Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza n. 3021 dell’8 febbraio 2018. E’ destituita di fondamento l’opposizione proposta dal debitore esecutato avverso l’intervento spiegato dall’agente della riscossione in una procedura espropriativa ordinaria deducendo vizi di invalidità, propria o derivata, della cartella di pagamento

In tema di espropriazione forzata, presupposto dell’intervento dei creditori nella procedura è l’esistenza di un titolo esecutivo (costituito dal ruolo, per i crediti azionati dall’agente della riscossione), non la notificazione di esso né la intimazione di un precetto (ovvero, per i crediti azionati dall’agente della riscossione, la notificazione della cartella di pagamento), sicchè è destituita di fondamento l’opposizione proposta dal debitore esecutato avverso l’intervento spiegato dall’agente della riscossione in una procedura espropriativa ordinaria deducendo vizi di invalidità, propria o derivata, della cartella di pagamento

Corte di Cassazione

Sezione civile terza
sentenza n. 3021 dell’8 febbraio 2018 

Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: ROSSI RAFFAELE
Data pubblicazione: 08/02/2018 

SENTENZA
sul ricorso 6225-2015 proposto da:
D.’O. G., domiciliato ex lege in ROMA,
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato giusta procura
speciale a margine del ricorso;
– ricorrentecontro
EQUITALIA NORD SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore e per esso l’Avv.
, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA TRONTO 32, presso lo studio
dell’avvocato giusta
procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonchè contro
SAIPEM SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3416/2014 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 12/07/2017 dal Consigliere
Dott. RAFFAELE ROSSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso
per il rigetto del ricorso; 

Corte di Cassazione – copia non ufficiale
FATTI DI CAUSA
, debitore esecutato nella procedura di
espropriazione immobiliare in suo danno promossa dalla società
Saipem S.p.A. ed iscritta al R.G.Es. 1133/05 del Tribunale di Milano,
propose opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi avverso l’atto
di intervento nella procedura depositato il 7 giugno 2006 da Equitalia
Nord S.p.A. (già Esatri S.p.A.) per la soddisfazione di un credito di
natura tributaria.
A suffragio dell’opposizione, dedusse la irregolarità formale del
ricorso per intervento per omessa o incerta indicazione del titolo di
credito nonché l’inesistenza del credito azionato per inesistenza o
nullità della notifica delle cartelle di pagamento causalmente ascritte
ad omesso versamento delle imposte su redditi da capitale per
l’annua lità 1993, in quanto irritualmente eseguite ai sensi dell’art. 60,
comma 1, lett. e) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, modalità che
aveva impedito all’opponente di venire a conoscenza dell’esistenza
della pretesa creditoria prima dell’esperimento dell’atto di intervento.
L’adito Tribunale di Milano rigettò l’opposizione, decisione che è
stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza n.
3416/2014 del 26 settembre 2014.
Per quanto ancora controverso, la Corte meneghina ha rilevato
che dagli elementi istruttori acquisiti era dimostrato come l’opponente
avesse avuto contezza delle notifica delle cartelle esattoriali dall’aprile
2006, epoca anteriore al ricorso per intervento: versandosi in tema di
crediti tributari, il presunto vizio di notifica avrebbe dovuto essere
censurato innanzi le commissioni tributarie e la possibilità di
impugnazione in detta sede delle cartelle di pagamento «quali atti
presupposti non notificati o irritualmente notificati» impediva la
proponibilità innanzi al giudice ordinario della opposizione per
contestare la validità della notificazione del titolo esecutivo.
Ricorre per cassazione Giovanni Dell’Orto, affidandosi a due
motivi, illustrati da memoria; resiste, con controricorso, Equitalia
Nord S.p.A..
Alcuna attività difensiva ha svolto l’altra parte intimata, Saipem
S.p.A..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, per violazione degli artt. 2, 19 e 21 del
D.Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3,
cod. proc. civ., si censura la pronuncia gravata nella parte in cui ha
ritenuto l’esperibilità di ricorso innanzi il giudice tributario avverso
«gli avvisi di accertamento anche in assenza di notificazione dell’atto
impugnabile» e la conseguente preclusione della possibilità «di
impugnare le cartelle esattoriali poste da Equitalia a fondamento
dell’intervento in sede di opposizione all’esecuzione».
Assume il ricorrente che il termine stabilito a pena di decadenza
per proporre ricorsi in sede tributaria decorre dalla notificazione
dell’atto viziato e ne postula dunque, in maniera indefettibile,
l’avvenuta effettuazione, non surrogabile da differenti forme di
conoscenza dell’atto, aliunde acquisite; omessa la notificazione degli
avvisi di accertamento, doveva ritenersi consentito dedurre siffatta
circostanza in sede di opposizione all’intervento spiegato dall’agente
della riscossione quale ragione di «nullità delle cartelle esattoriali
costituenti il titolo esecutivo legittimante l’intervento».
1.1. La complessa doglianza così riassunta non merita adesione.
Essa, in primo luogo, muove da una non attenta lettura del
percorso argomentativo seguito nell’impugnata sentenza.
Invero, la Corte territoriale ha ritenuto la esperibilità della
impugnazione in ambito tributario delle cartelle di pagamento (non
già – come invece dedotto dall’impugnante – dei prodromici avvisi di
pagamento) nei sessanta giorni dalla accertata conoscenza di esse
(anche al fine di far valere la omessa o irrituale notifica degli atti
presupposti); da ciò ha poi inferito la giuridica impossibilità di dedurre
la nullità della notificazione delle cartelle stesse per contestare con il
rimedio oppositivo codicistico innanzi il giudice ordinario l’intervento
dell’agente della riscossione nell’espropriazione (cfr. pag. 10:
«considerata la possibilità di impugnazione dinnanzi alle Commissioni
tributarie […] della cartella di pagamento […] non poteva l’appellante
proporre davanti al giudice ordinario un’opposizione riguardante
contestazioni in merito alla notificazione di titolo esecutivo»).
Orbene, questa statuizione è conforme a diritto ma sortisce su
una motivazione non corretta, come tale meritevole di correzione ai
sensi dell’art. 384, ultimo comma, del codice di rito.
1.2. Secondo la condivisibile ricostruzione operata dal giudice
della nomofilachia, nel sistema della riscossione coattiva a mezzo
ruolo disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il diritto di
procedere in executivis dell’agente della riscossione si fonda su un
peculiare e caratterizzante titolo esecutivo, rappresentato, a mente
dell’art.49, comma 1, del citato d.P.R. n. 602 del 1973, dal ruolo,
ovvero l’elenco dei debitori predisposto dall’ente creditore e
trasmesso all’agente della riscossione, avente natura di titolo di
formazione amministrativa, munito ab origine e per espressa volontà
di legge, di idoneità esecutiva senza necessità, a tal fine, di alcuna
comunicazione o notificazione al debitore.
Di siffatto peculiare titolo esecutivo costituisce riproduzione il cd.
estratto di ruolo, un documento che, giusta quanto prescritto dall’art.
25 del d.P.R. n. 602 del 1973, riporta i dati relativi al soggetto
contribuente, alla natura ed entità delle pretese iscritte a ruolo,
nonché la descrizione, il codice e l’anno di riferimento del tributo,
l’anno di iscrizione a ruolo, la data di esecutività del ruolo, l’ente
creditore: esso, corredato della dichiarazione di conformità
all’originale resa dall’agente della riscossione, integra idonea prova
del credito, ai sensi dell’art. 2718 cod. civ., anche in ordine
all’accertamento della giurisdizione del giudice adito (expresse, Cass.
09/06/2016, n. 11794; Cass. 29/05/2015, n. 11141-11142; Cass.
05/12/2011, n. 25962).
La cartella di pagamento, invece, non è altro che la stampa del
ruolo in unico originale notificata alle parti che, redatta in conformità
al relativo modello ministeriale, reca l’indicazione dei medesimi
elementi identificativi della pretesa risultanti dal ruolo, innanzi
analiticamente menzionati (Cass. 23/06/2015, n.12888).
Precisamente, nel sistema della riscossione a mezzo ruolo la
notificazione della cartella di pagamento assolve uno actu le funzioni
che nella espropriazione forzata codicistica sono svolte dalla
notificazione del titolo esecutivo ex art.479 cod. proc. civ. e dalla
notificazione del precetto, risolvendosi, ai sensi dell’art. 25, comma 2,
del d.P.R. n. 602 del 1973, nell’intimazione ad adempiere l’obbligo
risultante dal ruolo, così come il precetto contiene l’intimazione ad
adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo (da ultimo, Cass.
27/11/2015, n. 24235; in precedenza, Cass., 04/05/2012, n. 6721).
La notificazione della cartella configura, poi, attività prodromica
necessaria al pignoramento eseguito (in una delle varie modalità
stabilite dalla legislazione speciale) dall’agente della riscossione: in tal
senso, univocamente depone il disposto dell’art. 50 del d.P.R. n. 602
del 1973, laddove prevede che «il concessionario procede ad
espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di
sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento».
La trascritta formulazione letterale della norma offre un indice
inequivoco per la corretta delimitazione della funzione della cartella:
la locuzione «procede ad espropriazione», infatti, va intesa in senso
proprio e stretto, come riferita unicamente all’atto di promuovimento
della procedura di riscossione, nelle differenti tipologie previste in
ragione del bene (mobile, immobile o credito) staggito.
La cartella di pagamento costituisce, dunque, atto preliminare
indefettibile solo di una delle due possibili declinazioni dell’azione
esecutiva: condiziona cioè esclusivamente l’effettuazione di un
pignoramento da parte dell’agente della riscossione, e non invece
l’intervento di questi in procedura espropriativa già intrapresa.
1.3. La conclusione trova conferma nella disciplina dettata dal
codice di rito per l’intervento dei creditori nell’espropriazione.
L’art. 499 cod. proc. civ., nel regolare i presupposti dell’intervento
e i requisiti di contenuto-forma del modo di esplicarsi di esso,
postula, infatti, l’esistenza di un credito assistito da titolo esecutivo
(con le sole, tassative, eccezioni menzionate dalla stessa norma) e ne
richiede la specifica indicazione nel ricorso per intervento, ma non
opera richiamo alcuno (tampoco, in chiave condizionante) alla
doverosità di pregresse intimazioni ad adempiere.
D’altro canto, l’art. 480 cod. proc. civ. definisce il precetto come
«l’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo,
entro un termine non minore di dieci giorni […] con l’avvertimento
che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata» (anche qui, si
noti, l’uso del verbo procedere), mentre, con speculari e contrapposte
disposizioni, i successivi due articoli del codice, nel circoscrivere
temporalmente l’idoneità in executivis del precetto, fanno ambedue
esclusivo riferimento all’inizio dell’esecuzione (art. 481: «il precetto
diventa inefficace se nel termine di novanta giorni dalla sua
notificazione non è iniziata l’esecuzione»; art. 482: «non si può
iniziare l’esecuzione forzata prima che sia decorso il termine indicato
nel precetto»), momento iniziale che, in ordine alle procedure di
espropriazione, l’art. 491 cod. proc. civ. individua nel pignoramento.
Dal punto di vista teleologico, poi, la necessità della prodromica
intimazione risponde ad una duplice ratio: per un verso, offrire
all’intimato debitore la possibilità dell’adempimento spontaneo
dell’obbligazione nascente dal titolo, evitando così gli effetti limitativi
della disponibilità dei beni correlati al minacciato pignoramento;
ancora, consentire (ed anzi provocare) l’esperimento, in via
preventiva rispetto all’espropriazione, dei rimedi oppositivi (ex art.
615 o 617 cod. proc. civ.), al fine (anche) di ottenere provvedimenti –
di natura cautelare – aventi contenuto lato sensu inibitorio
dell’effettuazione del pignoramento, impedendo quindi, per altra
strada, l’apposizione del relativo vincolo.
Orbene, le descritte funzioni appaiono del tutto inconferenti
quando l’azione esecutiva sia svolta dal creditore con le forme
dell’intervento: per la semplice (ma dirimente) ragione che, in tal
caso, la previa intimazione del precetto mai potrebbe permettere al
debitore di elidere la minaccia dell’espropriazione e le incidenze
(legittimamente) deteriori sul potere dispositivo sui beni del suo
patrimonio, per essersi queste ultime già verificatesi in conseguenza
del precedente pignoramento.
In definitiva, il dettato dell’art. 479 cod. proc. civ., nella parte in
cui prescrive che «l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla
notificazione del titolo in forma esecutivgk e del precetto» ha riguardo
unicamente all’espropriazione promossa con il pignoramento, non a
quella esercitata in via di intervento; come, peraltro, ha già avuto
modo di precisare – ancorchè per incidens – questa Corte, affermando
che «non è mai previsto però, in linea generale e salve specifiche
disposizioni (dettate da esigenze particolari, connesse a peculiari
necessità pubblicistiche di tutela del debitore in funzione delle attività
esercitate e della destinazione del bene sta ggito, come nel
sottosistema delle espropriazioni in danno di pubbliche
amministrazioni non economiche: Cass. 18 aprile 2012, n. 6067), che
l’intervento debba essere preceduto da precetto» (così, testualmente,
Cass. 11/12/2012, n. 22645).
1.4. Se dunque l’intervento nell’espropriazione postula l’esistenza
di un (valido ed efficace) titolo esecutivo (costituito, per i crediti fatti
valere dall’agente della riscossione, dal ruolo) e non la notificazione di
esso e l’intimazione di precetto (attività accorpate, per i crediti
azionati dall’agente della riscossione, nella notificazione della cartella
di pagamento), non poteva certo trovare accoglimento l’opposizione
proposta dalla parte qui ricorrente, dacchè articolata sulla deduzione
di vizi di nullità o inesistenza di un atto non necessariamente
prodromico all’intervento, ovvero la cartella di pagamento
(asseritamente inficiata da un’invalidità derivata – per erronea notifica
dell’avviso di accertamento, atto impositivo presupposto- e da
invalidità propria delle modalità notificatorie della cartella stessa).
Nei sensi anzidetti si impone la correzione della motivazione della
gravata sentenza e il rigetto del primo motivo di ricorso, sulla scorta
del seguente principio di diritto: «In tema di espropriazione forzata,
presupposto dell’intervento dei creditori nella procedura è l’esistenza
di un titolo esecutivo (costituito dal ruolo, per i crediti azionati
dall’agente della riscossione), non la notificazione di esso né la
intimazione di un precetto (ovvero, per i crediti azionati dall’agente
della riscossione, la notificazione della cartella di pagamento), sicchè
è destituita di fondamento l’opposizione proposta dal debitore
esecutato avverso l’intervento spiegato dall’agente della riscossione
in una procedura espropriativa ordinaria deducendo vizi di invalidità,
propria o derivata, della cartella di pagamento».
2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione
all’art. 360, comma 1, num. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza
per omesso esame dei motivi di appello aventi ad oggetto: (a) la
inesistenza del titolo esecutivo (costituito, nella prospettazione del
ricorrente, dalla cartella esattoriale) per omessa notifica degli avvisi
di accertamento; (b) la decadenza dell’agente della riscossione per
omessa notifica delle cartelle di pagamento entro i termini perentori
sanciti dall’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973.
La censura, che muove da un palese errore di diritto (laddove
considera il ruolo «atto necessariamente recettizio, che può costituire
titolo esecutivo soltanto allorquando venga portato a conoscenza del
debitore a mezzo della notifica della cartella di pagamento») e che
non è immune da contraddittorietà e confusioni concettuali (quando
assume che «il titolo esecutivo in forza del quale il concessionario può
procedere ad esecuzione forzata […] altro non è che la stessa cartella
esattoriale» e laddove opera una sovrapposizione, in guisa di
parificarne gli effetti, tra vizi della notificazione della cartella di
pagamento e vizi della notificazione degli avvisi di accertamento ad
essa prodromici), è destituita di fondamento.
La impugnata sentenza non ha affatto omesso di statuire sui
riportati motivi di appello (dei quali, comunque, appare palmare
l’infondatezza, alla stregua del principio di diritto enunciato sopra, sub
§ 1.4.): invero, la Corte territoriale ne ha ritenuto la non accoglibilità
con argomentazione diffusa (quantunque in iure non corretta, e
perciò emendata con la presente pronuncia), centrata sul rilievo della
possibilità di impugnare innanzi le commissioni tributarie le cartelle di
pagamento per ogni vizio in tesi inficiante la stessa (menzionando
esplicitamente o includendo, in via implicita, le asserite invalidità
contestate con le ragioni di gravame dall’appellante).
3. Rigettato il ricorso, la disciplina delle spese del giudizio di
legittimità segue il principio della soccombenza ex art. 91 cod. proc. 

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione
(posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità
dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel
testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012,
n. 228): l’improcedibilità del ricorso costituisce il presupposto per il
pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore del contro
ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro
25.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del
15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori,
fiscali e previdenziali, di legge.
Ai sensi dell’art. 13, 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza
Sezione Civile, il giorno 12 luglio 2017. 

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