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Hanno proposto memorie le ricorrenti (due, la prima depositata il 20.9.2017 e la seconda depositata il 4.10.2017) e il (OMISSIS) s.p.a..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilita’ della seconda memoria ex articolo 378 c.p.c., delle ricorrenti, che va pertanto espunta dagli atti del giudizio.
Dopo una prima memoria a firma dall’avv. (OMISSIS), depositata il 20.9.2017, ne e’ stata depositata un’altra in data 4.10.2017, a firma congiunta degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ossia di tutti i tre difensori nominati con la procura a margine del ricorso.
Deve tuttavia ritenersi che la presenza in giudizio di piu’ difensori della stessa parte non consenta di moltiplicare gli atti difensivi previsti dalla legge per la difesa dell’assistito, dato che il potere di compiere un atto (nel caso, il deposito della memoria ex articolo 378 c.p.c.) si consuma nel momento in cui esso viene compiuto da uno dei difensori (cfr. Cass. n. 21472/2012), senza possibilita’ che sia rinnovato da altri.
2. Con la sentenza impugnata (n. 1075/2014), la Corte di Appello ha rilevato che le cause riunite in primo grado riguardavano sostanzialmente tre questioni, ossia il pagamento dei canoni dovuti in forza del contratto del 29.6.1994, il pagamento delle penali contrattuali per mancata o ritardata parziale riconsegna dei beni concessi in uso col predetto contratto e il risarcimento dei danni per il mancato trasferimento dei beni al nuovo concessionario, “stante la realizzazione di un autonomo sistema informativo in virtu’ del citato contratto”.
Cio’ premesso e dato atto che il primo giudice aveva accolto l’eccezione di giudicato riferita alla sentenza n. 663/07 della Corte di Appello torinese, considerandola “preclusiva di ogni discussione sulle questioni sollevate dalle attrici”, la Corte ha ritenuto che gli appelli principali proposti dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) fossero infondati, sulla base delle seguenti considerazioni:
le pretese delle societa’ appellanti erano basate sulla tesi che il risarcimento previsto dalla sentenza n. 663/07 era stato riconosciuto “solo per l’uso indebito e l’estrapolazione dei dati della Banca Dati concessa dalla (OMISSIS) alla Gestione Straordinaria in virtu’ dell’accordo del 29/6/1994 e non per la ritardata e parziale restituzione della stessa Banca Dati”; per di piu’ – sempre secondo le appellanti – i dati estrapolati dalla Gestione non erano mai stati completamente restituiti, ma erano rimasti nella disponibilita’ della medesima Gestione, che li aveva utilizzati per la costituzione di una nuova Banca Dati, successivamente ceduta, nel 2003, alla societa’ (OMISSIS) s.p.a. che, quale cessionaria, doveva rispondere anch’essa della mancata restituzione; rispetto a tale mancata restituzione erano pertanto ancora dovute le penali contrattuali (pari a 100 milioni di Lire per ogni giorno di ritardo) per quasi venti anni; il primo giudice aveva dunque errato nell’effettuare una “valutazione complessiva” della sentenza passata in giudicato e aveva fatto confusione fra la “macchina” in cui i dati erano rappresentati e i dati veri e propri, costituenti il bene immateriale dato in uso, senza rendersi conto che il giudicato aveva preso in considerazione soltanto il supporto (o macchina) che occasionalmente ospitava i dati e non questi ultimi, intesi quali beni immateriali;
tanto premesso, la Corte ha rilevato che “l’affermazione circa la natura della Banca Dati (…) quale bene immateriale viene proposta solo in appello perche’ non risulta affrontata e trattata in primo grado, per cui la stessa risulta una questione nuova e percio’ inammissibile nel presente grado ex articolo 345 c.p.c.”;
ha aggiunto che, peraltro, “dalla lettura della sentenza n. 663/07 (…) emerge che la banca dati – senza alcuna distinzione tra bene materiale e immateriale – era stata restituita a (OMISSIS) in data 31/8/1996”; che, inoltre, “all’atto della cessazione definitiva dell’uso (al 31/8/1996) detto bene non aveva piu’ alcun valore economico a seguito della illegittima trasfusione dei dati operata dalla GS” e che “comunque, detta banca dati della (OMISSIS) era destinata ad essere ceduta alla (OMISSIS), dopo i 14 mesi previsti, senza oneri economici”;
ha pertanto ritenuto che “risulta essere accertato dalla Corte d’Appello con efficacia di giudicato che: 1) la banca dati (senza alcuna distinzione circa la sua natura, presa in considerazione solo ai fini della liquidazione equitativa del risarcimento) e’ stata restituita alla (OMISSIS) in data 31/8/1996; 2) la stessa Banca dati non aveva piu’ un valore economico a seguito della illegittima trasfusione dei dati da parte di (OMISSIS); 3) risulta pacifico che la (OMISSIS) aveva l’obbligo contrattuale di consegnare definitivamente a (OMISSIS), a costo zero, la predetta Banca dati alla data del 31/8/1996”;
ha conseguentemente condiviso le considerazioni del primo giudice, secondo cui “le domande attoree che presuppongono la mancata/parziale/deteriore restituzione della banca dati, sono percio’ coperte dal giudicato perche’ la riconsegna alla scadenza e’ avvenuta nella sua completezza” e “la progettazione e realizzazione di un nuovo sistema informatico copiando elementi sensibili propri della banca dati di provenienza, restituita alla proprieta’ concedente (…) costituisce appunto la ragione del danno risarcito esaustivamente dalla corte di appello”, danno che “non puo’ essere aggravato con riconoscimento di penali e/o titoli risarcitori ulteriori dalla diversa angolatura di un “inesatto adempimento” nella riconsegna, perche’ quanto ricevuto e’ stato restituito nella sua totalita’ e la violazione contrattuale riferita alla indebita migrazione ed appropriazione dei dati ha trovato gia’ ristoro”.
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