Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, puo’ legittimamente negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato

Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 20 aprile 2018, n. 17974.

Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, puo’ legittimamente negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, in quanto il principio del “ne bis in idem” sostanziale non preclude la possibilita’ di utilizzare piu’ volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad elementi la cui determinazione e’ rimessa al prudente apprezzamento dell’Autorita’ decidente.

Sentenza 20 aprile 2018, n. 17974
Data udienza 26 ottobre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAVANI Piero – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 20.12.2016 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macri’;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 20.12.2016 la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano in data 23.5.2014, ha ridotto la pena inflitta a (OMISSIS) ad anni 1, mesi 11 di reclusione cui ha adeguato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, per i reati, capo A) Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, comma 1 e 2, e articolo 110 c.p., per l’uso di fatture inesistenti al fine di riportare nelle dichiarazioni annuali dei redditi e dell’IVA anno 2008 elementi passivi fittizi per un imponibile complessivo di Euro 373.154,00 e di IVA di Euro 74.630,80, in (OMISSIS); capo B) articolo 110 c.p., articolo 81 cpv. c.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, commi 1 e 2, perche’ aveva emesso una fattura di Euro 564.767,00 per un’operazione inesistente, onde consentire ad altra societa’ di evadere le imposte sui redditi o sull’IVA per l’anno d’imposta 2008, in (OMISSIS); capo C) articolo 110 c.p., articolo 81 cpv. c.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater, perche’ non aveva versato le somme dovute utilizzando nell’anno 2009 in compensazione ai sensi del Decreto Legislativo n. 241 del 1977, articolo 17, crediti non spettanti o inesistenti per Euro 360.527,45, in (OMISSIS); reati aggravati dalla recidiva specifica infraquinquennale.
2. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in ordine alla valutazione della prova ex articolo 192 c.p.p., comma 3, quanto alla sua responsabilita’ come amministratore di fatto.
Espone: a) che ne’ nella fase delle indagini preliminari ne’ nel dibattimento erano emersi elementi indiziari utili alla sua qualificazione come amministratore di fatto della (OMISSIS) S.r.l., giacche’ tale giudizio era derivato dalle sentenze irrevocabili relative ad altri soggetti, in particolare all’amministratore di diritto che era stato assolto, acquisite ai sensi dell’articolo 238 bis c.p.p., ma non congruamente valutate ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 3; b) che la Corte territoriale aveva altresi’ richiamato le dichiarazioni del funzionario dell’Agenzia delle Entrate, il quale si era limitato ad affermare che esso imputato si era qualificato come consulente del lavoro, aveva risposto alle domande sulle questioni contabili della societa’ ed aveva messo in contatto gli Operanti con (OMISSIS), amministratore di diritto; c) che la Corte territoriale aveva valorizzato le seguenti ulteriori circostanze, la partecipazione come socio di minoranza al 5% della societa’ che aveva sede nello stesso edificio ove si trovava il suo ufficio, che nel medesimo stabile era custodita anche la documentazione contabile e che egli si occupava della contabilita’ della societa’ e dell’amministrazione del personale; d) che gli elementi indicati, lungi dal fondare la sua qualita’ di amministratore di fatto, erano espressione del normale rapporto professionale che legava il commercialista alla sua cliente; e) che la Corte territoriale aveva sostenuto in modo paradossale che gli elementi desumibili dalla sentenza irrevocabile a carico del (OMISSIS) fossero corroborati dai riscontri sopra indicati e che si potesse parlare di un effettivo esercizio di poteri d’amministrazione se egli aveva dimostrato documentalmente di essersi limitato a curare la contabilita’, l’amministrazione del personale dal punto di vista contabile, ma non amministrativo; f) che la Corte territoriale aveva omesso di richiamare quanto affermato all’udienza del 26.2.2014, pag. 16 ed indicato a pag. 4 dell’atto d’appello, e cioe’ che, durante il controllo, egli non aveva mai dato indicazioni sull’operativita’ della societa’, ma solo sulle questioni contabili, in perfetta coerenza con il suo ruolo, ma in altrettanta perfetta discordanza con l’asserito presunto ruolo di amministratore di fatto.
Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), con riferimento alla sussistenza oggettiva dei reati contestati. La Corte territoriale, ritenuto che egli fosse amministratore di fatto, si era limitata a trarne apoditticamente la conseguenza che gli fossero attribuibili i reati indicati in epigrafe senza motivare anche in ordine ai reati ascritti.
Con il terzo motivo, deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), con riferimento alle circostanze attenuanti generiche. Il Tribunale aveva escluso le attenuanti generiche in virtu’ del suo ruolo di amministratore di fatto, con la conseguenza di una doppia penalizzazione, perche’ lo stesso fatto era stato posto a fondamento sia dell’applicazione della recidiva infraquinquennale sia del diniego delle attenuanti generiche. Sulle circostanze generiche, la Corte territoriale aveva utilizzato delle formule di stile quali l’inesistenza di valide ragioni per addivenire a tale riconoscimento, mancando elementi positivi suscettibili di indurre alla concessione delle attenuanti. Si trattava di una motivazione apparente e standardizzata che non aveva risposto alla specifica doglianza mossa nel ricorso in appello.
Con il quarto motivo, lamenta la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancata motivazione in ordine all’omessa applicazione della sospensione condizionale della pena. Nel ricorso in appello, aveva evidenziato di non aver fruito del beneficio della sospensione condizionale della pena perche’ la precedente condanna specifica era stata assorbita dall’indulto.
Chiede quindi l’annullamento della sentenza impugnata senza o con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per violazione delle norme sulla prova, per mancanza o illogicita’ della motivazione sull’esistenza dei reati contestati, per mancanza della motivazione sul diniego delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
3.1. Il primo motivo sollecita un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto che sono state congruamente valutate dai Giudici di merito.
Ed invero, che l’imputato sia stato individuato come amministratore di fatto della (OMISSIS) S.r.l. e’ emerso da una serie di elementi indiziari tutti convergenti: a) le dichiarazioni dell’amministratore di diritto, (OMISSIS), il quale, in altro procedimento, aveva affermato di essere stato chiamato a rivestire la carica, proprio dall’imputato, e che solo nel maggio 2010, dopo le verifiche dell’Agenzie delle Entrate, aveva dismesso il mandato, essendosi avveduto di alcune irregolarita’; peraltro l’imputato gli aveva nominato l’avvocato ed intimato di non rispondere al processo per ottenere rinvii che avrebbero portato alla prescrizione dei reati; b) la (OMISSIS) S.r.l. ed altre societa’ coinvolte negli illeciti avevano tutte sede nell’immobile ove si trovava lo studio dell’imputato; c) l’imputato era socio di minoranza della societa’ ed era in grado di rispondere a tutte le domande dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate; d) il (OMISSIS) era un ingegnere informatico e non aveva cognizione delle modalita’ di gestione della societa’; e) l’imputato aveva imposto la nomina del (OMISSIS) quale amministratore della societa’ titolare della partecipazione maggioritaria nell’ambito della (OMISSIS) S.r.l. e gli aveva fatto firmare gli assegni di cui aveva deciso l’emissione.
Orbene, neanche il ricorrente mette in discussione l’uso degli accertamenti compiuti nelle sentenze irrevocabili richiedendo pero’ la valutazione accurata della prova ai sensi dell’articolo 187 c.p.p., e articolo 192 c.p.p., comma 3.
Sennonche’, a differenza di quanto opinato nel ricorso, le dichiarazioni del (OMISSIS) sono state riscontrate da numerosi elementi, peraltro di per se’ sufficienti a rappresentare il ruolo di amministratore di fatto, tutti enunciati dai Giudici di merito ed apprezzati globalmente. La motivazione non e’ manifestamente illogica ne’ contraddittoria, anzi appare solida e convincente.
Peraltro, il ricorrente, nel focalizzare la sua attenzione sull’accertamento del ruolo di amministratore di fatto, non ha svolto alcuna considerazione sulla contestazione del concorso di cui all’articolo 110 c.p., in tutti e tre i capi d’imputazione.
3.2. Parimenti inammissibile e’ il secondo motivo di ricorso sull’imputabilita’ dei reati, giacche’ il tema, a differenza di quanto dedotto, non e’ stato affatto esplorato nell’atto d’appello, in cui, anzi, non e’ stata messa in discussione la falsita’ delle fatture, riferita semmai all’amministratore di diritto ed ai soggetti operativi ma non al commercialista. Anche la questione delle modalita’ di pagamento delle fatture e’ irrilevante e comunque costituisce un argomento, ben evidentemente non recuperabile in questa sede.
3.3. Quanto alla motivazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche, sia il primo Giudice che il secondo hanno valorizzato i precedenti penali. La Corte territoriale ha escluso la presenza di elementi positivi suscettibili di indurre alla relativa applicazione stante la condanna per associazione a delinquere e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Che uno stesso fatto possa essere utilizzato a fondamento sia del diniego delle attenuanti generiche sia dell’applicazione della recidiva e’ acquisizione pacifica della giurisprudenza. Si veda tra le piu’ recenti Sez. 6, n. 47537/13, Quagliara, Rv. 257281, secondo cui il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, puo’ legittimamente negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, in quanto il principio del “ne bis in idem” sostanziale non preclude la possibilita’ di utilizzare piu’ volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad elementi la cui determinazione e’ rimessa al prudente apprezzamento dell’Autorita’ decidente.
3.4. Infine, quanto al diniego della sospensione condizionale della pena e della non menzione, la Corte territoriale ha ritenuto che il precedente penale specifico fosse sintomatico della proclivita’ dell’imputato a commettere ulteriori reati di genere analogo, confermando il giudizio di primo grado. Tale valutazione e’ giuridicamente corretta, sebbene il precedente sia stato oggetto d’indulto, perche’ questo beneficio ha ad oggetto la pena e non il reato (si vedano Sez. 1, n. 5689/2015, Mercurio, Rv 262464 e con un’applicazione del medesimo principio in materia di recidiva, piu’ recentemente, Sez. 1, n. 48405/2017, F., Rv 271415), sicche’ il suo riconoscimento non incide nel senso di escludere il precedente rilevante ai fini del rigetto dei benefici di legge.
3.5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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