Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza n. 5840 dell’8 febbraio 2018. Il divieto, ai sensi dell’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. pen., di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere

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Si è osservato che il mutamento normativo operato dalla legge n. 47 del
2015 all’art. 275, comma 3 cod.proc.pen. (La custodia cautelare in carcere può
essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se
applicate cumulativamente, risultino inadeguate), determina l’inevitabile
superamento della giurisprudenza di questa Corte che, in passato, aveva ritenuto
come in tema di scelta delle misure cautelari, ai fini della motivazione del
provvedimento relativo alla misura della custodia cautelare in carcere, non fosse
necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendevano inadeguata
ogni altra misura, ma che fosse sufficiente che il giudice indicasse, con
argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei
reati nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che inducessero
ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata al
fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo, in tal modo,
assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure coercitive
(Sez. 5, n. 51260 del 04/07/2014 – dep. 10/12/2014, Calcagno, Rv. 261723).
La nuova previsione normativa- si è chiarito- impone, oggi al giudice della
cautela, sia esso il giudice dell’ordinanza genetica che quello del riesame se
investito della relativa questione, di motivare in maniera specifica in ordine alle
ragioni per le quali risultino inadeguate le altre misure coercitive e interdittive
“anche se applicate cumulativamente”.
Va, poi, evidenziato che la legge 16 aprile 2015 n. 47 ha previsto, inoltre,
nel nuovo comma 3 bis dell’art. 275 cod. proc. pen che: “Nel disporre la custodia
cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene
inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di
controllo di cui all’art. 275-bis, comma 1″.
Il legislatore, quindi, ha introdotto un ulteriore specifico onere motivazionale
a carico del giudice che dispone la cautela inframuraria: l’intento della novella è,
pertanto, quello di riaffermare la funzione di extrema ratio della custodia in
carcere, sancendo espressamente un obbligo motivazionale ulteriore per il
giudice della cautela che deve spiegare perché non possa applicare la misura
degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275-bis,
comma 1″ in luogo di quella carceraria.
3. Nella specie, il Tribunale, nell’applicare la custodia cautelare in carcere,
non ha adeguatamente motivato in relazione agli elementi sulla cui base le altre
misure coercitive ed interdittive “anche se applicate congiuntamente” sarebbero
inidonee a fronteggiare l’esigenza cautelare ritenuta sussistente né in ordine alla
inidoneità della misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo: sul
punto, l’ordinanza si limita ad affermare, con motivazione apparente,
l’inadeguatezza di ogni altra misura richiamando, in maniera generica e senza
illustrare sul punto elementi di specifica valenza negativa, “la dimostrata
incapacità di T. di una spontanea osservanza delle norme e prescrizioni”.
S’impone, quindi, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al
Tribunale di Brescia, sezione per il riesame, per nuovo esame al fine di colmare il
vizio motivazionale rilevato.

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