Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 13 febbraio 2018, n. 3428. Il danno all’immagine, sebbene non in re ipsa, puo’ essere provato allegando fatti da cui potersi evincere, anche mediante presunzioni semplici, la sua concreta sussistenza e non futilita’.

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Il tribunale di Cagliari, per quanto qui ancora rileva, rigettava la domanda di danni. La corte di appello della stessa citta’, pronunciando sull’appello di (OMISSIS), riformava la decisione accogliendo la domanda risarcitoria inerente al danno all’immagine e alla reputazione, e affermandone la responsabilita’ solidale a carico dell’Agenzia del Territorio e del (OMISSIS). La corte osservava che il danno doveva ritenersi provato in via presuntiva, atteso che lo stato di incertezza e dubbio derivante dall’erronea trascrizione non poteva che aver determinato un pregiudizio all’immagine a carico di un soggetto apparso insolvente, con ovvi riflessi in ordine all’accesso al credito. Se ne doveva avere conferma dalla prodotta lettera del 29 maggio 2002 con cui il (OMISSIS), in risposta alla richiesta di stipula dell’apertura di credito, aveva subordinato un nuovo esame della stessa all’esito della cancellazione della nota di trascrizione, cosi’ come dalla missiva del 25 luglio 2002 della (OMISSIS) con cui, sempre in risposta a una richiesta di finanziamento, si chiedevano chiarimenti sull’esistenza della formalita’. La corte escludeva che potesse considerarsi ostativa alla delibazione positiva della domanda risarcitoria la successiva lettera del 10 giugno, con cui il (OMISSIS) precisava di non aver voluto subordinare l’apertura di credito a una garanzia ipotecaria, e di non ritenere inciso il rapporto fiduciario esistente con l’odierno resistente dalla ricognizione della trascrizione. Cio’ in quanto non poteva negarsi che le richieste del (OMISSIS) avessero registrato in prima battuta un rigetto.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione l’Agenzia del Territorio affidando le sue ragioni a un unico motivo.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
Non hanno svolto difese il Ministero dell’economia e delle finanze, e (OMISSIS).
Parte resistente ha depositato memoria, e il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, 2727, 2729, 10, 2059 c.c. e articolo 1362 c.c. e seguenti, poiche’ la corte avrebbe in specie fatto malgoverno dei canoni ermeneutici legali nell’individuare il significato delle missive di cui in parte narrativa, senza tener conto del fatto che gli enti interpellati avevano letteralmente manifestato l’intenzione di accordare i finanziamenti sia pure a seguito di chiarimenti, escludendo espressamente, nel caso del (OMISSIS), ogni incisione del rapporto fiduciario con il (OMISSIS) a seguito del rilievo della trascrizione. Valutando, quindi, anche la condotta successiva dell’ente in parola, il collegio di merito avrebbe dovuto escludere il danno all’immagine invece liquidato. Cio’ era confermato dal fatto che l’apertura di credito non si era perfezionata per rinuncia del richiedente. Analogamente, i chiarimenti richiesti dalla (OMISSIS) non potevano in alcun modo essere considerati cio’ che non erano stati, ossia un diniego della richiesta. Gli elementi presuntivi individuati erano dunque ambivalenti, e pertanto ne’ gravi ne’ concordanti, rivelando una motivazione in realta’ apodittica.
2. Il motivo di ricorso e’ in parte infondato in parte inammissibile.
La corte di appello non ha evinto dal materiale presuntivo, considerato e sintetizzato, un danno consistente nel mancato accesso ai finanziamenti richiesti, bensi’ la prova che il (OMISSIS) era “apparso come un debitore insolvente” in specifiche relazioni finanziamento avevano registrato “in discredito creditizio.
La corte territoriale, dunque, ha da cio’ desunto il pregiudizio all’immagine senza ne’ travisare il contenuto letterale delle missive, ne’ omettere di considerare la complessiva condotta iniziale e successiva degli enti coinvolti. Sicche’ deve escludersi vi siano state violazioni del regime legale dell’onere probatorio o dei canoni ermeneutici negoziali, o della disciplina legale delle presunzioni in relazione al danno non patrimoniale.
Parte ricorrente, quindi, chiede a questa Corte una rilettura del materiale probatorio, mirando a dare a quest’ultimo un’interpretazione differente da quella, peraltro del tutto plausibile, offerta dal giudicante di merito.

Questo Collegio non condivide sul punto le conclusioni del pubblico ministero, intendendo in primo luogo dare seguito alla nomofilachia in materia di violazioni dei canoni ermeneutici negoziali secondi cui le censure di legittimita’ non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiche’ quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass., 28/11/2017, n. 28319, che afferma tale principio in materia d’interpretazione delle clausole contrattuali; Cass., 06/05/2015, n. 9127, sull’applicabilita’, nei limiti della compatibilita’, anche ai negozi unilaterali, delle norme in tema d’interpretazione dei contratti di cui agli articoli 1362 c.c. e ss., in ragione del rinvio ad esse operato dall’articolo 1324 c.c.).
In secondo luogo, deve parimenti ribadirsi il principio secondo cui, quando la prova addotta sia costituita da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneita’ degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimita’, se sorretto da motivazione immune (come nella specie) da vizi logici o giuridici (Cass., 16/05/2017, n. 12002).
Vero che la giurisprudenza appena citata ricorda che l’apprezzamento del giudice deve ispirarsi al principio secondo il quale i requisiti della gravita’, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi. Ma e’ anche vero che nel caso tale valutazione complessiva e’ stata correttamente compiuta, e non potrebbe escludersi l’integrazione dei canoni di gravita’, precisione e concordanza se non attingendo a quel giudizio sul fatto qui precluso, al netto dell’eventuale ma differente vizio di motivazione.
Il danno all’immagine, sebbene non in re ipsa, puo’ essere provato allegando fatti da cui potersi evincere, anche mediante presunzioni semplici, la sua concreta sussistenza e non futilita’ (cfr. Cass., 11/10/2013, n. 23194, secondo cui, in un’ipotesi tipica, la semplice illegittimita’ del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non e’ di per se’ sufficiente al risarcimento, essendo necessarie la gravita’ della lesione e la non futilita’ del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, oltre alla mancanza di un’efficace rettifica, fermo restando l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entita’ del pregiudizio, come la lesione di un diritto della persona, sotto il profilo dell’onore e della reputazione, o la lesione della vita di relazione o della salute). E si e’ visto come la corte di appello abbia evinto la gravita’ dell’apprezzabile lesione alla reputazione, e il significativo pregiudizio alla vita di relazione, valorizzando non solamente una generica diffusione della notizia in forza della natura pubblica dei registri, bensi’ specifici contatti con operatori commerciali dell’ambiente territoriale del danneggiato. Con cio’ rispettando i principi nomofilattici sopra esposti.

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