Sentenza  105/2014
Giudizio
Presidente SILVESTRI – Redattore LATTANZI
Camera di Consiglio del 26/02/2014    Decisione  del 14/04/2014
Deposito del 18/04/2014   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 69, c. 4°, del codice penale.
Massime:
Atti decisi: ord. 114/2013

SENTENZA N. 105

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, promosso dalla Corte d’appello di Ancona nel procedimento penale a carico di W.M., con ordinanza del 18 febbraio 2013, iscritta al n. 114 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2014 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

1.– La Corte d’appello di Ancona, con ordinanza del 18 febbraio 2013 (r.o. n. 114 del 2013), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante dell’art. 648, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva dell’art. 99, quarto comma, cod. pen.

La Corte rimettente riferisce che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Pesaro aveva citato a giudizio l’imputato, per rispondere del reato di ricettazione di alcuni capi di abbigliamento recanti marchi contraffatti e del reato di detenzione per la vendita di tali prodotti, con «la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale».

Il Tribunale ordinario di Pesaro, il 4 giugno 2009, all’esito di un giudizio abbreviato, aveva ritenuto l’imputato colpevole dei reati ascrittigli, «unificati ex art. 81 cpv c.p. e ritenuta, quanto al reato di ricettazione, l’ipotesi attenuata di cui al secondo comma» dell’art. 648 cod. pen., lo aveva condannato, «con l’aumento per la recidiva “specifica e recente” e per la continuazione e la riduzione per il rito, alla pena di mesi tre di reclusione ed euro 300 di multa».

Contro la sentenza l’imputato aveva proposto appello, limitandosi a censurare il diniego delle attenuanti generiche e l’eccessività della pena, mentre il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Ancona aveva proposto ricorso per cassazione «lamentando la erronea qualificazione della recidiva (correttamente contestata come reiterata specifica infraquinquennale), come “specifica e recente”; la elusione del prescritto criterio di comparazione tra la contestata recidiva reiterata pluriaggravata e l’attenuante del fatto di particolare tenuità di cui all’art. 648, co. 2 c.p. e, soprattutto, la violazione del principio, stabilito nell’art. 69 co. 4 c.p., del divieto di sub-valenza della recidiva reiterata». Secondo il Procuratore generale, la pena irrogata sarebbe stata «illegale per difetto», non potendosi in alcun modo ad essa pervenire, anche «a voler muovere dal minimo edittale» del delitto di ricettazione, pari a due anni di reclusione e 516 euro di multa.

Il ricorso del Procuratore generale era stato convertito in appello, ai sensi dell’art. 580 cod. proc. pen., e la Corte d’appello di Ancona ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nei termini sopra riportati.

In punto di rilevanza, il giudice a quo rileva che, in caso di accoglimento della questione, si dovrebbe irrogare una pena identica o persino inferiore a quella inflitta dal primo giudice, perché la modesta gravità del fatto indurrebbe a ritenere l’attenuante prevista dall’art. 648, secondo comma, cod. pen., prevalente sulla recidiva. In caso contrario, si dovrebbe invece accogliere l’impugnazione del Procuratore generale, irrogando una pena di gran lunga superiore a quella inflitta dal giudice di primo grado.

Aggiunge la Corte rimettente che la recidiva, sulla quale non c’era stata impugnazione da parte dell’imputato, era reiterata (specifica ed infraquinquennale), dato che l’imputato era stato condannato dal Tribunale ordinario di Milano (con sentenza divenuta irrevocabile il 4 marzo 2006) alla pena di tre anni di reclusione e 300 euro di multa, per il delitto di commercio di prodotti con segni falsi, e dal Tribunale ordinario di Rimini (con sentenza divenuta irrevocabile il 15 marzo 2007) alla pena di quattro mesi di reclusione e 180 euro di multa, per i reati di ricettazione e commercio di prodotti con segni falsi.

Secondo la Corte d’appello, nel caso in esame non sarebbe possibile escludere la recidiva, seppure facoltativa, sia perché la relativa statuizione non è stata oggetto di specifico motivo di appello, sia perché le condanne riguardano violazioni della stessa specie, commesse in un arco temporale limitato, sicché il reato sub iudice costituirebbe ulteriore espressione della medesima devianza denotata dai precedenti reati, e dunque manifestazione di maggior colpevolezza e pericolosità dell’imputato.

Ciò precisato, la Corte rimettente ritiene che la norma impugnata sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., perché condurrebbe, in determinati casi, ad applicare pene identiche per violazioni di rilievo penale enormemente diverso. Il recidivo reiterato implicato in ricettazioni di normale o anche rilevante gravità, al quale siano applicate le circostanze attenuanti generiche, verrebbe punito con la stessa pena prevista per il recidivo reiterato autore di fatti di modesto disvalore (come l’acquisito di alcuni capi di abbigliamento con marchi falsi per «la piccola vendita “di sopravvivenza”»), al quale siano riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella prevista dall’art. 648, secondo comma, cod. pen.

Secondo il giudice a quo, «la rilevantissima differenza oggettiva, naturalistica, criminologica delle due condotte» verrebbe completamente annullata «in virtù di una esclusiva considerazione dei precedenti penali del loro autore».

Le disposizioni del primo e del secondo comma dell’art. 648 cod. pen. rispecchierebbero due situazioni molto diverse dal punto di vista criminologico, in quanto al secondo comma sarebbero riconducibili essenzialmente le condotte del piccolo ricettatore, per lo più straniero e disoccupato, che si procura qualcosa per vivere svolgendo «sulla strada» l’attività di vendita al minuto di beni di provenienza delittuosa. Sulla base di queste rilevantissime peculiarità, il legislatore avrebbe sanzionato la seconda condotta con una pena detentiva che, nel minimo edittale, sarebbe «pari ad appena un quarantottesimo della pena prevista per la prima (15 giorni di reclusione a fronte dei due anni di reclusione di cui al primo comma)». Questo assetto normativo sarebbe irrazionale.

L’ordinamento penale, per alcune fattispecie di reato, prevederebbe la pena per le ipotesi meno gravi, aggiungendo una serie di circostanze aggravanti per i casi di maggiore allarme sociale. La ricettazione sarebbe disciplinata, invece, in modo diverso, perché la legge fissa la pena base per le ipotesi più gravi, prevedendo poi una circostanza attenuante per adeguare la sanzione quando si tratta di casi di particolare tenuità, nei quali il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata produrrebbe conseguenze sanzionatorie irragionevoli, determinando l’equiparazione, ai fini sanzionatori, di casi oggettivamente lievi a casi di particolare allarme sociale.

Inoltre, la norma censurata sarebbe in contrasto con il «principio di offensività di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., che, con il suo espresso richiamo al “fatto commesso”», attribuirebbe una rilevanza fondamentale all’azione delittuosa per il suo obiettivo disvalore e non solo in quanto manifestazione sintomatica di pericolosità sociale, implicando conseguentemente «la necessità di un trattamento penale differenziato per fatti diversi, senza che la considerazione della mera pericolosità dell’agente possa legittimamente avere rilievo esclusivo».

Infine, la norma censurata violerebbe il «principio di proporzionalità della pena (nelle sue due funzioni retributiva e rieducativa)», previsto dall’art. 27, terzo comma, Cost., «perché una pena sproporzionata alla gravità del reato commesso da un lato non può correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalità violata, dall’altro non potrà mai essere sentita dal condannato come rieducatrice»: la condanna a due anni di reclusione per la ricettazione di un solo bene, di modestissimo valore, non potrebbe essere considerata, chiunque ne sia l’autore, una risposta sanzionatoria proporzionata.

La Corte rimettente conclude affermando che, rispetto alla norma impugnata, dovrebbero trovare applicazione i principi enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

Considerato in diritto

1.– La Corte d’appello di Ancona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante dell’art. 648, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva dell’art. 99, quarto comma, cod. pen.

La norma censurata, oltre che irragionevole, sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., perché condurrebbe, in determinati casi, ad applicare pene identiche a violazioni di rilievo penale molto diverso: il recidivo reiterato implicato in ricettazioni di normale o anche di rilevante gravità, al quale siano concesse le circostanze attenuanti generiche, verrebbe punito con la stessa pena prevista per il recidivo reiterato autore di episodi di modesto disvalore, a cui siano riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella prevista dall’art. 648, secondo comma, cod. pen., con la conseguenza che la «rilevantissima differenza oggettiva, naturalistica, criminologica delle due condotte» verrebbe «completamente annullata in virtù di una esclusiva considerazione dei precedenti penali del loro autore».

Inoltre, la norma censurata sarebbe in contrasto con il «principio di offensività, di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., che, con il suo espresso richiamo al “fatto commesso”», attribuirebbe una rilevanza fondamentale all’azione delittuosa «per il suo obiettivo disvalore e non solo in quanto manifestazione di pericolosità sociale», implicando «la necessità di un trattamento penale differenziato per fatti diversi, senza che la considerazione della mera pericolosità dell’agente possa legittimamente avere rilievo esclusivo».

Infine, la norma censurata violerebbe il «principio di proporzionalità della pena (nelle sue due funzioni retributiva e rieducativa)», previsto dall’art. 27, terzo comma, Cost., «perché una pena sproporzionata alla gravità del reato commesso da un lato non può correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalità violata, dall’altro non potrà mai essere sentita dal condannato come rieducatrice»: la condanna a due anni di reclusione per la ricettazione di un solo bene, di modestissimo valore, non potrebbe essere considerata, chiunque ne sia l’autore, una risposta sanzionatoria proporzionata.

2.– La questione è fondata.

3.– L’art. 3 della legge n. 251 del 2005 ha sostituito il quarto comma dell’art. 69 cod. pen., sul giudizio di bilanciamento delle circostanze, stabilendo, tra l’altro, un divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti su quella prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen., e il giudice a quo prospetta l’illegittimità costituzionale di tale norma, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante dell’art. 648, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva dell’art. 99, quarto comma, cod. pen.

Per effetto della norma impugnata, nei casi in cui, secondo la valutazione del giudice, debba riconoscersi rilevanza alla recidiva reiterata, le ricettazioni «di particolare tenuità», per le quali l’art. 648, secondo comma, cod. pen., prevede la pena della reclusione da quindici giorni a sei anni e la multa sino a 516 euro, devono invece essere punite con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 a 10.329 euro.

Come questa Corte ha già rilevato (sentenza n. 251 del 2012), l’attuale formulazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., costituisce il punto di arrivo di un’evoluzione legislativa dei criteri di bilanciamento, iniziata con l’art. 6 del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 giugno 1974, n. 220, che ha esteso il giudizio di comparazione alle circostanze autonome o indipendenti e a quelle inerenti alla persona del colpevole. «L’effetto è stato quello di consentire il riequilibrio di alcuni eccessi di penalizzazione, ma anche quello di rendere modificabili, attraverso il giudizio di comparazione, le cornici edittali di alcune ipotesi circostanziali, di aggravamento o di attenuazione, sostanzialmente diverse dai reati base; ipotesi che solitamente vengono individuate dal legislatore attraverso la previsione di pene di specie diversa o di pene della stessa specie, ma con limiti edittali indipendenti da quelli stabiliti per il reato base», come nel caso regolato dall’art. 648, secondo comma, cod. pen.

È rispetto a questo tipo di circostanze che il criterio generalizzato, introdotto con la modificazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., ha mostrato delle incongruenze, inducendo il legislatore a intervenire con regole derogatorie, come è avvenuto con l’aggravante della «finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico», prevista dall’art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625 (Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 febbraio 1980, n. 15, e, «in seguito, con varie altre disposizioni, generalmente adottate per impedire il bilanciamento della circostanza c.d. privilegiata, di regola un’aggravante, o per limitarlo, in modo da escludere la soccombenza di tale circostanza nella comparazione con le attenuanti; ed è appunto questo il risultato che si è voluto perseguire con la norma impugnata» (sentenza n. 251 del 2012).

Il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee consente al giudice di «valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono» (sentenza n. 38 del 1985). Deroghe al bilanciamento però sono possibili e rientrano nell’ambito delle scelte del legislatore, che sono sindacabili da questa Corte «soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012), ma in ogni caso «non possono giungere a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilità penale» (sentenza n. 251 del 2012); alterazione che, come si vedrà, emerge per più aspetti nella situazione normativa in questione.

4.– Anche nel caso in esame, infatti, come in quello concernente l’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), le conseguenze del divieto di prevalenza dell’attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648 cod. pen. sulla recidiva risultano manifestamente irragionevoli, per l’annullamento delle differenze tra le due diverse cornici edittali delineate dal primo e dal secondo comma dell’art. 648 cod. pen. Nel caso in esame assume particolare rilievo non tanto la divaricazione tra i livelli massimi della pena detentiva prevista nei due commi, quanto, come ha rilevato la Corte rimettente, quella tra i livelli minimi, perché, per effetto della recidiva reiterata, il minimo della pena detentiva previsto per il fatto di particolare tenuità (15 giorni di reclusione) viene moltiplicato per 48, determinando un aumento incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto per tale recidiva dall’art. 99, quarto comma, cod. pen., che, a seconda dei casi, è della metà o di due terzi.

L’incongruità di questo risultato appare evidente se si considerano i criteri stabiliti dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., prima della modificazione (in genere diretta a favorire l’imputato) operata dall’art. 6 del d.l. n. 99 del 1974, quando l’aumento della recidiva veniva effettuato sulla pena prevista per la fattispecie attenuata. In un caso come quello in esame, infatti, la pena minima da irrogare sarebbe stata, a seconda del tipo di recidiva, di 22 giorni o di 25 giorni, vale a dire di 15 giorni per il reato attenuato previsto dall’art. 648, secondo comma, cod. pen., aumentato per la recidiva, a seconda dei casi, della metà o di due terzi (in base alla disposizione attualmente vigente, dato che prima era previsto un aumento minore), mentre il giudizio di equivalenza, imposto dalla norma impugnata, determina un aumento di un anno, 11 mesi e 15 giorni.

Le differenti comminatorie edittali del primo e del secondo comma dell’art. 648 cod. pen. rispecchiano le diverse caratteristiche oggettive delle due fattispecie, sul piano dell’offensività e alla luce delle stesse valutazioni del legislatore: il trattamento sanzionatorio, significativamente più mite nel minimo edittale, assicurato al fatto di «particolare tenuità» (la cui configurabilità è riconosciuta dalla giurisprudenza comune solo per le ipotesi di rilevanza criminosa assolutamente modesta, talvolta al limite della contravvenzione di acquisto di cose di sospetta provenienza), «esprime una dimensione offensiva la cui effettiva portata è disconosciuta dalla norma censurata, che indirizza l’individuazione della pena concreta verso un’abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato» (sentenza n. 251 del 2012). In altri termini due fatti, quelli previsti dal primo e dal secondo comma dell’art. 648 cod. pen., che lo stesso assetto legislativo riconosce come profondamente diversi sul piano dell’offesa, vengono ricondotti alla medesima cornice edittale, determinando la violazione dell’art. 25, secondo comma, Cost., «che pone il fatto alla base della responsabilità penale» (sentenze n. 251 del 2012 e n. 249 del 2010).

La recidiva reiterata «riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità, ed è da ritenere che questi, pur essendo pertinenti al reato, non possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: il principio di offensività è chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale. Se così non fosse, la rilevanza dell’offensività della fattispecie base potrebbe risultare “neutralizzata” da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosità» (sentenza n. 251 del 2012).

Inoltre, come ha rilevato la Corte rimettente, la norma censurata dà luogo ad una violazione del principio di uguaglianza, perché il recidivo reiterato autore di una ricettazione di normale o anche di rilevante gravità, da punire, in presenza delle attenuanti generiche, con il minimo edittale della pena stabilita dall’art. 648, primo comma, cod. pen., riceverebbe lo stesso trattamento sanzionatorio – quest’ultimo irragionevolmente severo – spettante al recidivo reiterato, cui pure siano riconosciute le attenuanti generiche, ma autore di un fatto di «particolare tenuità».

5.– È fondata anche la censura relativa al principio di proporzionalità della pena (art. 27, terzo comma, Cost.).

L’art. 69, comma quarto, cod. pen., nel precludere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza una «deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attività commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall’art. 27, terzo comma, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell’applicazione delle circostanze» (sentenze n. 251 del 2012 e n. 183 del 2011); nel caso in esame, infatti, il divieto legislativo di soccombenza della recidiva reiterata rispetto all’attenuante dell’art. 648, secondo comma, cod. pen., impedisce il necessario adeguamento, che dovrebbe avvenire attraverso l’applicazione della pena stabilita dal legislatore per il fatto di «particolare tenuità».

Come è stato già affermato da questa Corte (sentenza n. 251 del 2012), «la legittimità, in via generale, di trattamenti differenziati per il recidivo, ossia per “un soggetto che delinque volontariamente pur dopo aver subito un processo ed una condanna per un delitto doloso, manifestando l’insufficienza, in chiave dissuasiva, dell’esperienza diretta e concreta del sistema sanzionatorio penale” (sentenza n. 249 del 2010), non sottrae allo scrutinio di legittimità costituzionale le singole previsioni», e questo scrutinio nel caso in esame rivela il carattere palesemente sproporzionato del trattamento sanzionatorio determinato dall’innesto della deroga al giudizio di bilanciamento sull’assetto delineato dall’art. 648 cod. pen. Perciò deve concludersi che «la norma censurata è in contrasto anche con la finalità rieducativa della pena, che implica un costante “principio di proporzione” tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra (sentenza n. 341 del 1994)».

6.– Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2014.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

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