Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 13 febbraio 2018, n. 3426. La violazione dell’articolo 112 c.p.c. (quale errore di natura processuale).

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che, con il primo motivo, le societa’ ricorrenti si dolgono della nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112 c.p.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale riconosciuto la sussistenza del danno non patrimoniale denunciato dal (OMISSIS) sulla base di una circostanza di fatto d’indole presuntiva (quella consistente nell’assenza, prima dei fatti di causa, di qualsivoglia manifestazione, da parte del (OMISSIS), di esibizionismo e/o di intromissione in campi ed ambienti diversi da quello strettamente professionale), mai allegata dalla controparte, ne’ mai effettivamente discussa o dimostrata nel corso del giudizio, con la conseguente estensione della pronuncia del giudice a quo oltre i limiti imposti dall’articolo 112 c.p.c., in violazione del principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato;
che il motivo e’ infondato;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa corte, la violazione dell’articolo 112 c.p.c. (quale errore di natura processuale) si configura in caso di alterazione, da parte del giudice, di taluno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (causa petendi e petitum), ovvero di introduzione di un elemento nuovo, con la conseguente negazione del bene richiesto da una delle parti o l’attribuzione di un bene diverso (Sez. 2, Sentenza n. 11199 del 28/08/2000, Rv. 539777-01);
che, nel caso di specie, le odierne societa’ ricorrenti, lungi dal contestare l’alterazione, ad opera della corte territoriale, degli elementi di identificazione della domanda risarcitoria proposta dal (OMISSIS), ovvero l’avvenuta negazione del bene dallo stesso richiesto o l’attribuzione di un bene diverso, hanno contestato l’avvenuta utilizzazione, da parte del giudice a quo, a fini di prova, di circostanze di fatto d’indole presuntiva asseritamente mai introdotte nel dibattito processuale o, comunque, non dimostrate;
che tale deduzione, pur potendo eventualmente rilevare sul piano dell’applicazione dell’articolo 115 c.p.c., ovvero, adeguatamente prospettata, degli articoli 2697 o 2729 c.c., in nessun caso vale a costituire un’ipotesi di violazione dell’articolo 112 c.p.c., non essendo il giudice a quo in alcun modo incorso in alcun vizio di ultrapetizione, avendo correttamente pronunciato (al di la’ degli eventuali vizi propri della pronuncia) entro i limiti specifici della domanda risarcitoria proposta dal (OMISSIS);
che, con il secondo motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli articoli 1226, 2059, 2727, 2729 e 2697 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente posto a fondamento della propria decisione una circostanza (quella relativa al mancato rilievo di qualsivoglia manifestazione, da parte del (OMISSIS), di esibizionismo e/o di intromissione in campi e ambienti diversi da quello strettamente professionale) totalmente indimostrata e, in quanto tale, del tutto inidonea a giustificare l’inferenza probatoria trattane in termini decisivi dalla corte d’appello;
che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli articoli 2043, 2050, 2059, 2056, 1223 c.c. e segg., Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 15 (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale arbitrariamente individuato, nel danno inferto alla privacy, uno statuto diverso e autonomo dalla lesione di ogni altro diritto della persona, non potendo escludersi, anche in relazione al danno alla privacy, la necessita’ che lo stesso venga puntualmente allegato e provato da parte del danneggiato in relazione a ciascuna delle sue componenti, ivi compresa la sussistenza delle specifiche conseguenze dannose secondarie alla lesione dell’interesse protetto;
che, con il quarto motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. e articolo 2697 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale posto a fondamento della decisione un fatto (consistente nella mancata manifestazione da parte del (OMISSIS) di esibizionismo e/o intromissione in campi ed ambienti diversi da quello strettamente professionale) mai dedotto in giudizio, ne’ dimostrato o incontestato, con la conseguente violazione del principio di cui all’articolo 115 c.p.c., che impone al giudice di porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, salvi i casi previsti dalla legge;
che tutti e tre i motivi – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono infondati;
che, al riguardo, osserva il Collegio come le odierne societa’ ricorrenti non abbiano colto in modo corretto i passaggi argomentativi individuati come decisivi nell’economia della decisione impugnata, con particolare riguardo alla dimostrazione del danno sofferto dal (OMISSIS);
che, in particolare la corte territoriale ha in primo luogo sottolineato (in chiave dirimente) il carattere decisivo del rilievo in forza del quale deve ritenersi ragionevole riconoscere, con riferimento alla generalita’ dei consociati (“in molti, non in tutti”, cfr. pag. 9 della sentenza), la sussistenza di un “intimo desiderio/necessita’ di riservatezza”, costituente “il principale dei valori che le norme sulla privacy riconoscono ed intendono tutelare” (cfr. ivi, pagg. 9-10);

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