La massima
La sentenza di appello mancante della sottoscrizione del presidente del collegio non giustificata espressamente da un suo impedimento legittimo e firmata dal solo giudice estensore configura una nullità relativa che comporta l’annullamento senza rinvio e la restituzione degli atti affinché si provveda alla sanatoria mediante nuova redazione della sentenza-documento.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE
SENTENZA 29 marzo 2013, n. 14978
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello dell’Aquila, con sentenza del 25 marzo 2011, depositata il successivo 15 aprile, in parziale riforma della sentenza in data 14 gennaio 2010 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sulmona, appellata dall’imputato F.A..R.D. – riconosciute le circostanze attenuanti genetiche giudicate equivalenti all’aggravante di cui all’art. 609-quater, quinto comma, cod. pen. – ha rideterminato la pena in quella di anni sei di reclusione, confermando nel resto la condanna di primo grado anche riguardo alle statuizioni risarcitorie in favore delle costituite parti civili.
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione personalmente il R. con cinque distinti motivi di gravame.
Con il primo motivo – che, per quello che si dirà, qui solo rileva – ha eccepito l’inosservanza di norme processuali per violazione dell’art. 546, comma 2, cod. proc. pen., in quanto la sentenza impugnata, pur recando la firma del giudice estensore, dr. F. , è priva della sottoscrizione del presidente del collegio che la ha emessa, la qual cosa ne determinerebbe la nullità.
3. In relazione a detto motivo di ricorso, la Terza Sezione penale, all’udienza del 14 marzo 2012 (con ordinanza depositata il successivo 4 maggio), ha rilevato – ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen. – l’esistenza di divergenti orientamenti giurisprudenziali sulla questione del vizio che affligge la sentenza di appello mancante, per fatto involontario, della sottoscrizione del presidente del collegio e firmata dal solo giudice estensore.
Per ognuno degli orientamenti diversi l’ordinanza cita una serie di pronunce. In sintesi, secondo il provvedimento, “per alcune di esse si tratta di mera irregolarità da sanare con la procedura di correzione di errore materiale da parte dello stesso collegio che ha emesso la sentenza, sicché è stata emessa pronuncia di trasmissione degli atti al giudice a quo per la correzione dell’errore materiale costituito dalla omessa sottoscrizione del presidente. Altre decisioni parlano egualmente di mera irregolarità ma escludono la correzione dell’errore materiale quando gli atti siano già stati trasmessi al giudice del gravame. Altre parlano di nullità relativa o più genericamente di nullità, che però investe solo la sentenza-documento e non la fase del giudizio ed il dispositivo, sicché la sentenza dovrebbe essere annullata con rinvio (ovvero senza rinvio con trasmissione degli atti) al medesimo collegio affinché sani la nullità con la rinnovazione dell’atto nullo. Altre ancora affermano che la nullità investe anche il giudizio, sicché l’annullamento deve avvenire con rinvio ad altro collegio per la rinnovazione dell’intero giudizio e non solo della sentenza-documento”.
A fronte dei plurimi e divergenti orientamenti anzidetti, l’ordinanza ha svolto alcune considerazioni, rilevando testualmente che: “Potrebbe distinguersi tra l’ipotesi di mancanza della sottoscrizione di un giudice monocratico (alla quale si riferiscono diverse delle decisioni richiamate) o di mancata sottoscrizione sia del presidente sia dell’estensore del collegio e quella di sottoscrizione solo parziale, per mancanza della sola firma del presidente o dell’estensore. Sembra inoltre potersi distinguere tra l’ipotesi di volontaria omissione di sottoscrizione da parte del presidente del collegio, nel qual caso la sentenza ben potrebbe ritenersi affetta da nullità assoluta o, probabilmente, da inesistenza, e l’ipotesi in cui la mancanza di sottoscrizione appaia derivante – come avviene nel caso in esame -da mera dimenticanza o disattenzione, ossia da mero errore materiale. Si tratta di un errore materiale, peraltro, riconducibile, a ben vedere, più che ai giudici del collegio, alla cancelleria, la quale non avrebbe dovuto pubblicare la sentenza prima che il presidente l’avesse sottoscritta. Sembrerebbe quindi eccessivo che ad un mero errore materiale avvenuto nella fase di pubblicazione della decisione, peraltro di competenza della cancelleria, debba necessariamente farsi conseguire la caducazione anche dell’intera fase del giudizio e della decisione, in relazione alla quale non è ravvisabile alcun vizio formale”. – “È dubbio pertanto che si tratti di una nullità, e non di una mera irregolarità, ossia, appunto, di un errore materiale. Non sembra invero che una siffatta interpretazione sia assolutamente esclusa dall’art. 546, comma 3, che appare riferirsi all’ipotesi di totale carenza di sottoscrizione o di omessa volontaria sottoscrizione e non ai casi di semplice errore materiale e di incompletezza di sottoscrizione. Sembrerebbe poi irrilevante, ai fini della qualificazione del vizio (irregolarità o nullità), la disposizione dell’art. 546, comma 2, che riguarda il sopravvenuto impedimento del presidente o dell’estensore”. – “Nemmeno sembrerebbe assolutamente esclusa una interpretazione dell’art. 130, comma 1, secondo periodo, cod. proc. pen. – alla stregua del principio di ragionevole durata del processo o del principio di ragionevolezza tout court – che permetta al giudice a quo di correggere l’errore materiale mediante l’apposizione della sottoscrizione mancante pur dopo l’impugnazione del provvedimento, eventualmente proprio a seguito di segnalazione e di rinvio del giudice del gravame. Ed invero la disposizione citata si riferisce ai casi in cui la correzione dell’errore materiale può essere fatta anche dal giudice della impugnazione ma non sembra escludere che essa possa continuare ad essere disposta dal giudice che ha emesso il provvedimento nei casi eccezionali – come quello in esame – in cui esclusivamente quest’ultimo potrebbe provvedere alla correzione. Peraltro, se ciò non fosse possibile, la disposizione ben potrebbe essere interpretata – come avvenuto da parte di alcune decisioni dianzi citate – nel senso che il giudice della impugnazione, senza annullare il provvedimento impugnato, possa limitarsi a trasmettere gli atti al giudice a quo per la sola correzione dell’errore materiale che egli non può effettuare”. – “In ogni caso, anche aderendo alla tesi della nullità, sembrerebbe doversi ritenere che questa investa esclusivamente la sentenza-documento e non anche il giudizio e la decisione, con la conseguenza che l’annullamento andrebbe comunque effettuato al medesimo collegio che ha emesso la sentenza impugnata, perché proceda soltanto ad una nuova redazione e deposito del documento, mediante l’apposizione della sottoscrizione mancante. Non sembra infatti decisivo il richiamo agli artt. 546, comma 3, e 547 cod. proc. pen. per affermare che, allorché si tratti di nullità ai sensi dell’art. 546, comma 3, non è possibile procedere alla correzione ex art. 547 e quindi non sarebbe possibile disporre il rinvio al giudice a quo ai solo fine di integrare la sentenza con gli elementi mancanti. Potrebbe difatti osservarsi che la mancanza parziale di sottoscrizione della sentenza da parte del solo presidente non integra una nullità ai sensi dell’art. 547, comma 3, ma appunto una ipotesi di mera incompletezza per dimenticanza o per errore materiale di un requisito della sentenza. Allo stesso modo, appare non decisivo il richiamo all’art. 623, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il quale ben potrebbe essere ragionevolmente interpretato nel senso che non imponga il rinvio ad altra sezione o ad altra corte d’appello qualora si tratti di una mera irregolarità o di una nullità relativa che può essere sanata mediante la apposizione della sottoscrizione mancante o la rinnovazione della sentenza-documento soltanto da parte del giudice che l’aveva emessa”.
4. Alla stregua delle considerazioni di cui si è dato conto dianzi, la Terza Sezione, al fine di non aggravare ulteriormente il contrasto, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite ex art. 618 cod. proc. pen. ed il Primo Presidente ne ha disposto la trattazione alla odierna pubblica udienza.
Considerato in diritto
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente “Se la sentenza di appello mancante della sottoscrizione del presidente del collegio e firmata dal solo giudice estensore configuri: a) una mera irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione dell’errore materiale anche dopo l’impugnazione della sentenza; b) una nullità relativa che comporti l’annullamento con rinvio al medesimo collegio affinché provveda alla sanatoria mediante nuova redazione della sentenza-documento; c) una nullità che investe l’intero giudizio, tale da comportare l’annullamento con rinvio ad altro collegio per la rinnovazione del giudizio medesimo”.
2. Sulla questione del vizio che inficia la motivazione del provvedimento collegiale (indifferentemente sentenza o ordinanza), sottoscritto dall’estensore ma non dal presidente del collegio, senza che vi sia alcuna indicazione di impedimento sopravvenuto all’apposizione della sottoscrizione, si rinviene effettivamente un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, che ha espresso una pluralità di indirizzi riguardanti sia la natura della patologia che il rimedio consequenziale.
2.1. Un primo indirizzo sostiene che il vizio si individui nella mera irregolarità, suscettibile di sanatoria mediante la procedura di correzione dell’errore materiale senza limiti di tempo, e cioè anche dopo l’impugnazione della sentenza, ad opera dello stesso giudice che l’ha emessa (tesi della mera irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione dell’errore materiale anche dopo l’impugnazione della sentenza).
La Sesta Sezione – con la sentenza n. 36158 del 12/5/2008, Campolo – ha affermato: “Tale interpretazione appare quella più aderente al disposto dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen. il quale, nel prescrivere che la sentenza è nulla se manca la sottoscrizione del giudice, fa evidente riferimento alla sola ipotesi di mancanza assoluta della sottoscrizione. Al contrario, quando manca la firma del presidente o quella del giudice estensore, la sottoscrizione risulta incompleta ma non totalmente mancante; sicché si verte in ipotesi di vizio emendabile con la correzione, a norma dell’art. 547 cod. proc. pen.”.
Al riguardo già la Terza Sezione – con la sentenza n. 44657 del 16/11/2001, Ferrara – aveva rilevato che “l’art. 546, comma 3, cod. proc. pen. statuisce che la sentenza è nulla se manca la sottoscrizione del giudice. E questo va individuato, prima di tutto, nell’estensore della sentenza che ha provveduto alla redazione della motivazione e, poi, nel presidente che la sottoscrive ove la sentenza sia emessa dal giudice collegiale. La nullità della sentenza in caso di mancata sottoscrizione del giudice sussiste soltanto quando detta mancanza sia completa; il che non si verifica quando, pur essendovi la sottoscrizione del giudice estensore, manchi quella del presidente del collegio, risolvendosi in tal caso la detta mancanza in una mera irregolarità suscettibile di sanatoria mediante la procedura di correzione degli errori materiali. E tale interpretazione si trae dallo stesso comma 3 dell’art. 546 cod. proc. pen. che prevede la nullità della sentenza se manca o è incompleto il dispositivo e se manca la sottoscrizione del giudice (e non se è incompleta la sottoscrizione)”.
Lo stesso indirizzo è stato seguito dalla Sesta Sezione, con ordinanza n. 49886 del 09/12/2009, Legname, nonché dalla Prima Sezione, con la sentenza n. 23445 del 16/04/2003, Agozzino.
La conseguenza della riconosciuta emendabilità è stata individuata nell’ordine di trasmissione degli atti al collegio a quo ai fini della correzione dell’errore materiale.
2.2. Un altro orientamento prospetta, invece, la tesi della mera irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione dell’errore materiale soltanto fino all’impugnazione della sentenza.
In tal senso la Quinta Sezione – con la sentenza n. 6246 del 20/01/2004, Attinà – ha rilevato testualmente che la correzione a norma dell’art. 547 cod. proc. pen. “può avvenire solo da parte del giudice che ha emesso il provvedimento da correggere e non anche da parte del giudice dell’impugnazione, come è invece generalmente previsto dall’art. 130, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.; perciò deve ritenersi che la correzione sia possibile fino a quando gli atti non vengono trasmessi al giudice dell’impugnazione e che successivamente l’omissione della sottoscrizione non possa più essere emendata e diventi causa di annullamento della sentenza”.
2.3. Una diversa tesi giurisprudenziale disconosce l’operatività della correzione dell’errore materiale e configura un’ipotesi di nullità relativa, ai sensi dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen., comportante l’annullamento con rinvio al medesimo collegio per la sanatoria mediante nuova redazione della sentenza-documento.
La Quinta Sezione – con la sentenza n. 3544 del 10/07/2002, dep. 24/01/2003, Severini – ha osservato al riguardo che “la sottoscrizione del presidente del collegio immedesima il riscontro dell’espletamento della funzione essenziale e sostanziale, demandatagli dalle previsioni ordinamentali, di controllare la conformità della motivazione a quanto deliberato in camera di consiglio. Per modo che la mancanza correlativa non consente di verificare se tale funzione di garanzia sia stata effettivamente espletata e non realizza, per ciò, fattispecie di mera omissione materiale emendabile ex art. 130 cod. proc. pen.”.
Quanto agli effetti dell’annullamento, la Seconda Sezione – con la sentenza n. 43788 del 09/12/2010, Franzè – ha precisato che, “ai sensi dell’art. 185, comma 1, cod. proc. pen., la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo, ma non incide sulla validità degli atti antecedenti. Non può, perciò, esser disposto un nuovo giudizio, dato che il procedimento risulta essersi svolto correttamente sino all’emanazione del dispositivo letto in udienza […]. L’effetto dell’annullamento della sentenza – documento è dunque costituito soltanto dalla necessità di rinnovazione dell’atto nullo, ai sensi dell’art. 185, comma 2, cod. proc. pen., che non può che avvenire ad opera dei giudici i quali hanno partecipato alla deliberazione […]. Il processo deve dunque regredire, secondo quanto stabilito espressamente dall’art. 185, comma 3, cod. proc. pen., allo stato e grado in cui si è verificata la nullità rilevata, affinché il giudice che ha emesso l’atto dichiarato nullo possa redigere la nuova sentenza sottoscrivendola regolarmente. Ritornato nella fase post-dibattimentale, il processo riprenderà quindi il suo corso ai sensi dell’art. 548 cod. proc. pen., mediante un nuovo deposito in cancelleria della sentenza”.
Anche la Terza Sezione – con la decisione n. 10629 del 22/01/2003, Lombardo – aveva ravvisato un’ipotesi di nullità relativa della sentenza, da far valere a pena di decadenza nell’atto di gravame con esclusione della possibilità di formularla solo nel corso del giudizio di impugnazione (per tale ultima affermazione vedi pure Sez. 6, n. 3986 del 01/02/1996, Mazza, ove si rileva che la sottoscrizione attiene al momento formativo della documentazione e non a quello della decisione, sicché il processo deve regredire nel grado in cui l’atto nullo è stato compiuto – fase degli atti successivi alla deliberazione, in cui la sentenza-documento è stata redatta e sottoscritta – mentre, in base al fondamentale principio dell’autonomia funzionale degli atti, la detta declaratoria di nullità della sentenza non può invalidare anche la precedente fase del dibattimento).
Ne è stata fatta discendere la necessità di annullamento con rinvio “allo stesso giudice nella medesima composizione”, al quale viene demandato di provvedere alla rinnovazione dell’atto nullo attraverso una nuova redazione della sentenza da parte dell’estensore ex comma 2 dell’art. 546 cod. proc. pen. e un nuovo deposito in cancelleria, in tutto ciò seguendo le norme stabilite negli artt. 544-548 cod. proc. pen. (in tal senso vedi già Sez. 3, n. 3018 del 16/01/1997, Di Marco).
A tale impostazione hanno aderito anche altre pronunce relative al vizio di sentenza emessa da giudice monocratico e priva di sottoscrizione, tra cui Sez. 1, n. 12754 del 27/09/1999, Federici e Sez. 5, n. 1171 dell’I 1/03/1999, Vivallos Cruces.
2.4. Una lieve variante all’indirizzo precedente è rappresentata da quelle sentenze che, configurando pur sempre un’ipotesi di nullità relativa che non travolge tutti gli atti pregressi del procedimento e può essere sanata mediante rinnovazione della stesura del provvedimento dai componenti del collegio decidente, hanno affermato però che il processo di cassazione debba essere definito non con sentenza di annullamento con rinvio ma, piuttosto, con decisione di annullamento senza rinvio e contestuale ordine di trasmissione degli atti allo stesso giudice a quo ai fini della rinnovazione della sentenza-documento (tesi della nullità relativa comportante l’annullamento senza rinvio con trasmissione degli atti per la sanatoria mediante nuova redazione della sentenza-documento).
In tal senso si è pronunciata la Quinta Sezione, con la sentenza n. 7094 del 29/10/2010, dep. 23/02/2011, Cassano e, con riferimento al giudice monocratico, si sono espresse la Sesta Sezione, con la sentenza n. 23738 del 19/03/2010, Cascino, nonché la Quarta Sezione, con la sentenza n. 34293 del 13/07/2007, Mancino.
2.5. Un orientamento radicalmente diverso si pone nel senso che la sentenza mancante della sottoscrizione del presidente del collegio è affetta da nullità e va annullata con rinvio ai fini della celebrazione di un nuovo giudizio e non al solo fine di integrare la relativa omissione (tesi della nullità riguardante l’Intero giudizio e comportante l’annullamento con rinvio ad altro collegio per la rinnovazione del giudizio medesimo).
La Terza Sezione – con la sentenza n. 7959 del 13/01/2011, Pacilli – ha individuato nella mancata sottoscrizione “un’ipotesi di nullità relativa, che non può essere più sanata con la sottoscrizione mancante allorché gli atti siano stati trasmessi al giudice dell’impugnazione”. Ha altresì ritenuto, quanto alla necessità dell’annullamento con rinvio per un nuovo giudizio, che “l’art. 546 cod. proc. pen. non prevede, allorché si accerti la nullità della sentenza ai sensi del terzo comma di detto articolo, e quindi al di fuori della ipotesi della emendabilità del provvedimento ai sensi dell’art. 547 cod. proc. pen., la possibilità di disporre il rinvio al giudice a quo al solo fine di integrare la sentenza con gli elementi mancanti. Osta, inoltre, ad una diversa soluzione il tassativo disposto dell’art. 623, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., che impone il rinvio ad altra sezione della corte di appello o del tribunale nell’ipotesi di giudice collegiale ovvero che il processo sia trattato da un giudice diverso nell’ipotesi di tribunale monocratico”.
Tale impostazione era stata già sostenuta: dalla Quinta Sezione, con le sentenze n. 19506 del 28/04/2006, Guggiari e n. 35769 del 19/05/2004, Prestifilippo; nonché dalla Prima Sezione, con la sentenza n. 8077 del 26/06/1996, D’Avena.
2.6. Anche in relazione all’orientamento che precede, si riscontra poi una variante che, pur sostenendo che la sentenza mancante della sottoscrizione del presidente del collegio è affetta da nullità, individua le conseguenze nell’annullamento della stessa senza rinvio ma con trasmissione degli atti ai fini della celebrazione di un nuovo giudizio (tesi della nullità riguardante l’intero giudizio e comportante l’annullamento senza rinvio ma con trasmissione degli atti ad altro collegio per la rinnovazione del giudizio medesimo).
In tal senso si sono espresse: la Terza Sezione, con la sentenza n. 40025 del 13/10/2011, Quispe Huamani; la Prima Sezione, con la sentenza n. 429 del 24/01/1997, Triglia e con la sentenza n. 12723 del 04/10/1995, Nicoletti.
2.7. Per completare il quadro delle divergenze interpretative, va infine ricordato che – secondo un’isolata pronuncia della Seconda Sezione (n. 5223 del 17/10/2000, Pavani) – la sentenza, intesa come atto documentale della decisione comprensivo della relativa motivazione, deve ritenersi inesistente se priva della sottoscrizione dell’estensore (tesi dell’inesistenza). Tale inesistenza non può, tuttavia, comunicarsi al dispositivo, nel quale risulta già espressa la decisione del giudice. Ne consegue che, dovendosi ritenere senza effetti nel mondo giuridico un atto privo di sottoscrizione e perciò non attribuibile ad alcun soggetto, detta sentenza deve essere riprodotta con la data di pronuncia del dispositivo, nonché sottoscritta e depositata dallo stesso giudice persona fisica che l’ha pronunciata (nella specie è stata annullata, pertanto, la sentenza impugnata e disposta la trasmissione degli atti al giudice a quo per una nuova redazione della sentenza-documento).
3. A fronte del contrastante quadro interpretativo dianzi delineato, ritiene il Collegio di dovere affermare il seguente principio di diritto: “La sentenza di appello mancante della sottoscrizione del presidente del collegio non giustificata espressamente da un suo impedimento legittimo e firmata dal solo giudice estensore configura una nullità relativa che comporta l’annullamento senza rinvio e la restituzione degli atti affinché si provveda alla sanatoria mediante nuova redazione della sentenza-documento”.
4. Non può accogliersi la tesi della mera irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione dell’errore materiale.
L’art. 546 cod. proc. pen. dispone, infatti, che la sentenza deve contenere la data e la sottoscrizione del giudice (comma 1, lett. g) e il comma 3 dell’articolo medesimo espressamente indica nella nullità la mancanza della sottoscrizione del giudice, senza distinguere in alcun modo tra giudice collegiale o monocratico. Tale distinzione rileva, invece, per il caso che la sentenza collegiale non sia stata sottoscritta dal presidente per morte o altro impedimento, ma solo al fine di regolamentare la carenza di firma con la previsione che alla sottoscrizione provveda, previa menzione dell’impedimento, il componente più anziano del collegio.
Nel contempo l’art. 547 cod. proc. pen. ammette che si possa procedere anche di ufficio alla correzione della sentenza a norma dell’articolo 130 cod. proc. pen. ma soltanto “fuori dei casi previsti dall’articolo 546, comma 3”, il che esclude che alla mancanza di sottoscrizione del giudice possa ovviarsi con la correzione, essendo quest’ultima inapplicabile ai casi di nullità espressa.
Lo stesso articolo 130 cod. proc. pen., richiamato dall’art. 547 cod. proc. pen., esordisce, del resto, con l’affermazione per cui la correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti riguarda i casi in cui detti atti siano “inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità”.
Deve escludersi, dunque, l’applicabilità dell’art. 547 cod. proc. pen. alle ipotesi di nullità della sentenza.
Non appare condivisibile, al riguardo, l’orientamento secondo il quale esulerebbe dalla previsione del comma 3 dell’art. 546 cod. proc. pen. l’ipotesi di sottoscrizione incompleta della sentenza (per carenza alternativa della firma del solo presidente o del solo giudice estensore) in quanto la norma farebbe riferimento al solo caso di carenza assoluta (cioè totale) della sottoscrizione.
Già l’art. 475, n. 5, del codice di rito del 1930 sanciva, nella sua formulazione originaria, la nullità della sentenza qualora fosse mancante “della sottoscrizione dei giudici o di alcuni di essi”.
Dopo l’intervento della legge 8 agosto 1977, n. 532 (artt. 6 e 7) venne richiesta esclusivamente la firma dell’estensore e del presidente ed in relazione all’assenza di tali sottoscrizioni la nullità poteva configurarsi con riguardo a ciascuna di esse.
La novellata prescrizione è stata ribadita dall’art. 546, comma 2, del nuovo codice di procedura ed in relazione alla formulazione di tale disposizione va rilevato che – ove la sentenza sia emessa da un giudice collegiale – la duplicità delle firme è necessaria ed inscindibile ed il dato normativo non autorizza alcuna distinzione, tenuto conto che la sottoscrizione del presidente del collegio ha la funzione evidente di assicurare che il dispositivo corrisponda a quello pubblicato in udienza e che la motivazione si conformi ai singoli passaggi logici e procedimentali della deliberazione collegiale come disciplinati dall’art. 527 cod. proc. pen..
Non può spiegarsi altrimenti la disposizione del comma 2 del citato art. 546, secondo cui, quando il presidente non può sottoscrivere per morte o altro impedimento, sottoscrive in sua vece il componente più anziano del collegio mentre, se per le stesse ragioni non può sottoscrivere l’estensore, provvede il solo presidente. Proprio dal fatto che in casi estremi si può fare a meno della sottoscrizione dell’estensore ma non di quella del presidente (o di un suo vicario predeterminato) si desume che il legislatore ha affidato solo al presidente (o a un suo vicario) il controllo della conformità della sentenza-documento al dispositivo già pubblicato ed alla discussione-deliberazione camerale.
A parte l’eventualità che sia lo stesso presidente a provvedere personalmente alla redazione della motivazione (ex art. 154 disp. att. cod. proc. pen.) l’unico caso in cui il legislatore ammette una sottoscrizione monosoggettiva è quello in cui l’estensore sia impedito a sottoscrivere e sia fatta menzione di tale impedimento. Al di fuori di questo caso, minutamente disciplinato nel comma 2 dell’art. 546, la sottoscrizione monosoggettiva deve ritenersi mancante perché Incompleta e produce pertanto nullità della sentenza ai sensi del terzo comma.
4.1. La “nullità” riconnessa per espressa disposizione di legge all’omessa sottoscrizione del presidente del collegio deve configurarsi come relativa, perché non rientra tra le nullità di carattere assoluto o di ordine generale di cui agli artt. 178 e 179 cod. proc. pen..
In particolare la sottoscrizione della sentenza non riguarda la capacità e la costituzione del giudice: essa in realtà attiene al momento formativo della documentazione e non a quello della decisione e la sua funzione si ricollega alla motivazione in quanto i giudici certificano la loro paternità con riguardo al dispositivo sin dall’atto della lettura in udienza.
Per tale suo carattere, dunque, la invalidità predetta deve essere dedotta dalla parte, a pena di decadenza, nell’atto di gravame avverso la sentenza, con esclusione della possibilità di eccepirla nel corso del giudizio di impugnazione, essendo tale possibilità prevista solo per le nullità di ordine generale.
Trattasi poi di nullità che non travolge anche il giudizio in precedenza celebrato e della cui regolarità fanno fede sia il verbale di udienza sia il dispositivo letto in udienza.
Ne consegue che, in questa ipotesi, la sentenza deve essere annullata senza rinvio e gli atti devono essere restituiti al giudice che l’ha pronunciata esclusivamente per la mera rinnovazione dell’atto nullo, consistente nella nuova redazione della sentenza-documento.
4.2. Non deve essere disposto, invece, un nuovo giudizio, dovendosi tenere conto al riguardo dei principi fissati dall’art. 185 cod. proc. pen. (che ispirano anche la formulazione dei commi 4 e 5 dell’art. 604 cod. proc. pen. quanto alla individuazione dei poteri del giudice di appello nei casi di accertamento di nullità), secondo i quali:
– la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo (comma 1);
– il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione qualora sia necessaria e possibile (comma 2);
– la dichiarazione di nullità comporta le regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, salvo che sia diversamente disposto (comma 3).
La Relazione ministeriale al codice di rito vigente nulla specifica in ordine al primo principio, che si può definire di autonomia funzionale degli atti.
Si occupa espressamente, invece, degli altri principi e testualmente rileva:
“Quanto alla rinnovazione dell’atto dichiarato nullo, va osservato che essa è prevista solo se necessaria e possibile. È appena il caso di osservare che essa risulterà non necessaria qualora gli elementi che doveva fornire l’atto nullo siano stati acquisiti aliunde o qualora l’evolversi del processo abbia dimostrato l’inutilità dell’atto; risulterà impossibile quando non esistano più gli elementi indispensabili per la sua ripetizione. – Ciò che maggiormente interessa rilevare è il fatto che, se la rinnovazione non presenta particolari problemi qualora venga disposta dallo stesso giudice che ha compiuto o dinnanzi al quale è stato compiuto l’atto nullo, può risultare invece complessa se la dichiarazione di nullità avviene in una fase diversa rispetto a quella in cui la nullità si è consumata. Quest’ultima ipotesi pone infatti il problema della regressione del processo dalla fase in cui la nullità è dichiarata a quella in cui si è verificata. – Ad evitare, per quanto possibile, l’eccessiva dilatazione che il fenomeno della regressione spesso assume, ci si è ispirati al criterio – già seguito dal Progetto del 1978 – che il processo deve regredire alla fase in cui si è verificata la nullità solo nel caso in cui il compimento dell’atto nullo rientra nell’esclusivo potere del giudice di tale fase. Il che vale per i cosiddetti atti propulsivi, a cui si riferisce il comma 3, che peraltro fa salve diverse disposizioni di legge; non vale invece per gli atti di acquisizione probatoria, per i quali il comma 4 esclude un qualsiasi effetto di regressione e che pertanto, quando sia necessario (cioè si tratti di prove utili e rilevanti ai fini della decisione) e possibile (cioè si tratti di prove oggettivamente ripetibili), debbono essere rinnovati – salvo ovviamente per la Corte di cassazione – dallo stesso giudice che ha dichiarato la nullità” (Relazione ministeriale, Suppl. ord. n. 2 alla Gazzetta Ufficiale n. 250 del 24 ottobre 1988, pag. 58).
Anche sulla base della Relazione ministeriale si evince che il legislatore, nel disciplinare gli effetti conseguenti alla dichiarazione di nullità degli atti, ha inteso ispirarsi ad un generale principio di conservazione e di economia processuale, riducendo allo stretto necessario le conseguenze della nullità. Perciò: a) in base all’autonomia funzionale degli atti, ha stabilito che la declaratoria di nullità di un atto non invalida gli atti che sono funzionalmente indipendenti da quello nullo; b) in base al principio della rinnovabilità degli atti, ha stabilito che – ove necessario e possibile – l’atto nullo va rinnovato dallo stesso giudice che dichiara la nullità;
c) in base al principio della competenza funzionale esclusiva, ha stabilito che, ove sì tratti di atti propulsivi, che come tali rientrano nell’esclusivo potere del giudice che li ha emessi, il processo deve regredire allo stato o al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, affinché il giudice di quel grado e di quella fase provveda alla rinnovazione (sempre che sia necessaria e possibile).
In pratica, il giudice che dichiara la nullità di un atto, se non può provvedere direttamente al suo rinnovamento, deve rinviare il processo alla fase e al grado in cui la nullità si è verificata, affinché il giudice che emise l’atto nullo provveda alla rinnovazione.
Dall’individuazione dei principi anzidetti deriva che questa Corte, una volta dichiarata la nullità della sentenza impugnata per difetto di sottoscrizione, non potendo provvedere direttamente alla sua rinnovazione, deve rinviare il processo davanti alla Corte di appello che ha emesso quella sentenza, affinché il presidente e l’estensore dello stesso collegio giudicante provvedano alla rinnovazione della sentenza-documento annullata (con la possibilità di applicazione dell’art. 546, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen.).
Va affermato, pertanto, che:
– per il principio della competenza funzionale esclusiva, il processo deve regredire nella fase post-dibattimentale del grado di appello in cui l’atto nullo è stato compiuto e, più specificamente, nella sotto-fase degli atti successivi alla deliberazione in cui la sentenza-documento è stata redatta e sottoscritta;
– per il principio dell’autonomia funzionale degli atti, la declaratoria di nulNtà non può invalidare anche la precedente
fase del dibattimento.
Il giudice di appello provvederà alla rinnovazione dell’atto nullo attraverso una nuova redazione della sentenza da parte dell’estensore, una nuova sottoscrizione da parte del presidente e dell’estensore ai sensi del secondo comma dell’art. 546 cod. proc. pen., con successivo nuovo deposito in cancelleria, in tutto ciò seguendo le norme stabilite per questa sottofase negli artt. 544-548 cod. proc. pen..
Verrà così a riaprirsi la fase eventuale dell’impugnazione, giacché dalla notificazione e comunicazione dell’avviso di deposito decorrono nuovamente i termini per impugnare ex art. 585 cod. proc. pen..
Tale conclusione non trova ostacolo nel disposto dell’art. 623, comma 1 – lett. c), cod. proc. pen., allorché si consideri che il rinvio ad altra sezione della stessa corte di appello viene imposto dal legislatore qualora debba addivenirsi a nuovo “giudizio” (cioè ad una nuova valutazione della vicenda), mentre non si verte in tale situazione allorché la fase del giudizio si è ritualmente conclusa e deve procedersi soltanto alla rinnovazione della sentenza-documento.
4.3. Non può condividersi, infine, la tesi dell’inesistenza, poiché questa categoria dogmatica – elaborata dalla dottrina e ben distinta da quella della nullità assoluta per il fatto di travalicare lo stesso giudicato – rimanda essenzialmente ai casi talmente gravi da far perdere all’atto i requisiti “geneticamente” propri dello stesso, quali la emanazione della sentenza da organo o persona privi di potere giurisdizionale o la pronunzia della stessa nei confronti di imputato inesistente.
5. Appare opportuno evidenziare da ultimo – per completezza espositiva – che affatto diversa è la situazione giuridica disciplinata dall’art. 161 cod. proc. civ., ove viene prevista dal legislatore la nullità assoluta ed insanabile della sentenza mancante della sottoscrizione del giudice (prescritta dal precedente art. 132, comma secondo, n. 5, e comma terzo), rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità e comportante il rinvio della causa al medesimo giudice che ha emesso la sentenza carente di sottoscrizione, il quale viene investito del potere-dovere di riesaminare il merito della causa stessa e non può limitarsi alla mera rinnovazione della sentenza.
Tale previsione di nullità assoluta si ricollega alla stessa struttura del procedimento di formazione della decisione in sede civile, che generalmente è caratterizzato dall’assenza della redazione e della lettura del dispositivo in esito all’udienza di discussione, dovendosi altresì rilevare che anche nel rito speciale del lavoro ed In tutti i procedimenti governati da tale rito, ove è prevista la lettura del dispositivo in udienza, la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo delle statuizioni formali contenute nel dispositivo letto in udienza ma pure delle enunciazioni della motivazione dirette in modo univoco all’accertamento, all’attribuzione o alla negazione di un diritto ad una delle parti.
6. Per tutte le considerazioni dianzi svolte la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio e deve disporsi la restituzione degli atti alla Corte di appello dell’Aquila per la rinnovazione dell’atto nudo, da identificarsi nella sentenza-documento.
Restano assorbite, per la pregiudiziale rilevanza della questione preliminare, le doglianze articolate dal ricorrente negli altri quattro motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la restituzione degli atti alla Corte di appello dell’Aquila per la rinnovazione dell’atto nullo.
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