Rel. n. 1/12                                                                                 Roma, 5 gennaio 2012

OGGETTO:  DIFESA E DIFENSORI – PATROCINIO DEI NON ABBIENTI – Ammissione – Determinazione del reddito rilevante – Computo di detrazioni o deduzioni – Orientamento di giurisprudenza.

RIF. NORM.: D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76.

1. La IV Sezione, con sentenza emessa all’udienza del 16 febbraio 2011, e depositata in data 19 luglio 2011, n. 28802 (ric. Polimeni, rv. 250700), ha affermato il principio di diritto così massimato:
<<Nella determinazione del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese  dello  Stato non si tiene conto delle detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore>>.

Il ricorrente lamentava la erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione, non avendo il giudice di merito tenuto conto del fatto che il reddito tipizzato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76 è costituito dal reddito imponibile, depurato da tasse, deduzioni e detrazioni. Il ricorso è stato ritenuto infondato.
Il collegio ha premesso che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, nell’indicare le condizioni di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non fa solo riferimento al “reddito imponibile ai fini dell’imposta personale … risultante dall’ultima dichiarazione”, bensì anche ai “redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva”, e che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 382 del 1985, nell’affrontare la problematica dei limiti di reddito per il patrocinio gratuito, aveva precisato che <<nella nozione di reddito, ai fini dell’ammissione del beneficio in questione, devono ritenersi comprese le risorse di qualsiasi natura, di cui il richiedente disponga, anche gli aiuti economici (se significativi e non saltuari) a lui prestati, in qualsiasi forma, da familiari non conviventi o da terzi, – pur non rilevando agli effetti del cumulo – potranno essere computati come redditi direttamente imputabili all’interessato, ove in concreto accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall’art. 2739 cod. civ., quali il tenore di vita ecc.>>. La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni aderito a tale indirizzo interpretativo, <<deducendone che qualsiasi introito che l’istante percepisce con caratteri di non occasionalità, confluisce nel formare il reddito personale, ai fini della valutazione del superamento del limite indicato nel D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76>> (cfr. ex plurimis, Sez. IV, 4 ottobre – 3 dicembre 2005, n. 45159, B., rv. 232908 s.).
Si è precisato che <<la ragione dell’accertamento degli effettivi redditi percepiti dall’istante, risponde all’esigenza di autorizzare il trasferimento allo Stato di una spesa (di difesa tecnica) che la parte da sola non riesce a sostenere, così facendo appello alla solidarietà della collettività>>.
Con riferimento al caso di specie, si è, infine, osservato che, <<nella determinazione del reddito, da valutarsi ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al gratuito patrocinio [rectius, patrocino a spese dello Stato], non si può tener conto di detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore. Si tratta di poste finalizzate alla determinazione concreta dell’imposta da pagare, concetto questo che presenta una configurazione diversa rispetto al reddito imponibile cui fa riferimento al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76 (D.P.R. in tema di spese di giustizia), che intende dare rilevanza al reddito lordo ed anche a redditi non assoggettabili ad imposta ma indicativi delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita dell’istante>>.
Nel medesimo senso si era già pronunciata Sez. IV, 14 aprile – 4 giugno 2008, n. 22299, Iannì ed altro, rv. 239893, così massimata:
<<Nella determinazione del reddito da valutarsi ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non deve tenersi conto delle detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore nel TUIR. (Nella specie, la S.C. ha escluso che dovesse tenersi conto della detrazione di euro 3.000 prevista dall’art. 11 TUIR)>>.
In motivazione, la sentenza da ultimo citata aveva osservato che <<nella determinazione del reddito, da valutarsi ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al gratuito patrocinio, non si può tener conto di detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore nel T.U., ed in particolare dell’art. 11 citato (introdotto dalla L. n. 289 del 2002), che prevede la deduzione di Euro 3.000,00 per garantire la progressività dell’imposta. Si tratta, appunto, di deduzioni introdotte ai fini della determinazione concreta dell’imposta da pagare, concetto questo che presenta una configurazione diversa rispetto al reddito imponibile cui fa riferimento al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76 (D.P.R. in tema di spese di giustizia), che intende dare rilevanza anche a redditi non assoggettabili ad imposta ma indicativi delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita dell’istante>>.
2. Queste affermazioni di principio appaiono conformi all’orientamento della giurisprudenza costituzionale la quale, pur in relazione a diverso quadro normativo, ma con affermazioni che appaiono tuttora attuali anche alla luce del sopravvenuto quadro normativo, aveva evidenziato che <<nella legge n. 217 del 1990, non vi è un’ineludibile corrispondenza biunivoca tra reddito rilevante al fine dell’integrazione del presupposto per il beneficio del patrocinio a spese dello Stato e reddito dichiarato od accertato ai fini fiscali, ma – ancorché vi sia una stretta connessione (tant’è che l’istante deve allegare alla domanda copia dell’ultima dichiarazione dei redditi o dei certificati sostitutivi) – si tratta di accertamenti che hanno finalità diverse e possono avere esiti diversi. D’altra parte diversa è la situazione sostanziale alla quale tale presupposto reddituale afferisce>>, desumendone che <<in base agli artt. 3 e 5 della legge 30 luglio 1990, n. 217, nell’accertamento dello stato di “non abbienza” ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, rilevano anche redditi che non sono stati assoggettati ad imposte vuoi perché non rientranti nella base imponibile, vuoi perché esenti, vuoi perché di fatto non hanno subito alcuna imposizione. Quindi rilevano anche redditi da attività illecite – che secondo una recente giurisprudenza della Cassazione non sono sottoposti a tassazione – ovvero redditi per i quali l’imposizione fiscale è stata esclusa. Una diversa interpretazione che – come quella sostenuta dal giudice a quo – nella catalogazione contenuta nelle su indicate disposizioni non rinvenisse tutti i suddetti redditi, confliggerebbe con il canone della ragionevolezza e della coerenza ed è quindi da respingere, dovendo i precetti costituzionali guidare anche l’interpretazione delle leggi. Non sussistono quindi la irragionevolezza e la disparità di trattamento denunciate, in base a tale errata interpretazione, in riferimento all’art. 3 Cost., e, per le stesse ragioni, neppure l’altra prospettata violazione dell’art. 1 Cost.>> (Corte cost., 17 marzo 1992, n. 144).
3. A conclusioni difformi è, peraltro, giunta Sez. III, 23 marzo – 28 aprile 2011, n. 16583, Polimeni, così massimata:
<<Per “reddito imponibile” ai fini dell’imposta personale sul reddito, da valutarsi per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, deve intendersi il reddito complessivo al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (cosiddetto Testo Unico delle imposte sui redditi)>>.

Il ricorrente lamentava la inosservanza o violazione ovvero falsa od erronea applicazione di norme di diritto e l’erroneità di interpretazione in relazione al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 76 e 93, ed al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 3 e 10 (T.U.I.R.), dovendosi tener conto, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, del reddito imponibile (la fattispecie in esame riguarda l’art. 76, comma 1, in cui si fa riferimento al reddito imponibile, e non il comma 2 che estende il limite quantitativo ad alcuni e ben determinati redditi che non costituiscono base imponibile): non avendo superato, come reddito imponibile ai fini Irpef, la soglia prevista, il provvedimento impugnato di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sarebbe risultato illegittimo. Il ricorso è stato accolto.
Il collegio ha premesso che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, prevede che “può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore ad Euro….” (comma 1) e che “salvo quanto previsto dall’art. 92, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari il reddito costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante” (comma 2): <<la norma è, quindi, chiarissima nel far riferimento al reddito imponibile risultante dall’ultima dichiarazione. E, secondo le norme in materia tributaria, per reddito imponibile deve intendersi il reddito “al netto degli oneri deducibili”>>.
Inoltre, per il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico imposte sui redditi), mentre “il reddito complessivo si determina sommando i redditi di ogni categoria che concorrono a formarlo..” (art.8), la base imponibile su cui si applica l’imposta è costituita dal “reddito complessivo al netto degli oneri deducibili indicati nell’art.10” (art. 3 D.P.R. cit.): <<del resto lo stesso modello “Unico 2005” (anno di riferimento) prevedeva, per la determinazione del reddito imponibile, che dal reddito complessivo venissero detratte la deduzione per l’abitazione principale, gli oneri deducibili, la deduzione per la progressività dell’imposizione.
Altra cosa sono il reddito complessivo previsto dal medesimo art. 76, al comma 2 (risultante dalla somma dei redditi percepiti da tutti i componenti il nucleo familiare) o i redditi di natura illecita>>.
Si è, infine, ricordato che in più occasioni la giurisprudenza di legittimità aveva implicitamente ammesso la coincidenza tra reddito imponibile e reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
In particolare:
– Sez. I, 25 gennaio – 2 maggio 2001, n. 17430, Lucchese, rv. 219161 aveva ritenuto che <<in tema di patrocinio dei non abbienti, il criterio stabilito dal L. n. 217 del 1990, art. 3, secondo cui l’ammissione al gratuito patrocinio si basa sul reddito imponibile risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, si riferisce solo ai soggetti che abbiano effettuato una regolare dichiarazione dei redditi e non a chi abbia omesso ogni dichiarazione. In tale ultima ipotesi i redditi, ai fini della valutazione di ammissibilità al patrocinio, possono essere accertati facendo ricorso agli ordinari mezzi di prova ivi comprese le presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c., tra le quali rientrano il tenore di vita dell’interessato e dei familiari conviventi e qualsiasi altro fatto indicativo della percezione di redditi leciti o illeciti>> (conformi, Sez. IV, n. 31178 del 2003, rv. 225134, e n. 6557 del 2003, rv. 223519);
– Sez. VI, 21 febbraio – 2 maggio 1997, n. 728, Armas, rv. 208110 aveva ritenuto che <<Ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, il giudice non deve attenersi esclusivamente e formalmente alle risultanze rilevabili dalla dichiarazione dei redditi, ma deve procedere al calcolo del reddito risultante all’esito delle detrazioni degli obblighi deducibili ai sensi dell’art. 10 del DPR 22 dicembre 1986 n. 917 (t.u. delle imposte sui redditi) e solo all’esito di tale operazione comparare il reddito al tetto previsto dall’art. 3 della l. 30 luglio 1990 n. 217>>.

4. Merita di essere evidenziato in fatto che le due sentenze Polimeni in contrasto avevano entrambe ad oggetto istanze di ammissione al patrocinio a spese dello Stato di Polimeni Antonio n. 16.10.1977.

Redattore: Sergio Beltrani
Il vice-direttore
Domenico Carcano

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