per la vendita dei prodotti con il falso marchio Guru e la valorizzazione della circostanza della detenzione di una più ampia gamma di prodotti a marchio contraffatto, ancorchè non punibile. La irrilevanza penale di tale precipua condotta nulla toglie alla idoneità della stessa di dare conto della personalità del S. e della opzione fatta per “modalità commerciali a dir poco disinvolte e censurabili”, come rimarcato dalla Corte di Appello.
Tanto vale ad indirizzare anche l’esame degli ulteriori rilievi dell’esponente: come stabilmente affermato da questa Corte, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche basta che il giudice del merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a consigliare o meno la concessione del beneficio, per cui anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato o alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti stesse.
4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Segue al rigetto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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