SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza  21 febbraio 2012, n. 6879

 

Ritenuto in fatto

La Corte d’Appello di Palermo accoglieva l’istanza di equa riparazione proposta da B.D., S.G., S.S. e Sa.Gi. quali eredi di S.T., ristretto in carcere in relazione all’accusa del delitto di violenza sessuale in danno della figlia Sa. ed assolto poi con formula ampia con sentenza divenuta irrevocabile il 7 ottobre 2008, e quindi deceduto il 15 maggio 2009. La Corte territoriale, in relazione al periodo della detenzione sofferta in carcere dal S. per la durata di 275 giorni, liquidava la somma di Euro 69.000,00 di cui agli istanti spettava la quota di Euro 46.000,00 ai sensi dell’art. 581 cod. civ.

Avverso detto provvedimento ricorrono per Cassazione i suindicati eredi del S.T. deducendo vizio motivazionale in ordine all’entità della somma liquidata, da ritenersi a loro avviso esigua sotto il profilo di un asserito inadeguato riconoscimento delle sofferenze derivate dal lungo periodo di privazione della libertà personale. Osservano in particolare i ricorrenti che la Corte di merito avrebbe errato nel non valutare, ai fini della determinazione del “quantum” da liquidare, la dichiarazione di adottabilità di S.P. pronunciata dall’Autorità Giudiziaria, da ritenersi, a loro avviso, diretta conseguenza della vicenda processuale penale di cui era stato vittima S.T.; ed avrebbe altresì errato, la Corte stessa, nel non considerare l’aggravamento delle condizioni di salute del S. a causa della detenzione, e nel prendere in considerazione solo le conseguenze riconducibili all’ingiusta detenzione e non anche quelle riferibili all’errore giudiziario – pure invocato con l’istanza di riparazione – che avrebbero legittimato il riconoscimento del danno esistenziale. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con la sua requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del gravame.

Ha depositato memoria l’Avvocatura Generale dello Stato per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, contrastando il proposto ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

In materia di equa riparazione per ingiusta detenzione, questa Corte ha elaborato alcuni parametri per conferire fondamento razionale ed equilibrato alla determinazione equitativa. Tali parametri riguardano, in particolare, la durata della privazione della libertà, la cifra massima fissata dal legislatore con l’art. 315, comma secondo, c.p.p., e il limite massimo di durata complessiva della custodia cautelare, indipendentemente (come precisato dalle Sezioni Unite con la sentenza Caridi del 9 maggio 2001) dal titolo del reato in concreto contestato. La stessa giurisprudenza ha chiarito – in conformità al principio enunciato in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.1 del 31 maggio 1995, proc. Castellani (RV. 201035) – che i dati aritmetici, in tal modo ottenuti, possono subire aggiustamenti che tengano conto di particolari aspetti soggettivi ed oggettivi del caso concreto, in ordine ai quali, peraltro, il giudice di merito è ovviamente tenuto a fornire adeguata e congrua motivazione, anche circa le regole di esperienza che ne hanno suggerito l’adozione.

Nella concreta fattispecie, per quel che riguarda la valutazione degli effetti pregiudizievoli prospettati dagli interessati ai fini della quantificazione della riparazione, il giudice del merito ha seguito un percorso argomentativo che non presenta alcuna connotazione di illogicità. Ed invero la Corte territoriale, dopo aver ricordato i principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità circa i criteri per la determinazione dell’importo quale indennizzo per l’ingiusta detenzione, ha elencato i pregiudizi derivati al S. dalla detenzione ingiustamente sofferta, e da ritenersi meritevoli di riconoscimento ai fini della quantificazione della somma da liquidare, escludendo solo il prospettato aggravamento delle condizioni di salute in conseguenza della detenzione – in mancanza di qualsiasi idonea prova al riguardo – nonché la sofferenza derivante dalla dichiarazione dello stato di adottabilità del figlio S.P. , perché da considerarsi, tra l’altro, quale conseguenza non della detenzione bensì dell’addebito formulato nel procedimento penale avente ad oggetto la violenza sessuale continuata in danno della figlia. La Corte distrettuale, dunque, ha specificamente evidenziato le circostanze ritenute rilevanti ai fini della determinazione del “quantum”, così precisandole: 1) la durata e le modalità della detenzione protrattasi ininterrottamente in carcere per 275 giorni; 2) lo stato di incensuratezza del S., dalla Corte d’Appello ritenuto tale da provocare un’afflizione maggiore di quella di chi, per i propri precedenti, sia in qualche modo assuefatto a trovarsi in analoghe situazioni; 3) la natura e la notevole gravità dell’imputazione ascritta al S.; 4) il sicuro danno all’immagine ed alla vita di relazione, sia pure limitatamente all’ambito della cerchia dei conoscenti del S.T., non essendo stata fornita prova che la notizia avesse avuto una più ampia diffusione. Orbene, dopo aver accennato a siffatte sofferenze, di varia natura, patite dal S. in conseguenza della carcerazione subita, la Corte d’Appello ha liquidato complessivamente un importo (circa 250,00 Euro per ogni giorno di detenzione in carcere) superiore a quello massimo derivante dal mero calcolo aritmetico (235,82).

Come affermato, e più volte ribadito, da questa Corte, la riparazione per l’ingiusta detenzione non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale. Mette conto sottolineare inoltre che il legislatore, se avesse voluto intendere la riparazione dell’ingiusta detenzione come risarcimento dei danni, avrebbe dovuto richiedere, per coerenza, l’onere per il danneggiato di fornire la dimostrazione dell’esistenza dell’elemento soggettivo, fondante la responsabilità per colpa o per dolo, nelle persone che hanno agito e dell’entità dei danni subiti; ma ciò si sarebbe posto in contraddizione con l’esigenza (fondata non solo su una precisa disposizione della nostra Costituzione – art. 24 Cost. comma 4 – ma anche sull’art. 5 comma 5 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e sull’art. 9 n. 5 del Patto internazionale dei diritti civili e politici) di garantire un adeguato ristoro a chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale senza costringerlo a complicate controversie sull’esistenza dell’elemento soggettivo e sulla determinazione dei danni. La natura di indennizzo della somma liquidata a titolo di riparazione conduce a rilevanti conseguenze anche nel giudizio di legittimità perché i criteri, necessariamente equitativi, utilizzati dal giudice di merito, non possono essere oggetto di sindacato in questa sede se non entro i ristretti limiti che una valutazione di natura equitativa comportano, e certamente non quando, con il ricorso, si intende in realtà non dedurre un vizio di violazione di legge o un vizio di motivazione del provvedimento impugnato bensì denunciare l’insufficienza della somma liquidata a favore dell’istante. Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione – quale tipico giudizio di merito – è sottratto al giudice di legittimità che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento, e non certo sindacare la sufficienza, o insufficienza, della somma liquidata a titolo di riparazione; a meno che, discostandosi in modo assai sensibile dai criteri usualmente seguiti che fanno riferimento al tetto massimo liquidabile correlato al termine massimo della custodia cautelare, il giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta. Orbene, nel caso in esame, avuto riguardo al percorso seguito dalla Corte distrettuale – quale sopra ricordato – non è ravvisatole alcuno di questi casi; il giudice ha motivato sull’applicazione dei criteri di liquidazione, e la somma liquidata, peraltro anche superiore al parametro massimo “pro die”, non assume carattere arbitrario e tanto meno simbolico. La Corte di merito, invero, ha preso in considerazione le ulteriori “conseguenze personali e familiari” ed ha liquidato per esse una somma che ha comportato il raggiungimento di un importo complessivo superiore a quello massimo “pro die” derivante dal mero calcolo aritmetico: di tal che, come detto, la valutazione del giudice di merito si presenta immune da censure perché adeguatamente motivata; dovendosi comunque ribadire che, anche per le ulteriori conseguenze riparabili, l’indennizzo è svincolato da criteri risarcitori. Per quel che riguarda il riferimento dei ricorrenti alla riparazione da errore giudiziario, è solo il caso di precisare che presupposto per la riparazione da errore giudiziario – in relazione al quale la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto corretto applicare criteri di liquidazione di tipo risarcitorio – è che l’interessato sia stato prosciolto in sede di revisione del processo: situazione questa insussistente nel caso in esame. Quanto infine all’invocato danno esistenziale, è stato condivisibilmente affermato, e più volte ribadito, nella giurisprudenza di questa Corte, che “in tema di riparazione per ingiusta detenzione, deve escludersi che tra le conseguenze ulteriori indennizzabili possa essere ricompresa una voce a titolo di danno esistenziale, perché il pregiudizio che con questa tipologia di danno non patrimoniale viene evidenziato non è diverso ed autonomo da quello conseguente alla stessa privazione della libertà personale, di per sé idonea, da sola, a sconvolgere per un periodo consistente le abitudini di vita della persona”  (sez IV sentenza n. 39815 del 11/7/2007 Rv. 237837).

Al rigetto segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Compensa le spese tra le parti.

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