Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

S.U.P.

sentenza 12 febbraio 2014, n. 6773

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso del 21 febbraio 2012 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale di Imperia in data 27 luglio 2012, con la quale, sull’appello proposto dal medesimo Pubblico ministero ex art. 322-bis cod. proc. pen., era stata confermata l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale di rigetto della richiesta di sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca di alcuni beni immobili riconducibili all’imputato C.B.F. ed aventi valore corrispondente all’ingiusto profitto dal medesimo conseguito in conseguenza della realizzazione delle illecite condotte descritte nel capo B) e relative al reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 40, comma secondo, 61, n. 7 e 9, e 640, comma secondo, n. 1, cod. pen..
La concessione aveva infatti trasferito ad un soggetto privato, la s.p.a. Porto d’Imperia, il diritto-dovere di costruire l’opera e di goderne lo sfruttamento economico per tutta la durata del provvedimento, con l’unica pretesa per l’Ente pubblico Comune di percepirne il canone, oltre che di controllare il corretto uso della stessa opera. Il Comune, come ente pubblico, oltre che il demanio, doveva ritenersi estraneo ai rapporti economici della s.p.a. con gli altri soggetti coinvolti nella costruzione dell’opera, potendo intervenire invece nella gestione della s.p.a. nella sua qualità di soggetto privato titolare di un terzo delle azioni. In quest’ottica del tutto privatistica, non rilevava, secondo il Tribunale, la qualifica della s.p.a. Porto di Imperia.
A fronte di dette argomentazioni, il Pubblico Ministero denuncia l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento, in particolare alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen..
Si rileva al riguardo che il nodo da sciogliere è quello relativo alla natura giuridica di Porto d’Imperia s.p.a. e si lamenta che il Tribunale non ha affrontato la questione relativa ai criteri da utilizzare per definire la natura giuridica dell’ente interessato, quello formalistico ovvero quello di natura sostanziale, con ciò eludendo la specifica richiesta contenuta nell’atto di appello, e concentrando la sua attenzione sulla sussistenza dei danni subiti dal Comune, di natura indiretta, e dal demanio (allo stato non quantificabili).
In realtà il thema decidendum, secondo il P.M., riguarda il problema della qualificazione delle truffe commesse in danno delle società partecipate, in particolare del danno cagionato ad una società concessionaria e, nello specifico, dell’ingiusto profitto che l’imputato C.B.F. , per il tramite delle società a lui riconducibili, si sarebbe procurato lucrando ai danni della concessionaria Porto d’Imperia s.p.a., sulla cui natura giuridica dunque si ritiene necessaria una specifica pronunzia con riferimento alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n 1, cod. pen..
Sotto questo profilo viene sottolineato che con la “concessione” un soggetto formalmente privatistico assurgerebbe al rango di organo “indiretto” della p.a. la quale attribuisce al medesimo tutte le proprie connotazioni pubblicistiche; tale fattispecie diverge pertanto da quella delle c.d. società municipalizzate (derivate da un processo di privatizzazione e prive di concessione) attraverso le quali l’ente pubblico di riferimento si spoglia di funzioni proprie che finiscono con l’assumere carattere privato. In questo senso sarebbe inconferente, nel caso di specie, la giurisprudenza citata dal Tribunale per giustificare la sua decisione. Gli atti posti in essere dal concessionario in funzione della concessione, e che non avrebbe potuto compiere senza la concessione, non costituiscono attività di diritto privato, ma conservano la natura di attività di diritto amministrativo in senso oggettivo, agendo anche, in forza della investitura in pubbliche funzioni, per attuare i fini propri della p.a..
Richiama infine la pronuncia del Tribunale del riesame di Genova con cui, nel confermare l’applicazione del provvedimento di custodia cautelare in carcere a carico di C.B.F. e del coimputato Carlo Conti, è stata confermata la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen..
2. Le difese delle parti private hanno depositato due distinte memorie (in data 9 gennaio 2013 e 16 maggio 2013) sostenendo, con argomentazioni antitetiche a quelle utilizzate dal P.M., l’inapplicabilità dell’aggravante del secondo comma, n. 1, dell’art. 640 cod. pen..
Con la memoria del 16 maggio 2013, in particolare, la difesa segnala un contrasto giurisprudenziale attualmente esistente non solo fra la decisione della Corte di cassazione n. 42408 del 2012 che ha rigettato il ricorso avverso la citata ordinanza di custodia cautelare e quelle di altre sezioni della Corte, ma anche in relazione a pronunce consolidate della stessa Seconda Sezione, così allegando l’ordinanza del 15 marzo 2013 con la quale un diverso collegio della Seconda Sezione aveva rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla puntualizzazione degli indici di “riconoscibilità esterna” dei soggetti di diritto pubblico, la cui soluzione non è rinvenibile in un approccio meramente casistico della materia. Il Primo Presidente aveva peraltro restituito gli atti al collegio remittente per aspetti meramente procedurali, sicché non venne data risposta al quesito indicato, che in questa sede è stato riproposto.
3. La difesa degli indagati sostiene poi che il suddetto assunto si fonda sull’isolata sentenza della Seconda Sezione penale della Corte di cassazione n. 42408 del 2012, emessa nell’ambito del procedimento incidentale de libertate relativo alla posizione dell’imputato C.B.F. , che riconduce la qualificazione pubblica o privata di una società a partecipazione pubblica all’aspetto funzionale o di scopo pubblico perseguito, così abbandonando il consolidato criterio per il quale la connotazione pubblica o privata della società deve essere ricondotta all’aspetto “strutturale” della società partecipata da un ente pubblico.
La difesa, pertanto, sollecitando la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa all’individuazione dei parametri o degli indici necessari a stabilire il carattere privato o meno di una società di capitali a partecipazione pubblica, rileva l’illegittimità di un’interpretazione estensiva di norme penali a discapito dell’imputato, ed ha evidenziato che l’adesione all’interpretazione fornita dalla sentenza della Corte di cassazione n. 42408 del 2012 porrebbe aspetti rilevanti di costituzionalità in relazione agli artt. 25, secondo comma, 111 e 117 Cost. da sottoporre al vaglio della stessa Corte Costituzionale.
4. La Seconda Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, ha sottolineato che, secondo la tesi del P.M., “il soggetto attributario di una concessione pubblica (nella specie Porto d’Imperia s.p.a.) assume la natura di sostituto della pubblica amministrazione, poiché la concessione si caratterizza, nella specie, per il trasferimento dall’ente pubblico ad un soggetto privato di poteri pubblici, e ciò anche quando detta traslazione riguardi beni demaniali, verificandosi pur sempre un passaggio di situazioni soggettive capaci di determinare atti unilaterali di carattere imperativo”, sicché “con la concessione un soggetto formalmente privatistico assurgerebbe al rango di organo indiretto della pubblica amministrazione, la quale attribuisce al medesimo tutte le proprie connotazioni pubblicistiche”.
Sussistendo sul punto un contrasto giurisprudenziale, la Seconda Sezione penale ha quindi rimesso il ricorso alle Sezioni Unite con ordinanza del 19 giugno 2013.
5. Con decreto in data 19 luglio 2013, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissandone la trattazione per l’odierna udienza in camera di consiglio.

Considerato in diritto

1. La questione sottoposta all’esame della Corte è la seguente: “se, ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., debba riconoscersi natura pubblica o privata ad una società per azioni partecipata da un ente pubblico e concessionaria di opera pubblica”.
2. Osserva la Corte che il ricorso è inammissibile.
2.1. Ai fini della decisione deve esaminarsi la questione giuridica della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen. con riferimento alla s.p.a. Porto d’Imperia, tenendo presente, peraltro, che la valutazione della sussistenza dell’aggravante, pur astrattamente configurabile, non è stata evocata nel caso in esame, in relazione al danno al demanio, in base alla ritenuta impossibilità di quantificazione dello stesso, come affermato dal Tribunale del riesame; e il provvedimento, sotto questo profilo, non è stato considerato meritevole di impugnazione da parte del P.M. ricorrente.
2.2. Secondo la prospettazione dell’Ufficio ricorrente la qualifica di ente pubblico deve essere attribuita alla società per azioni, in particolare titolare di un provvedimento di concessione da parte dell’ente territoriale Comune, da cui deriverebbe la sua natura di ente pubblico; ciò comporterebbe l’attribuzione della qualità di unico soggetto passivo della truffa, aggravata per questo ai sensi del comma secondo, n. 1, dell’art. 640 cod. pen., dovendosi ritenere il Comune, in quanto socio della s.p.a. Porto d’Imperia soltanto danneggiato in via indiretta.
2.3. Ritiene la Corte che, in realtà, per un corretto esame della questione, non si potrebbe prescindere dal considerare che, nell’ipotesi in cui, come nella fattispecie in esame, la natura pubblica o privata di un ente non risulti chiaramente dalla legge o non sia convalidata da una lunga tradizione giuridica, dovrebbe essere risolto preliminarmente il problema degli “indici di riconoscimento” della natura pubblica di un ente, variamente individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. La estrema difficoltà di definire il perimetro concettuale della nozione unitaria di ente pubblico ha infatti progressivamente comportato un’analisi di carattere casistico per definire tale categoria. Il problema ha assunto poi una dimensione ancora più rilevante a seguito del processo di privatizzazione di enti pubblici e la conseguente sempre più accentuata tendenza legislativa a riconoscere in capo a soggetti, anche a struttura societaria, operanti normalmente iure privatorum la titolarità o l’esercizio di compiti di spiccata valenza pubblicistica.
Orbene la soluzione di questo problema dovrebbe interessare gli arresti della Corte costituzionale sul punto, gli indirizzi emersi in sede di normazione – comunitaria, la normazione sulle “privatizzazioni” di cui alla legge n. 359 del 1998, nonché la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, oltre che della Corte di cassazione civile e penale, per verificare la possibilità di superare le distinzioni esistenti nelle singole realtà nazionali, attraverso l’elaborazione di una nozione di “organismo pubblico”, che faccia leva essenzialmente su una concezione sostanzialistica o funzionale, anche in base agli interventi della Corte di Giustizia, in ipotesi riconducibili alla questione che qui interessa, sotto il profilo del possesso della personalità giuridica, di diritto pubblico o privato, della presenza di elementi, alternativi fra loro, che facciano ritenere che le decisioni dell’ente siano sotto l’influenza determinante di un soggetto pubblico e che l’istituzione della persona giuridica soddisfi specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale.
In sostanza occorrerebbe avere riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la pubblica amministrazione, caratterizzato dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all’amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura – provvedimento, convenzione o contratto – né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica. Ciò comporterebbe la necessità di verificare se l’affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un servizio pubblico, integri una relazione incentrata sull’inserimento del soggetto medesimo nell’organizzazione funzionale dell’ente pubblico con l’attribuzione della conseguente responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un’opera pubblica, quando la concessione investe il privato dell’esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell’amministrazione, onde egli agirebbe per le finalità proprie di quest’ultima.
In ogni caso dovrebbe essere analizzata anche la questione concernente la compatibilità di tale operazione ermeneutica con il principio di legalità.
Orbene, se questo è il quadro di riferimento e se a tale quadro fosse riconducibile la fattispecie de qua, circostanza che allo stato rimane fuori dalla valutazione di questo Collegio,per quanto di seguito verrà specificato, essendo la ricostruzione operata finalizzata a verificare la correttezza ultima, sotto il profilo delle norme di riferimento, della configurazione dei motivi di censura sollevati dal Pubblico Ministero, appare evidente come la prospettazione dell’Ufficio ricorrente concernente in via esclusiva il mancato riconoscimento della natura sostanzialmente pubblica della s.p.a. Porto d’Imperia, con la configurazione della consumazione della truffa in suo danno e non al Comune di Imperia, destinatario di un danno di natura meramente indiretta, in realtà appare orientata in modo disarmonico, rispetto alla prospettata sostanziale integrazione della società (formalmente) privata all’interno del comparto pubblico, riconducibile complessivamente all’ente territoriale, secondo una ricostruzione che configura la società concessionaria come organo indiretto della p.a..
In sostanza, la scelta di una interpretazione “sostanzialista” quale quella prospettata dall’Ufficio ricorrente, rispetto a quella “nominalistica”, adottata nel provvedimento impugnato, a prescindere, si ripete, dalla sua condivisione sul piano giuridico, implica che, nel caso di un rapporto strumentale tra enti, non potrebbe parlarsi di danno all’ente partecipante quale mero effetto riflesso della partecipazione societaria. L’aggettivo “strumentale” (o indiretto) mette sicuramente in evidenza il fatto che questi soggetti non sono organi nel senso di titolari di uffici pubblici in quanto non agiscono in nome della pubblica amministrazione, dalla quale sono state loro trasferite le funzioni pubbliche, né si servono di mezzi forniti dalla pubblica amministrazione; il sostantivo “organi” mette invece in evidenza che anch’essi, come gli organi diretti, svolgono attività di natura amministrativa, in quanto esercitano pubbliche funzioni. Queste funzioni non potrebbero essere svolte senza la avvenuta concessione a natura traslativa; ma in presenza di questa le funzioni potrebbero e dovrebbero essere svolte in modo tale che la concessione operi come investitura del concessionario ad operare nell’ambito delle funzioni trasferite, con gli stessi poteri e con gli stessi obblighi che avrebbe un organo diretto della p.a..
2.4. La cesura operata invece con la individuazione del danno diretto nei confronti della sola società concessionaria rende impossibile affrontare in modo sistematico i termini della questione presupposta, proprio perché il perimetro dell’analisi, sia essa funzionale ad una decisione che possa condividere la tesi “nominalistica” ovvero la tesi “sostanzialista”, appare delimitato in modo parziale ed insufficiente.
2.5. A ciò deve aggiungersi un ulteriore elemento di intrinseca contraddittorietà del ricorso del P.M., che attinge il limite dell’inammissibilità. Il riferimento, infatti, alla perdita dei diritti demaniali da parte della s.p.a. Porto d’Imperia, che, in tesi, vengono ritenuti non quantificabili per la truffa consumata ai danni dello stesso demanio, e che per tale ragione non fanno oggetto del presente ricorso, vengono al contrario ritenuti fare parte del profitto del comportamento truffaldino perpetrato, in ipotesi, in danno della stessa s.p.a. e come tali sono stati inclusi tra gli elementi posti a sostegno della tesi sostenuta dall’Ufficio ricorrente.
2.6. Le suesposte considerazioni non rendono possibile, a parere delle Sezioni Unite, entrare nel merito del quesito di diritto formulato nel caso di specie.
3. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *