Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 16 gennaio 2018, n. 1561. Commette un reato l’amministratore della società che non risponde alle richieste dell’ispettorato anche se la richiesta non è rivolta a lui personalmente

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Se il datore di lavoro e’ una societa’, destinatario della notifica e’ il suo legale rappresentante, sicche’ la notifica e’ regolare in presenza di richiesta inoltrata all’indirizzo di posta elettronica certificata, indicato dalla societa’ nel registro delle imprese, trattandosi di richiesta “legalmente data” ai sensi dell’articolo 4 cit. perche’, in tal caso, il rappresentante legale e’ posto in condizione di conoscerla e di ottemperare a quanto richiesto e il giudice di verificare la data di conoscenza della richiesta stessa al fine di accertare l’inottemperanza.
7.- Tutto cio’ premesso, il motivo di doglianza non si confronta con le motivazioni della sentenza impugnata che ha tratto la prova della conoscenza della richiesta di informazioni dell’Ispettorato del lavoro, dalla richiesta orale al personale della societa’ e dalla prova della ricezione di tale richiesta inoltrata all’indirizzo di posta elettronica certificata ricavato dal registro delle imprese, che contiene i dati indentificativi della societa’ tra cui anche l’indirizzo pec della stessa (per effetto del Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 16 comma 6, conv. nella L. n. 2 del 2009 che prescrive l’obbligo di dotarsi di un indirizzo pec entro il termine del 29 novembre 2011 e di comunicarlo al registro delle imprese), restando cosi’ del tutto generica, oltre che priva di rilievo, la affermazione di non aver il ricorrente accesso alle email della societa’ di cui e’ legale rappresentante, essendo il mancato accesso alla consultazione delle e mail a lui certamente e colposamente imputabile.
8.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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