SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
S.U.P.
SENTENZA 24 novembre 2014, n.46625
Ritenuto in fatto
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Macerata, con sentenza in data 4 novembre 2014, resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., applicava la pena concordata dalle parti nei confronti di Z.A. , chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 186, comma 7, d.lgs 30 aprile 1992, n. 285 (cod. strada), con le aggravanti di cui al comma 2-sexies e 2-bis dello stesso articolo. La pena irrogata veniva dal giudicante sostituita con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada.
Il Giudice, nel dare atto della corretta qualificazione giuridica del fatto e della congruità della pena indicata dalle parti, osservava che non era applicabile al caso di specie il divieto di sostituzione di cui al comma 9-bis dell’art. 186 cod. strada, sul duplice rilievo che non era compiutamente dimostrato lo stato di ebbrezza del conducente che aveva procurato il sinistro stradale e che il rinvio effettuato dal comma 7 al comma 2, lett. c), deve ritenersi solo quoad poenam.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Macerata, che, con un unico motivo, ha denunciato la violazione di legge ed il vizio motivazionale.
Il ricorrente osserva che il giudice ha disposto la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, nonostante la sussistenza della condizione ostativa data dall’aggravante di aver provocato un incidente stradale ex art. 186, comma 2-bis, cod. strada. La norma di cui all’art. 186, comma 9-bis, esclude l’ammissione al beneficio nel caso in cui sussista l’aggravante di aver provocato l’incidente stradale e, ad avviso dell’Ufficio ricorrente, il responsabile del reato ex art. 186, comma 7, cod. strada, è da considerarsi ‘conducente in stato di ebbrezza’ ex lege, tanto che è assoggettato alle pene previste dal comma 2, lett. c), dell’art. 186 citato.
Erroneamente, pertanto, il giudice aveva considerato che non risultasse dimostrata la sussistenza dello stato di ebbrezza in cui versava lo Z. , al momento del fatto, poiché il prevenuto si era rifiutato di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza.
La Quarta Sezione penale, assegnataria del ricorso, con ordinanza in data 9 aprile 2015, depositata il 15 aprile, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, a norma dell’art. 618 cod. proc. pen., sulla base di un ravvisato contrasto di giurisprudenza.
3.1. Preliminarmente, nella citata ordinanza, il Collegio, ribadendo precedente giurisprudenza conforme, afferma che il giudizio di comparazione tra circostanze opera solo ai fini della quantificazione della pena e che detto bilanciamento non consente di escludere la rilevanza della circostanza oggetto di valutazione, qualora la legge riconnetta all’esistenza della stessa determinati effetti. Al riguardo si è osservato che il giudizio di comparazione tra le circostanze, che conduca alla esclusione di una aggravante sul piano sanzionatorio, non fa venire meno la configurazione giuridica del reato aggravato e, di conseguenza, la procedibilità di ufficio eventualmente prevista per lo stesso (Sez. 2, n. 24862 del 29/05/09, Randazzo, Rv.244340).
Con riferimento alla questione in rilievo è stato così affermato che, in tema di guida sotto l’influenza dell’alcool, non è applicabile la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità quando sussiste l’aggravante di aver provocato un incidente stradale, anche se la stessa è ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti eventualmente sussistenti, perché il giudizio di comparazione tra le circostanze che conduce all’esclusione dell’operatività dell’aggravante sul piano sanzionatorio non fa venir meno la configurazione giuridica del reato aggravato e, di conseguenza, gli effetti che la legge ricollega alla singola circostanza, pur se sfavorevoli per l’imputato (Sez. 4, n. 30254 del 26/06/2013, Colin, Rv. 257742).
3.2. Ciò premesso, sulla questione dell’astratta configurabilità della citata aggravante nell’ipotesi di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza, prevista dall’art. 186, comma 7 cod. strada, il Collegio evidenzia sussistere un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Da un lato, l’orientamento che sostiene la configurabilità di tale aggravante anche in ipotesi di rifiuto, valorizzando il rinvio che il comma 7 effettua al comma 2, lett. c), che, a sua volta, è richiamato dal comma 2-bis dell’art. 186, che prevede il raddoppio delle sanzioni di cui al comma 2 dello stesso articolo.
Dall’altro, l’orientamento opposto, che limita la configurabilità dell’aggravante al solo reato di guida in stato di ebbrezza, escludendo la sua applicabilità all’ipotesi del mero rifiuto, in assenza di espresso richiamo dell’ipotesi aggravata nella previsione del comma 7 dell’art. 186, circostanza che si ritiene non attribuibile a mera svista del legislatore o ad una mancanza di coordinamento tra le disposizioni.
Il Procuratore Generale, in data 7 luglio 2015, ha concluso per l’accoglimento del ricorso, riportandosi agli argomenti sostenuti dal ricorrente Procuratore della Repubblica e così osservando come l’applicabilità dell’aggravante del procurato incidente stradale anche all’ipotesi di rifiuto di sottoporsi all’alcoltest, risponda ad una “logica di chiusura del sistema ad una improvvida premialità per l’atteggiamento di resistenza del conducente all’accertamento dello stato di ebbrezza”, premialità che, ingiustamente, verrebbe riconosciuta all’autore del fatto, ove si accedesse a diversa soluzione interpretativa.
Con decreto in data 20 febbraio 2015, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’odierna udienza in camera di consiglio.
Considerato in diritto
La questione della quale sono investite le Sezioni Unite è enunciabile nei seguenti termini: ‘Se la circostanza aggravante prevista dall’art. 186, comma 2-bis, cod. strada in riferimento al reato di guida in stato di ebbrezza, sia applicabile anche al rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza di cui all’art. 186, comma 7, cod. strada’.
Sul tema, come esposto nell’ordinanza di rimessione, appare effettivamente sussistere un contrasto nell’ambito della giurisprudenza di legittimità.
2.1 Secondo una prima linea interpretativa, la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale non è configurabile rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza, stante la diversità ontologica di tale fattispecie incriminatrice rispetto a quella di guida in stato di ebbrezza. A sostegno dell’assunto vengono valorizzate ragioni di ordine sia sistematico sia testuale (Sez. 4, n. 22687 del 09/05/2014, Caldarelli, Rv. 259242).
Sotto il primo profilo, si evidenzia che l’art. 186, comma 7, cod. strada, ai fini del trattamento sanzionatorio, richiama espressamente il solo comma 2, lett. c), dello stesso art. 186, e precisamente solo “le pene di cui al comma 2, lett. c)”, e non anche il comma 2-bis.
Si rileva, inoltre, che a diverso avviso non può condurre il fatto che il comma 2 sia a sua volta richiamato anche dal comma 2-bis, disciplinante l’aggravante in oggetto, atteso che solo un richiamo in senso inverso (ovvero dal comma 2 al comma 2-bis) avrebbe potuto costituire argomento per postulare un indiretto collegamento sequenziale tra il comma 7 e il comma 2-bis, mentre tale collegamento non è predicabile per il solo fatto che entrambe queste ultime norme richiamano il comma 2; ciascuna, peraltro, per finalità evidentemente diverse (il primo per fissare le pene – non anche le sanzioni accessorie – da applicare alla diversa e autonoma fattispecie di reato che viene qui in considerazione; il secondo per disciplinare gli effetti della circostanza aggravante predetta sulle ipotesi di reato previste dal comma 2).
Nella stessa prospettiva, si attribuisce rilievo al collocamento sistematico della norma relativa all’aggravante subito dopo il comma 2 e si esclude che il mancato esplicito richiamo dell’art. 186, comma 7, cod. strada, alla circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale sia il portato di un difetto di coordinamento tra le diverse modifiche normative che hanno interessato le fattispecie di guida in stato di ebbrezza e di rifiuto, posto che entrambe le contravvenzioni sono state oggetto di reiterati e contestuali interventi riformatori.
Dal confronto tra le norme richiamate emerge, invece, in maniera evidente, la diversità ontologica tra il concetto di ‘conducente in stato di ebbrezza’, che è elemento costitutivo dell’aggravante, e quello di ‘conducente che si rifiuti di sottoporsi all’accertamento di tale stato’. In quest’ultimo caso, infatti, è implicita la mancanza (almeno nel momento perfezionativo del reato) di un accertamento dello stato di ebbrezza e, dunque, del presupposto necessario perché possa definirsi il soggetto attivo del reato come ‘conducente in stato di ebbrezza’ (come tale al contempo passibile di incorrere nell’aggravante descritta ove abbia provocato un incidente), essendo per l’appunto sanzionata la condotta di colui che si rifiuta di sottoporsi ad un tale accertamento.
Alle stesse conclusioni è pervenuta Sez. 4, n. 51731 del 10/07/2014, Crisopulli, Rv. 261568, che ha richiamato i principi sopra indicati.
2.2. Secondo un diverso indirizzo interpretativo, coevo a quello contrapposto, la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale è configurabile anche rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza, in quanto il richiamo dell’art. 186, comma 7, cod. strada, alle pene di cui al comma 2, lett. c), dello stesso articolo, deve necessariamente comprendere anche l’aggravante de qua perché il citato comma 2-bis (che prevede appunto tale aggravante) richiama a sua volta le sanzioni del comma 2 del medesimo articolo prevedendo il raddoppio delle stesse (Sez. 4, n. 43845 del 26/09/2014, Lambiase, Rv. 260602; Sez. 4, n. 9318 del 14/11/2013, dep. 2014, Stagnaro, rv. 258215).
Tanto premesso, il quadro normativo di riferimento è costituito dagli artt. 186, commi 2-bis, 7 e 9-bis, cod. strada.
L’art. 186, comma 2-bis, così recita: “Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al comma 2 del presente articolo ed al comma 3 dell’art. 186-bis sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all’illecito”.
L’art. 186, comma 7, prevede: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c)”.
L’art. 186, comma 9-bis stabilisce: “Al di fuori dei casi previsti dal comma 1-bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274”.
Va in primo luogo precisato che sia il comma 1-bis che il comma 7 sono stati entrambi oggetto di reiterati e contestuali interventi riformatori nel tentativo posto in essere dal legislatore di contrastare comportamenti alla guida pericolosi e sempre più diffusi, con gravi conseguenze sulla sicurezza delle strade. E va certamente rimarcato che il susseguirsi degli interventi legislativi in materia, caratterizzati spesso da scarsa chiarezza, ha determinato una persistente incertezza nella prassi applicativa, generando dubbi interpretativi, che hanno dato impulso ad una copiosa giurisprudenza di legittimità e di merito.
Limitando il richiamo alle norme rilevanti ai fini della soluzione del presente quesito, deve, in primo luogo, farsi riferimento al d.l. 3 agosto 2007, n. 117, contenente ‘Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza della circolazione’, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, la cui finalità era quella di ridurre i rischi connessi alla circolazione stradale attraverso un complessivo inasprimento delle sanzioni e la previsione di interventi volti a garantire i limiti di velocità.
Per quanto concerne, in particolare, la guida in stato di ebbrezza, la citata riforma ha elevato il blando trattamento sanzionatorio previgente, diversificando altresì le pene in tre distinte fasce di gravità, sulla base del tasso alcolemico rilevato nel conducente. Il decreto-legge sopra indicato ha, altresì, introdotto il nuovo comma 1-bis dell’art. 186, per il caso in cui il conducente in stato di ebbrezza provochi un incidente stradale. Le pene di cui al comma 2 sono in questo caso ‘raddoppiate’ ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centoottanta giorni, salvo che appartenga a persona estranea all’illecito.
Lo stesso decreto, tuttavia, contemporaneamente depenalizzava la condotta di rifiuto di sottoporsi alla verifica dello stato di ebbrezza, trasformandola in illecito amministrativo, soggetto alla sanzione pecuniaria da Euro 2.500 ad Euro 10.000. Se la violazione era commessa in occasione di un incidente stradale la sanzione pecuniaria prevista era da Euro 3.000 ad Euro 12.000.
Successivamente, il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, contenente ‘Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica’, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, a fronte del rilevante incremento del fenomeno degli incidenti stradali causati dall’abuso di alcool e stupefacenti, ha aggravato le pene per i reati di omicidio e lesioni personali colpose commessi per violazione della disciplina stradale ed ha ulteriormente inasprito le sanzioni dei reati di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, prevedendo, per le più gravi ipotesi previste dalla lettera b) e c) del comma 2 dell’art.186, la confisca del veicolo a seguito di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti.
La stessa riforma, all’art. 4, lett. d), ha, invece, nuovamente configurato come reato l’ipotesi di cui al comma 186, comma 7, ed ha parificato nella risposta sanzionatoria il rifiuto dell’accertamento alla violazione del divieto di guidare in stato di ebbrezza, prevenendo in tal modo potenziali sacche di impunità nei confronti del conducente, al quale, nel caso di rifiuto di sottoporsi all’accertamento di tale stato, sarà applicata la sanzione penale più elevata, perdendo l’opportunità di veder eventualmente dimostrato che il suo tasso alcolemico è inferiore agli 1,5 grammi per litro, con la conseguente irrogazione delle più miti pene previste dalle lett. a) e b) dell’art. 186, comma 2.
È da osservare che il nuovo testo dell’art. 186, comma 7, non prevede alcun riferimento all’ipotesi dell’incidente stradale.
Di rilievo, ai fini della presente decisione, è l’intervento riformatore della legge 29 luglio 2010, n. 120, che, ha depenalizzato la violazione meno grave (art. 186, comma 2, lett. a): tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro e non superiore a 0,8), sostituendo la sanzione penale con quella amministrativa del pagamento di una somma da 500 a 2.000 Euro e prevedendo la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi.
Con l’art. 33 la legge citata ha, altresì, introdotto nell’art. 186 anche un nuovo comma, il 9-bis, che attribuisce al giudice il potere di sostituire per non più di una volta la pena (sia detentiva che pecuniaria) applicata per le contravvenzioni di guida in stato di ebbrezza con quella del lavoro di pubblica utilità, salvo nel caso in cui il conducente abbia provocato un incidente.
Proprio tali contestuali modifiche normative inducono ad escludere che il mancato esplicito riferimento del comma 7 al comma 2-bis sia il risultato di un mero difetto di coordinamento e conducono a far ritenere che la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale non è configurabile rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza.
In tal senso depone innanzitutto il dato testuale, certamente significativo, che può trarsi dal raffronto tra la definizione normativa dell’aggravante di cui al comma 2-bis (“Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale […]”) e quella del reato di cui al comma 7 (“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto all’accertamento di cui ai commi 3, 4, 5, il conducente è punito […]”).
Dalla lettera delle norme citate emerge con evidenza la diversità ontologica tra il concetto di ‘conducente in stato di ebbrezza’, che costituisce elemento costitutivo dell’aggravante e quello di ‘conducente che si rifiuti di sottoporsi all’accertamento’, che presuppone la mancanza di accertamento dello stato di ebbrezza, perfezionandosi il reato, di natura istantanea, con il mero rifiuto di sottoporsi all’accertamento di tale stato, mentre risulta estraneo ogni accertamento dello stato di ebbrezza.
5.1. Il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. Sez. 4, n. 5909 del 08/01/2013, Giacone, Rv. 254792) integra un reato di natura istantanea che si perfeziona con la manifestazione di indisponibilità da parte dell’agente, non rilevando il successivo atteggiamento collaborativo di volersi sottoporre agli accertamenti medesimi. Il reato, infatti, si perfeziona con il rifiuto dell’interessato e dunque nel momento in cui l’agente ha espresso la sua indisponibilità a sottoporsi all’accertamento.
Perché il rifiuto possa integrare il reato di cui al comma 7, deve trattarsi di accertamento legittimamente richiesto in presenza di alcune delle condizioni previste dai commi 3, 4, 5, dell’art. 186 cod. strada.
L’art. 186, cod. strada, disciplina, ai citati commi 3 e 4, i presupposti e le modalità dell’esercizio del potere conferito agli organi di polizia. In difetto di tali presupposti, l’indagato può legittimamente rifiutarsi di sottoporsi all’accertamento e tale rifiuto non integrerà quindi reato, ma non perché scriminato dall’esercizio di un diritto, bensì perché quella condotta non potrà considerarsi integrare la fattispecie penalmente sanzionata (cfr. Sez. 4, n. 21192 del 14/03/2012, Bellencin, Rv. 252736).
Laddove invece quei presupposti sussistano, non è previsto dalla norma, né è ipotizzarle, un diritto di opporsi all’accertamento, idoneo a scriminare il reato che quel rifiuto di per sé integra ex art. 186, comma 7, cod. strada.
La norma di cui all’art. 186, comma 4, cod. strada, in particolare, prevede: “Quando gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3 hanno dato esito positivo, in ogni caso di incidente ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza di alcool, gli organi di Polizia stradale di cui all’art. 12, commi 1 e 2, […] hanno la facoltà di effettuare l’accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento”.
In presenza, dunque, delle dette condizioni (esito positivo degli accertamenti qualitativi di cui al comma 3, in caso di incidente, ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psico-fisica derivante dall’influenza dell’alcool), la richiesta degli operanti di sottoporre il conducente ad alcoltest è legittima, mentre, per contro, integra illecito penale ex art. 186, comma 7, cod. strada, il rifiuto oppostovi da quest’ultimo.
È stato, pertanto, ritenuto che integra il reato di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici la condotta di colui che, pur essendosi sottoposto a più accertamenti preliminari per la verifica dello stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza dell’alcool, ricusi di procedere all’alcoltest nonostante che l’ultimo di essi abbia dato esito positivo, in quanto l’art. 186, comma 3, cod. strada, non prevede limiti alla ripetizione delle prove preliminari, né pone condizioni alla facoltà degli agenti di procedervi, trattandosi di ‘accertamenti qualitativi non invasivi’ (Sez. 4, n. 51773 del 26/11/ 2014, Sculco, Rv. 261546).
Occorre rimarcare che proprio dal dato testuale del richiamato art. 186, comma 4, cod. strada (‘in ogni caso di incidente’) può trarsi un ulteriore argomento a favore della esclusione della possibilità di configurare come circostanza aggravante un elemento di fatto che costituisce il presupposto del reato semplice.
Dunque, può arrivarsi alla logica conclusione che il responsabile del reato di cui all’art. 186, comma 7, cod. strada, non è da considerarsi ‘conducente in stato di ebbrezza’ ex lege, concetto che costituisce elemento costitutivo dell’aggravante de qua.
5.2 In questo contesto appare opportuno evidenziare, al fine di ulteriormente giustificare la diversità ontologica delle due fattispecie incriminatrici, che la guida in stato di ebbrezza è costruita sulla base di tre ipotesi distinte, tutte qualificate dal quantum della condizione alterata dall’abuso dell’alcool.
È infatti pacifico che le ipotesi di guida in stato di ebbrezza previste rispettivamente dalle lettere a), b) e c) del comma 2 dell’art. 186 cod. strada, integrano fattispecie autonome, delle quali l’ipotesi meno grave di cui alla lettera a) (tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro) è stata depenalizzata con l’art. 33, comma 4, della legge 29 luglio 2010, n. 120: si tratta di disposizioni in ordine crescente di gravità, modellate sul tasso alcolemico accertato, che sono caratterizzate, tra loro, da un rapporto di reciproca alternatività e, quindi, di incompatibilità.
Sono, in tutta evidenza, ipotesi che, quale che ne sia la rilevanza (amministrativa o penale), si distinguono nettamente dal proprium della contravvenzione di rifiuto, laddove è punita solo la condotta omissiva del soggetto che ricusa l’accertamento, prescindendo dalla condizione, anche in ipotesi alterata, in cui tale soggetto si trovi. Il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcolemico si sostanzia, infatti, nella manifestazione di indisponibilità da parte dell’agente a sottoporsi all’accertamento: a tal fine, peraltro, non occorre che la condotta si concretizzi in un rifiuto verbale, essendo sufficiente anche una condotta indirettamente espressiva del rifiuto, quale quella di chi, pur edotto delle modalità di esecuzione del test e avvisato delle conseguenze del rifiuto, vi si sottoponga in modo strumentalmente inidoneo a consentire l’effettiva misurazione (v. Sez. 4, n. 5409 del 27/01/2015, Avondo, Rv. 262162: nella specie, era risultato accertato che l’imputato, sottoposto a più tentativi di misurazione, anziché soffiare nell’apparecchio, aspirava dallo stesso; e secondo la Corte, correttamente, essendo stato ripetuto tale comportamento per quattro o cinque volte, la sua condotta doveva considerarsi elusiva).
Proprio tale situazione conferma la diversità ontologica delle due fattispecie, che trova, del resto, ulteriore conforto dal quadro giurisprudenziale assolutamente conforme, che, coerentemente, ha sempre affermato l’autonomia delle fattispecie incriminatrici di cui al comma 2 e quella di cui al comma 7, con la conseguente possibilità di configurare l’eventuale concorso materiale tra le stesse (v., da ultimo, Sez. 4, n.13851 del 12/11/2014, dep. 2015, Fattizzo, Rv. 262870).
Detta autonomia è confermata dalla diversa ratio dei due precetti, integrata nell’ipotesi del reato di rifiuto, rispetto a quella dell’art. 186, comma 2, cod. strada, anche dall’ulteriore intento di impedire – attraverso la sanzione del rifiuto – il frapponimento di ostacoli nell’attività di controllo per la sicurezza stradale (in questo senso, oltre alla sentenza sopra indicata, anche Sez. 4, n.6355 del 08/05/1997, Mela, Rv. 208222).
Or bene, proprio la possibilità di configurare l’eventuale concorso materiale tra il rifiuto e la guida in stato di ebbrezza, sia pure, il più delle volte sub specie di rilievo amministrativo ex art. 186, comma 2, lett. a), consente di ritenere infondate le preoccupazioni formulate dal Procuratore Generale requirente, che, mostrando di aderire all’orientamento fatto proprio dal ricorrente, ha concluso per l’accoglimento del ricorso “in una la logica di chiusura del sistema ad una improvvida premialità” per l’atteggiamento di resistenza del conducente all’accertamento dello stato di ebbrezza.
Non è poi priva di valore ermeneutico la già evidenziata circostanza che con l’intervento di nuova penalizzazione del rifiuto, la fattispecie incriminatrice in esame non prevede più alcun riferimento all’ipotesi dell’incidente stradale, come invece nel testo normativo quando era costruita come illecito solo amministrativo, laddove, infatti, il coinvolgimento del conducente che rifiutava l’accertamento a seguito di un incidente stradale importava un aumento della sanzione amministrativa.
Non merita condivisione, pertanto, la linea giurisprudenziale secondo la quale la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale è configurabile anche rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza.
L’unico argomento adottato, fondato sul richiamo operato dall’art. 186, comma 1-bis, cod. strada, che prevede tale aggravante, alle sanzioni del comma 2 del medesimo articolo, delle quali è stabilito il raddoppio nel caso in cui il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, appare del tutto insufficiente a fondare il diverso ed opposto orientamento.
La norma incriminatrice (ossia l’art. 186, comma 7, cod. strada) richiama, infatti, il comma 2, lett. c), e non il comma 2-bis, dello stesso articolo, per fissare le pene – non anche le sanzioni accessorie – applicabili alla contravvenzione in esame, autonoma rispetto a quella della guida in stato di ebbrezza. Il comma 2-bis richiama, invece, il comma 2, per disciplinare gli effetti della circostanza aggravante predetta sulle autonome ipotesi di reato previste dal comma 2 dello stesso articolo (oltre che su quelle di cui al comma 3 dell’art. 186-bis).
Nessun elemento consente di apprezzare una reciproca interferenza tra le predette norme.
Possono a tal punto raccogliersi le file del discorso giustificativo sin qui svolto e trarsi la conclusione che deve essere affermato il seguente principio di diritto ai sensi dell’art. 173, disp att. cod. proc. pen.:
‘La circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale non è configurabile rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza, stante la diversità ontologica di tale fattispecie incriminatrice rispetto a quella di guida in stato di ebbrezza’.
Nel caso di specie la sentenza impugnata, nell’applicare la pena concordata dalle parti, per il reato di cui al comma 7 dell’art. 186, con l’originaria contestazione dell’aggravante specifica di cui al comma 1-bis del medesimo articolo, ha correttamente disposto la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’186, comma 9-bis, cod. strada.
Il principio di diritto, al quale si è conformato la sentenza impugnata, muove infatti, dalla non configurabilità della circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale, di cui al comma 2-bis, dell’art. 186, cod. strada, rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza, previsto dall’art. 186, comma 7, cod. strada.
Il ricorso proposto dal Pubblico ministero va, pertanto, rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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