Sentenza  198/2015
Giudizio
Presidente CRISCUOLO – Redattore ZANON
Camera di Consiglio del 23/09/2015    Decisione  del 23/09/2015
Deposito del 09/10/2015   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 186, c. 9° bis, quarto periodo, del codice della strada (d.lgs. 30/04/1992 n. 285).
Massime:
Atti decisi: ord. 251/2014

 

SENTENZA N. 198

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Rovereto nel procedimento penale a carico di F.D. con ordinanza del 6 ottobre 2014, iscritta al n. 251 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 settembre 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 6 ottobre 2014 (r.o. n. 251 del 2014), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Rovereto ha sollevato – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede, per il caso di svolgimento con esito positivo del lavoro di pubblica utilità, che la riduzione alla metà della sanzione accessoria della sospensione della patente, già irrogata con la sentenza di condanna in misura doppia per essere risultato appartenente a terzi estranei al reato (e dunque non suscettibile di confisca) il veicolo condotto in stato di ebbrezza, possa essere operata senza tener conto dell’indicato raddoppio.

Il rimettente procede quale giudice dell’esecuzione nei confronti di persona cui erano state applicate su richiesta (ex art. 444 del codice di procedura penale), in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, le pene dell’arresto e dell’ammenda, contestualmente sostituite con quella del lavoro di pubblica utilità, a norma del comma 9-bis dell’art. 186 del d.lgs. n. 285 del 1992. Inoltre, poiché il veicolo condotto dall’interessato apparteneva a terzi estranei al reato, e non poteva perciò essere oggetto di confisca, la sospensione della patente di guida era stata applicata nella misura doppia del minimo (cioè per due anni), secondo quanto disposto alla lettera c) del comma 2 del citato art. 186.

Ricevuta comunicazione dell’esito positivo della prestazione del lavoro di pubblica utilità da parte del condannato, il giudice rimettente ha fissato udienza camerale al fine di valutare l’eventuale assunzione dei provvedimenti previsti per tale evenienza, che comprendono, tra l’altro, la riduzione alla metà della durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente. Tale operazione comporta, nei casi (che il rimettente asserisce essere prevalenti) di applicazione della sanzione al minimo, che la durata della stessa sia ridotta a sei mesi. Ma ciò – rileva il giudice a quo – non è possibile quando, pur computata nel minimo (cioè un anno), la sanzione abbia poi dovuto essere raddoppiata per la concomitante preclusione di un provvedimento di confisca: la percentuale fissa, prevista dalla norma impugnata, dell’abbattimento connesso all’esito positivo del lavoro di pubblica utilità consente solo di ridurre ad un anno la durata della sospensione.

Dopo essersi diffuso sulle finalità e sulla disciplina del provvedimento sospensivo, osservando peraltro che la questione sollevata prescinde dalle garanzie tipiche che l’ordinamento appresta per le sanzioni di carattere penale, il rimettente denuncia l’asserita irragionevolezza della normativa censurata.

Nelle intenzioni del legislatore – egli osserva – le sanzioni penali e quelle amministrative concorrono ad assicurare l’efficacia dissuasiva dell’incriminazione. Le prime, teoricamente più gravi, sono suscettibili di sostituzione e di sospensione condizionale. Evenienze, queste, non previste per le misure amministrative, che d’altronde comportano un’ablazione patrimoniale spesso rilevante (la confisca del veicolo) ed un serio ostacolo alla mobilità personale (la sospensione della patente). Il rimettente considera logico che, riducendosi la deterrenza connessa ad una delle conseguenze sfavorevoli minacciate, il legislatore si proponga di compensarla, attraverso l’aumento della portata delle misure concorrenti, al fine di mantenere inalterata l’efficacia dissuasiva della previsione. In tal senso, ritiene ragionevole il raddoppio della durata della sospensione della patente quando la minaccia di confisca del veicolo utilizzato per la commissione del reato non abbia efficacia pratica, perché la persona in stato di ebbrezza si pone alla guida di un mezzo appartenente ad un terzo, estraneo al reato.

Questa giustificazione verrebbe tuttavia meno, ad avviso del giudice a quo, in presenza dei provvedimenti consentiti a seguito dello svolgimento con esito positivo del lavoro di pubblica utilità. In tale evenienza è infatti previsto che la confisca del veicolo, se disposta, venga revocata. Nondimeno, nei casi come quello al suo esame, nel quale la confisca non era stata possibile, la riduzione alla metà della sospensione della patente non può che scontare il raddoppio iniziale, il quale dunque permane pur non trovandosi più a riequilibrare la mancanza di un provvedimento ablatorio.

Dopo aver escluso che l’asserito squilibrio sanzionatorio possa essere corretto in via d’interpretazione, a ciò ostando il tenore letterale della legge, il giudice rimettente denuncia la violazione del principio di uguaglianza. I soggetti condannati per essersi posti alla guida in stato di ebbrezza, e ammessi al lavoro di pubblica utilità conclusosi con esito positivo, sarebbero irragionevolmente trattati in modo difforme, a seconda che il veicolo utilizzato fosse o non di loro proprietà: tale veicolo, in entrambi i casi, non sarebbe oggetto di confisca, ma il guidatore non proprietario si ritroverebbe con una sospensione della patente di durata doppia rispetto al soggetto chiamato in comparazione. Quest’ultimo, il conducente proprietario, in altre parole, godrebbe di un trattamento sanzionatorio più favorevole, senza che tale differenza si appoggi su una giustificazione ragionevole.

In particolare, sottolinea il rimettente, il dato dell’appartenenza del mezzo non sarebbe correlato alla gravità, oggettiva o soggettiva, del reato, ovvero alla pericolosità del suo autore. D’altra parte, essendo il raddoppio della sospensione connesso proprio e solo alla titolarità altrui del veicolo condotto in stato di ebbrezza, la posizione di maggior favore riservata al guidatore di un mezzo proprio risulterebbe ancor più evidente quando la confisca risulti ab initio inapplicabile (ad esempio, per intervenuta distruzione del mezzo o per un furto successivo al fatto).

In definitiva, secondo il rimettente, una volta maturate le condizioni di cui al comma 9-bis dell’art. 186 del d.lgs. n. 285 del 1992, la posizione dei due soggetti in comparazione dovrebbe necessariamente essere uniformata. Di conseguenza, per essere compatibile con il principio di uguaglianza, la disposizione di legge oggetto della questione dovrebbe consentire al giudice dell’esecuzione di dimezzare la durata della sospensione della patente senza tenere conto del raddoppio operato, nella fase di cognizione, per la constatata appartenenza a terzi del mezzo utilizzato dall’agente. Non consentendo questo, la disposizione di legge violerebbe l’art. 3 Cost.

In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva come l’intervento sollecitato consentirebbe di ridurre a sei mesi, così come richiesto dalla difesa del condannato, invece che ad un anno, la sospensione biennale della patente disposta, per effetto del prescritto raddoppio, con la sentenza di patteggiamento.

2.– È intervenuto nel giudizio, con atto depositato il 10 febbraio 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi la non fondatezza della questione sollevata.

Dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale che riserva alla discrezionalità politica del legislatore le scelte in materia di sanzioni, e limita il sindacato di costituzionalità ai casi di esercizio manifestamente irragionevole od arbitrario di quella discrezionalità, l’Avvocatura generale assume che il diverso trattamento iniziale, tra conducenti proprietari e non del veicolo condotto in stato di ebbrezza, sarebbe giustificata dalla necessità di compensare la confisca applicata nei confronti dei primi con una maggior durata, per i secondi, della sospensione della patente. Dopo l’esito positivo del lavoro di pubblica utilità, d’altra parte, effetti premiali analoghi vengono riferiti alle sanzioni di partenza, che sarebbero diverse, appunto, per ragioni obiettivamente rilevanti.

Considerato in diritto

1.– Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Rovereto ha sollevato – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede, per il caso di svolgimento con esito positivo del lavoro di pubblica utilità, che la riduzione alla metà della sanzione accessoria della sospensione della patente – già irrogata, con la sentenza di condanna, in misura doppia per essere risultato appartenente a terzi estranei al reato, e dunque non suscettibile di confisca, il veicolo condotto in stato di ebbrezza – possa essere operata senza tener conto dell’indicato raddoppio.

Sostiene il rimettente che l’impossibilità di operare nel senso richiesto, per il caso di svolgimento con esito positivo del lavoro di pubblica utilità, determinerebbe una lesione del principio di uguaglianza, perché ne discenderebbe, a carico di soggetti responsabili del medesimo reato di guida in stato di ebbrezza, un diverso trattamento sanzionatorio, dipendente dalla sola circostanza che essi siano o non proprietari del veicolo condotto. Infatti, in caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, la maggiore durata della sospensione della patente per i conducenti non proprietari non troverebbe più giustificazione nella mancata confisca del veicolo, giacché, proprio in virtù del menzionato svolgimento positivo, il giudice deve comunque disporre la revoca della confisca disposta in danno dei conducenti proprietari. Questi ultimi insomma, all’esito dell’esecuzione, si troverebbero ingiustamente favoriti, perché soggetti ad una sospensione della patente di guida non raddoppiata e, al tempo stesso, immuni da un provvedimento di ablazione patrimoniale.

2.– Benché la questione di legittimità costituzionale in esame non riguardi, direttamente, la scelta legislativa di prevedere il raddoppio della durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, laddove il veicolo condotto in stato di ebbrezza appartenga a terzo estraneo al reato e non possa perciò essere oggetto di confisca, è utile ricostruire la ratio di tale scelta, al fine di meglio illustrare la decisione assunta dalla Corte.

La previsione del raddoppio della misura sospensiva, originariamente sancita con l’art. 3, comma 45, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), non fu contestuale alla previsione specifica della confisca, che era stata invece introdotta in precedenza, con il cosiddetto «pacchetto sicurezza» del 2008 (art. 4, comma 1, lettera b, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», come convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125).

La disposizione attualmente vigente – cioè la lettera c) del comma 2 dell’art. 186 del d.lgs. n. 285 del 1992 – è stata successivamente riscritta in sede di riforma del codice della strada, in particolare mediante l’art. 33 della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), ove la previsione concernente il raddoppio di durata della sospensione della patente è rimasta testualmente invariata.

I lavori preparatori, per parte loro, non offrono riscontri precisi ed univoci circa la ratio della disciplina in esame. Tuttavia, pur a fronte di una genesi non lineare, varie indicazioni orientano nel senso che la ragione della scelta per il raddoppio risieda nella necessità di prevenire e reprimere la prassi (che parrebbe essersi diffusa dopo l’introduzione della previsione della confisca obbligatoria del veicolo) del ricorso a mezzi intestati ad altri per spostarsi pur dopo l’abuso di alcool, ovvero di abusare di alcool con minori remore perché alla guida di veicoli intestati a terzi.

Dal punto di vista testuale, nell’odierno art. 186, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 285 del 1992, la correlazione tra raddoppio di durata della misura sospensiva e impossibilità di confisca del veicolo non è istituita direttamente, ma è significativo che la disposizione utilizzi la stessa espressione (veicolo appartenente a persona estranea al reato) per indicare, da un lato, la ragione del raddoppio della sospensione della patente, e dall’altro, una condizione preclusiva del provvedimento di confisca.

Non operando, in caso di veicolo appartenente a terzi, la deterrenza derivante dal rischio di un grave danno patrimoniale, connesso appunto alla confisca del veicolo, non è insomma implausibile che il legislatore abbia ritenuto di compensare la conseguente diminuzione di efficacia dissuasiva con l’aggravamento di una sanzione a sua volta temuta (e non suscettibile di sospensione condizionale), quale la sospensione del permesso di condurre.

Non si può, d’altra parte, escludere che, in tal modo, si sia anche inteso enfatizzare, sul piano della colpevolezza, il disvalore insito nella scelta di guidare in condizioni di ebbrezza un veicolo appartenente ad altra persona, così tradendone l’affidamento.

3.– In ogni caso, per parte sua, il giudice a quo non contesta il diverso trattamento sanzionatorio così riservato alle due condotte poste in comparazione (la guida in stato di ebbrezza del conducente proprietario e non, cui si riferiscono, rispettivamente, la sospensione “semplice” e quella “raddoppiata”). Riconosce anzi esplicitamente la ragionevolezza della scelta legislativa di punire il conducente non proprietario con una sanzione sospensiva più lunga, non potendo egli essere colpito nel patrimonio, e, difatti, non censura l’art. 186, comma 2, lettera c), del codice della strada. Contesta piuttosto, sul piano comparativo, gli esiti finali determinati dalle diverse previsioni sanzionatorie descritte, laddove intervenga il peculiare meccanismo premiale introdotto dal legislatore al comma 9-bis dell’art. 186 del d.lgs. 285 del 1992, che è, del resto, la disposizione oggetto della presente questione di legittimità costituzionale.

Essa prevede, sempre che non si sia verificato un incidente stradale, che il giudice possa sostituire le sanzioni penali dell’ammenda e dell’arresto con la sanzione del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), che consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività, da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale. La pena è irrogata ragguagliando arresto e ammenda secondo il computo ordinario e poi disponendo un giorno di lavoro per ogni duecentocinquanta euro del valore risultante.

Nell’ambito della disciplina in esame, la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità avvia una vera e propria procedura di tipo “premiale”. Infatti, il giudice dell’esecuzione (qual è nella specie il rimettente), ad esecuzione della pena ultimata, se il funzionario preposto riferisce in termini positivi della prestazione offerta dall’interessato, fissa un’udienza, in esito alla quale, ove condivida la valutazione, assume una serie di provvedimenti favorevoli al soggetto condannato. Dichiara estinto il reato e, per quel che qui più interessa, dispone la revoca della confisca del veicolo, se disposta, e dimezza la durata della sospensione della patente di guida.

Si innesta qui il ragionamento del rimettente a proposito dell’asserita violazione del principio di uguaglianza. Accanto al caso che gli spetta decidere – quello di un conducente non proprietario, per il quale la sospensione della patente sia stata applicata in misura doppia, a norma del descritto comma 2, lettera c), dell’art. 186 del codice della strada – il giudice a quo considera, ed indica specificamente come tertium comparationis, il caso del conducente proprietario, che abbia subìto una più breve sospensione della patente e, però, anche la confisca del mezzo. Considera, inoltre, che entrambi pervengano (come in fatto è pervenuto il condannato nel giudizio principale) ad un esito positivo del lavoro di pubblica utilità.

Proprio alla luce ed attraverso la comparazione invocata sarebbe percepibile, ad avviso del rimettente, il difforme trattamento sanzionatorio, non sorretto da una ragionevole giustificazione, indotto dalla disposizione censurata. La situazione all’origine perequata di cui all’art. 186, comma 2, lettera c), del codice della strada (lunga durata della sospensione della patente senza confisca, rispetto a durata dimezzata con confisca), lascerebbe spazio, a seguito della procedura premiale descritta, per il conducente non proprietario, ad un ingiustificato trattamento deteriore rispetto a quello previsto per il conducente proprietario: il primo, infatti, si ritroverebbe comunque con una sospensione di durata raddoppiata, per quanto successivamente dimezzata, rispetto al secondo, il quale peraltro, grazie all’esito positivo del lavoro socialmente utile, si vedrebbe liberato dalla sanzione della confisca.

Ad avviso del rimettente, tale difforme trattamento sanzionatorio coglierebbe due condotte identiche, nei profili di gravità oggettiva e soggettiva, entrambi consistenti nell’essersi il soggetto posto alla guida di un veicolo in condizione di intossicazione alcoolica, senza che i profili dell’offensività e della pericolosità siano apprezzabilmente incisi, con efficacia differenziante, dall’elemento, considerato del tutto estrinseco, dell’appartenenza del veicolo utilizzato. Ne discenderebbe perciò una violazione dell’art. 3 Cost., rimediabile solo con la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, quarto periodo, del codice della strada, nella parte in cui non prevede il potere del giudice, in caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, di ridurre della metà la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, senza tenere conto del raddoppio applicato nella sentenza di condanna, a norma dell’art. 186, comma 2, lettera c), terzo periodo, del codice della strada, per essere il veicolo appartenente a persona estranea al reato. Solo questo intervento additivo, in definitiva, ricondurrebbe alla necessaria parità il trattamento sanzionatorio delle due situazioni.

4.– La questione, così descritta, non è fondata.

È anzitutto da osservare che il rimettente opera un non implausibile accostamento tra la posizione del soggetto condannato nel giudizio a quo e quella di un conducente proprietario del veicolo, che abbia a sua volta concluso, pure con esito positivo, il lavoro socialmente utile previsto al comma 9-bis dell’art. 186 del d.lgs. 285 del 1992. Il tertium comparationis è identificato con precisione, e, per costante giurisprudenza, l’omogeneità delle due condotte consente a questa Corte di raffrontare le due fattispecie normative per verificare, ferma la preclusione di interventi in malam partem, la non manifesta irragionevolezza della difforme scelta operata dal legislatore con la disposizione sottoposta a censura (ex multis, sentenze n. 81 del 2014, n. 68 del 2012, n. 161 del 2009; ordinanze n. 240 del 2011, n. 41 del 2009, n. 106 del 2007).

Non ha inoltre rilievo la circostanza che il trattamento effettivamente in discussione dipenda, nei due casi posti in comparazione, dalla concorrenza di misure accessorie (la sospensione della patente e la confisca del mezzo) dalla diversa natura, ed entrambe qualificabili come sanzioni amministrative, considerata la capacità afflittiva che esse indubbiamente rivestono e l’attribuzione al giudice penale del potere di infliggere sia l’una che l’altra.

C’è da aggiungere che, sempre per costante giurisprudenza costituzionale, il raffronto deve muovere dalla considerazione per cui le determinazioni concernenti il complessivo trattamento sanzionatorio di qualunque reato, compreso quello qui in considerazione (guida in stato di ebbrezza), sono il frutto di apprezzamenti tipicamente politici, che si collocano, pertanto, su un terreno caratterizzato da ampia discrezionalità legislativa, «il cui esercizio è censurabile, sul piano della legittimità costituzionale, solo ove trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, come avviene quando si sia di fronte a sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione» (sentenza n. 81 del 2014 e in precedenza, ex multis, sentenze n. 68 del 2012, n. 273 e n. 47 del 2010).

Orbene, svolta la comparazione nei termini proposti dal rimettente, tale manifesta irragionevolezza e tale arbitrio non sono affatto riscontrabili. Non lo sono, come egli stesso riconosce, nel diverso trattamento sanzionatorio “di partenza”, ma non lo sono nemmeno all’esito del positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

Ciò perché, prima di tutto, come afferma l’Avvocatura generale dello Stato, dopo l’esito positivo del lavoro di pubblica utilità, analoghi effetti premiali non possono che essere riferiti alle sanzioni di partenza, diverse per ragioni obiettivamente rilevanti, come tali riconosciute dallo stesso giudice a quo. Al tempo stesso, una puntuale comparazione delle posizioni “finali” avrebbe richiesto un apprezzamento anche con riguardo agli effetti della confisca comunque disposta, in esito alla fase cognitiva, a carico del conducente proprietario, spesso accompagnata medio tempore dall’indisponibilità del mezzo per effetto di sequestro.

In ogni caso, la pretesa per cui, pur essendo ragionevolmente sanzionati in misura differenziata nella fase cognitiva del processo, i soggetti in comparazione debbano uscire puniti “allo stesso modo” dalla fase esecutiva, presupporrebbe, sia pure a fini di omologazione, l’attribuzione di un diverso “peso”, a seconda dei casi, ad un identico fattore di premialità, cioè al buon comportamento tenuto nello svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

In effetti, la riduzione premiale del trattamento sanzionatorio – eventualmente conquistata mediante una responsabile collaborazione del condannato nella fase esecutiva e rieducativa del procedimento – trova giustificazione in una condotta diversa da quella illecita, e cioè, appunto, nella efficace e diligente prestazione di un servizio a favore della collettività. Ma il rimettente non si avvede che, in virtù della pronuncia additiva richiesta, il trattamento sanzionatorio uniforme delle due ipotesi poste a raffronto potrebbe essere ottenuto solo attraverso un’ingiustificabile (e perciò irragionevole) differenziazione degli effetti della medesima condotta tenuta in fase esecutiva: il giudice a quo finisce, insomma, per teorizzare il diritto ad un più marcato trattamento premiale del conducente non proprietario, rispetto a quello proprietario, pur nella perfetta identità dei comportamenti tenuti in chiave rieducativa.

Al medesimo comportamento non può che corrispondere l’identità del trattamento premiale, cioè la riduzione percentuale, in misura fissa, sulla pena irrogata, con effetti ovviamente diversi in termini assoluti, a seconda dei valori di partenza. È del resto questa la logica di qualunque istituto che miri direttamente ad incentivare comportamenti virtuosi (sul piano sostanziale o processuale) attraverso un decremento della reazione punitiva: i criteri di determinazione della pena stanno altrove, sono cioè quelli ordinari, e solo sul valore risultante dalla loro applicazione si determina, chiusa la fase cognitiva, una riduzione proporzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Rovereto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 ottobre 2015.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella Paola MELATTI

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