Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza n. 3473 del 13 febbraio 2018. Spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare che il destinatario della fattura sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto.

Segue pagina antecedente

— che è fondato e va accolto il mezzo di cassazione con cui la
ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 19
d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 cod. civ., ha censurato la statuizione di
appello per avere la CTR escluso che quelli addotti dall’amministrazione
finanziaria costituissero elementi presuntivi idonei a dimostrare, anche in
maniera indiziaria, l’irregolarità delle prestazioni perché rese da soggetto
diverso dal fatturante, che svolgeva funzione di mera “cartiera”, e a
ribaltare, quindi, sulla società contribuente l’onere di provare la
sussistenza delle operazioni contestate;
— che è orientamento giurisprudenziale, di matrice anche unionale,
quello secondo cui «in tema di evasione dell’IVA a mezzo di frodi
carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo
triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di
un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano,
l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla
consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione
sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato
all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione
che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata
alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario
fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative
ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse
realmente fornita dalla persona interposta» (così, recentemente, Cass. n.
10120 del 2017), la mancanza di consapevolezza di partecipare ad
un’operazione fraudolenta non potendo desumersi dalla regolarità
formale delle scritture contabili o dalle evidenze contabili dei pagamenti,
trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. sent. n.
30148 del 2017, n. 967 del 2016, n. 428 del 2015);
— che, d’altro canto, in punto di onere probatorio spettante
all’amministrazione finanziaria la Corte europea ha più volte ribadito che
spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare, alla luce di elementi
oggettivi ed alla stregua dei principi sull’onere della prova vigenti nello
Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura
verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante o
la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale
destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si
inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto (Corte
giustizia 06/12/2012; 31/01/2013, nonché 22/10/2015, C-277/14), ma
«non può revocarsi in dubbio che l’Amministrazione possa assolvere al
suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come espressamente
prevede, per l’IVA, il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, (analoga
previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel d.P.R. n. 917 dei 1986,
art. 39, comma 1, lett. d), e mediante elementi indiziari (cfr. Cass.
21953/07; Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12;
27718/13; 20059/2014; nello stesso senso C. Giust. 6.7.06, C- 439/04, C.
Giust., 21.2.06, C-255/02; C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12,
C- 285/11; C. Giust. 31.1.13, C-642/11)» (così in Cass. n. 17290 del
2017), quindi, «non necessariamente con prova certa ed incontrovertibile,
bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità,
precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi
obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e
mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente» (cfr., ex
multis, Cass. n. 10414 del 2011; n. 23560 del 2012, n. 17818 del 2016, n.
8091 del 2017); in buona sostanza, elementi indiziari che, «avuto riguardo
alle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un notinale operatore
“eiusdem generis ac professionis” a sospettare della regolarità della
operazione (dovendo in tal caso considerarsi il soggetto passivo che
” sapeva o avrebbe dovuto sapere” come “partecipante a tale frode,
indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio
dalla rivendita dei beni”: id. 6.7.2006, Kittei e Recolta, punto 56 e 57. Cfr.
Corte cass. V sez. 20.12.2012 n. 23560» (in termini, Cass. n. 17818 del
2016; v. oltre alla già citata Cass. n. 10120 del 2017, anche Cass. n. 967 del
2016 secondo cui «possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi
sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante,
l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza
dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e
cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento
dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società
coinvolta nell’operazione»);
— che in presenza di tali elementi indiziari «si riversa sul contribuente
l’onere di provare di essersi trovato nella situazione di oggettiva
inconoscibilità delle pregresse operazioni fraudolente intercorse tra il
cedente ed i precedenti fornitori, ovvero, nonostante l’impiego della
dovuta diligenza richiesta dalle specifiche modalità in cui si è svolta
l’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo
stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri
soggetti collegati all’operazione» (Cass. da ultimo cit.);
— che, diversamente da quanto sostenuto dalla cTR molisana,
l’Amministrazione finanziaria nel caso qui vagliato ha fornito idonei
elementi probatori della natura di “cartiera” della società cedente, quali la
mancanza di organizzazione, di dipendenti e di capacità finanziaria
dell’emittente della fattura, oltre all’inferiorità dei prezzi praticati rispetto
a quelli di mercato ed il mancato versamento dell’IVA da parte del
cedente, con la conseguenza che spettava alla società contribuente fornire
la prova di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo
incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite
dalla società cedente;
— che, pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata
va cassata e la causa rinviata alla CTR molisana che, in diversa
composizione, provvederà a rivalutare la vicenda processuale e a
regolamentare anche le spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le
spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del
Molise, in diversa composizione.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale

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