Il diritto di prelazione concesso all’affittuario ai sensi della L. Fall., articolo 104-bis, comma 5

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3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 111 Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per mancanza nel provvedimento impugnato del minimo motivazionale costituzionalmente garantito, in presenza di una motivazione meramente apparente o perplessa.

In tesi di parte ricorrente il decreto impugnato avrebbe offerto una motivazione solamente apparente, poiche’ nel compiere ed illustrare la propria attivita’ di scienza il Tribunale non aveva fatto alcun riferimento allo svolgimento del processo ne’ aveva individuato i motivi posti a sostegno dei due reclami, dato che aveva omesso di illustrare il primo motivo di ciascun reclamo, aveva individuato il motivo subordinato in modo non corrispondente alla prospettazione del reclamante, era andato alla minuziosa ricerca di atti di nessun significato e funzionali al proprio progetto decisionale e aveva trascurato fatti oggettivi di assoluto rilievo per la sussunzione delle vicende in esame nella fattispecie legale; l’attivita’ di giudizio era poi stata svolta, al fine di escludere che il soggetto che aveva esercitato la prelazione si fosse sostituito nella posizione negoziale dell’acquirente e fosse divenuto proprietario per effetto dello scambio dei consensi, tramite l’illustrazione di considerazioni che non trovavano conforto alcuno in disposizione di legge o massime giurisprudenziali. Analogo vizio affliggeva la motivazione con cui era stato rigettato il terzo motivo di reclamo, poiche’ il Tribunale, nello svolgere l’attivita’ di scienza, aveva pretermesso la ragione fondamentale posta a base della doglianza e aveva ricostruito a suo piacimento i fatti di causa e, nel compiere l’attivita’ di giudizio, non aveva trovato alcun sostegno normativo al progettato rigetto.

Infine l’affermazione secondo cui sussistevano i presupposti di cui alla L. Fall., articolo 107, comma 4, costituiva – a dire della ricorrente – una motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dato che in precedenza il collegio del reclamo aveva fatto costante riferimento alla sussistenza dei poteri riconosciuti al G.D. dalla L. Fall., articolo 108.

Il secondo mezzo di impugnazione lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’articolo 112 c.p.c., a causa dell’omessa pronuncia sul primo motivo di entrambi i reclami.

Tali atti di gravame presentati denunciavano, in primo luogo, la mancanza assoluta di potere del G.D. ad assumere i provvedimenti impugnati e lamentavano poi, con il secondo motivo di gravame, la violazione del diritto di proprieta’ sui beni del fallimento acquisiti con la conclusione del contratto di vendita; cio’ nonostante il Tribunale aveva mal interpretato i motivi di doglianza omettendo in seguito di valutare la totale assenza di potere denunciata.

Con il terzo motivo la sentenza impugnata e’ censurata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in ragione dell’omessa pronuncia sul terzo motivo illustrato all’interno di entrambi i reclami, con cui si era sostenuto che i provvedimenti erano stati presi al di fuori del perimetro normativo previsto dalla L. Fall., articoli 107 e 108.

Il quarto motivo di ricorso adduce la violazione della L. Fall., articoli 104-bis, 104-ter, 105 e 108, articoli 1321, 1326, 1372 e 1376 c.c., articoli 101 e 102 Cost. e articolo 113 c.p.c., in conseguenza dell’affermazione del principio secondo cui l’esercizio del diritto di prelazione non puo’ avvenire al di fuori della procedura di vendita fallimentare.

Il Tribunale, nonostante avesse ammesso che secondo il diritto comune si era perfezionata una vendita tra la curatela del fallimento e la prelazionaria per effetto della denuntiatio del curatore e l’accettazione di tale proposta, si era abbandonato ad argomentazioni non pertinenti e inidonee a fondare la decisione assunta, dato che: 1) la piu’ recente formulazione della L. Fall., articolo 104-bis, comma 5, era stata adottata proprio per risolvere il problema dell’adeguamento del meccanismo proprio della concessione del diritto di prelazione con i fini delle vendite coattive, volti al conseguimento del massimo risultato nell’interesse dei creditori; 2) il contratto di vendita dell’immobile si era concluso, ai sensi dell’articolo 1376 c.c., nel momento in cui il curatore aveva conosciuto l’accettazione del prelazionario; 3) il riferimento alla L. Fall., articolo 108, comma 2, era improprio, poiche’ tale norma prevede un potere di purgazione da esercitarsi a vendita gia’ avvenuta; 4) la vendita conclusa in applicazione di una regola di diritto privato e in coerenza con le modifiche dell’originario programma di liquidazione non poteva certo essere conclusa con l’emissione di un decreto di trasferimento; 5) il collegio non aveva tenuto conto del contenuto della lettera indirizzata dal notaio, chiaramente incaricato di svolgere un trasferimento pattizio tramite la redazione di un contratto di vendita, a (OMISSIS) s.r.l., valorizzando invece un refuso, costituito dal riferimento all’articolo 587 c.p.c., per escludere l’esistenza di un rapporto convenzionale regolato dalle norme sui contratti.

Con il quinto motivo il ricorrente critica, per violazione della L. Fall., articoli 107 e 108, le ragioni addotte nel provvedimento reclamato per ritenere infondato il terzo motivo illustrato in entrambi i reclami; il Tribunale, nel riconoscere la sussistenza dei presupposti di cui alla L. Fall., articolo 107, aveva all’evidenza erroneamente affermato che il G.D. aveva a ragione preso un provvedimento che tale norma riserva alla competenza del curatore.

4. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053/2014).

In particolare il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del suo ragionamento (Sez. 6-5, n. 9105/2017; Sez. 5, n. 9113/2012). Piu’ in particolare al fine di non incorrere nella motivazione apparente, equiparabile a difetto assoluto di motivazione, il contenuto della motivazione deve comprendere sia il racconto del processo dinamico di formazione dell’atteggiamento psicologico del giudicante espresso nella decisione assunta, sia il racconto del risultato del passaggio logico dall’ignoranza, quale iniziale posizione statica, alla conoscenza sotto la specie del giudizio, quale posizione statica finale di approdo a seguito dell’attivita’ di acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto (cfr. Cass. 1450/2009).

Nello spiegare questi argomenti il giudice del merito deve compiere ed illustrare due distinte attivita’ nel processo di formazione del proprio convincimento enunciando in modo esaustivo l’iter logico giuridico che conduce alla decisione adottata: un’attivita’ di scienza, intesa quale conoscenza dei fatti e delle circostanze della causa, e un’attivita’ di giudizio, manifestando il ragionamento e la valutazione dei fatti prospettati dalle parti, nonche’ l’idoneita’ od inidoneita’ dei medesimi a fungere da elementi a sostegno della corretta risoluzione della controversia dedotta in giudizio (cfr. Cass. n. 9577/2013).

E’ percio’ possibile ravvisare una motivazione apparente nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice.

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